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Il panorama geopolitico italiano in Europa a seguito delle Elezioni europee

Aggiornamento: 1 nov 2020

Se, come prevedibile, l’alleanza europea dei partiti sovranisti, guidata dalla Lega, non è riuscita a diventare il primo gruppo al Parlamento Europeo, né tantomeno un polo imprescindibile per la nuova legislatura del continente, ha però confermato un quadro tanto importante quanto negativo per il nostro paese: un chiaro e netto isolamento rispetto alle principali forze europee.

Il fatto che David Sassoli sia stato eletto presidente del Parlamento Europeo non deve trarre in inganno su quale sia il reale Balance of Power all’interno delle istituzioni UE, dato che l’Italia è stato l’unico paese dell’#Europa occidentale oltre al Regno Unito, caso decisamente particolare per la questione #Brexit, in cui le elezioni europee sono state stravinte da un partito euroscettico e di destra radicale. La costante propaganda salviniana nel periodo immediatamente successivo alle elezioni e il suo richiamo alla nascita di una “nuova Europa”, non ha fatto altro che ampliare questo divario con gli altri stati cardine del continente.

La conseguenza più immediata, secondo gli osservatori, è che l’#Italia e il suo governo, ad oggi, siano tagliati fuori da ogni trattativa, come peraltro annunciato da Ursula von der Leyen, neo-presidente della Commissione Europea, che ha appunto dichiarato come non siano state fatte promesse in termini di posti in Commissione o finanziari nei prossimi bilanci dell’Unione ai governi di #Polonia, #Ungheria o Italia (cosa decisamente negativa se si pensa che il nostro paese è il 3° in Europa per numero di abitanti, nonché membro fondatore dell’Unione).

Negli scorsi anni l’Italia è stata uno dei paesi più premiati dalla spartizione degli incarichi di primo piano, per vari motivi, a partire dalle elezioni del 2014, dove esprimemmo la delegazione più numerosa di parlamentari europei, con il Partito Democratico che ne elesse 31, ma anche perché nel periodo immediatamente successivo alla crisi, il governo italiano si era fatto portavoce degli interessi dei paesi del Sud Europa, pur restando nell’ambito delle tradizionali famiglie politiche. Se aggiungiamo il fatto che il nostro paese possa, nella migliore delle ipotesi, esprimere un paio di commissari (magari in ambito economico), risulta molto difficile che questi possano essere indicati dall’attuale maggioranza di governo Giallo-Verde, proprio perché in netto contrasto con i principi e gli ideali europei.

Se, come riportato da Politico, «Funzionari e diplomatici scherzano sul fatto che l’Italia sia diventata irrilevante nelle trattative sulle prossime nomine, …, dal punto di vista politico, “l’Italexit” è già una realtà», è doveroso chiedersi quali possano essere sia le cause, che le conseguenze per il nostro paese e per l’Eurozona.


L'isolamento italiano nel contesto europeo odierno

Nonostante l’importante exploit della Lega alle elezioni, è necessario sottolineare come questo non possa e non debba essere considerato come un successo per il nostro paese. Proprio a causa della vittoria del blocco euroscettico, l’Italia si trova totalmente disallineata da quelle che sono le principali direttrici poste dal nuovo Parlamento a traino franco-tedesco. Le rinnovate cariche europee, come la già citata von der Leyen alla guida della Commissione, la francese Christine Lagarde a capo della Banca Centrale e lo spagnolo Josep Borrell come nuovo Alto Rappresentante per la Politica Estera, sono dei chiari segnali del fatto che si sia di fronte ad una legislatura totalmente e fortemente europeista, a discapito di quello che doveva essere uno scontro molto più equilibrato tra i due “schieramenti”.

È quantomeno necessario prendere in considerazione sia i fattori interni al nostro paese, come la continua ed incessante sfida all’interno della coalizione di governo, sia i rapporti con la rinnovata Élite europea, da sempre considerata come il nemico fondamentale, soprattutto della Lega di Salvini, per descrivere appieno questa situazione. Il fatto che ci sia stato un sostanziale rovesciamento di potere all’interno della maggioranza, con un effettivo, seppur non formale, ribaltamento delle questioni prioritarie, ha fatto sì che Roma si sia, e ancor si trovi, arenata in una precaria situazione di stabilità, sia politica che finanziaria. Tematiche come la questione migratoria, la TAV, le autonomie e le problematiche economiche che attanagliano il nostro paese, pendono costantemente come una spada di Damocle sull’esecutivo in carica, che da mesi ormai sembra sull’orlo di una crisi di governo. La forte instabilità interna, unita ad ideali totalmente opposti rispetto a quelli del continente, hanno portato ad una sempre maggiore marginalizzazione sia sulle questioni europee, sia, in parte, su quelle internazionali. Le crescenti tensioni con #Germania e #Francia, relativamente alla gestione dei flussi migratori e alla ridiscussione dell’Accordo di Dublino, confermate ed acuite dalla mancata partecipazione del nostro Ministro dell’Interno al vertice svoltosi a Parigi il 21 luglio, dal quale è uscita l'adesione di 14 Stati Ue ad un "meccanismo di solidarietà" per ripartire le persone salvate in mare, ne è un esempio. Il fatto che lo sbarco debba avvenire nel porto sicuro più vicino, punto fondamentale dell’asse franco-tedesco e sul quale si fonda lo stesso Diritto del Mare, ha inevitabilmente aperto un nuovo scontro a distanza tra Salvini e Macron. Questa cristallizzazione sulle reciproche posizioni[1] trova un naturale sbocco nell’emarginazione politica del nostro paese nel panorama comunitario, indipendentemente dalla incalzante retorica salviniana sull’argomento[2]. Se, come enunciato dal nuovo presidente della #Commissione, si dovesse andare verso un cambiamento effettivo delle regole vigenti, con un nuovo programma per la redistribuzione, affiancato da nuove norme relativamente ai paesi di prima accoglienza, il rischio maggiore per i nostri interessi risiederebbe nel fatto che queste sarebbero stese e votate senza che la nostra classe dirigente possa esprimere alcun giudizio o parere in merito. Un mero adeguamento al quale un paese con una natura prettamente marittima, e che fa del mare il suo elemento fondamentale, non può permettersi, soprattutto se si pensa alla strategica importanza che le missioni Mare Nostrum prima, e Sophia poi, hanno rappresentato per il nostro paese[3].

Altrettanto importante è la questione economica, sempre al centro delle vicende interne nostrane, soprattutto a seguito dell’ingente deficit per la precedente manovra finanziaria che ha introdotto i cavalli di battaglia leghisti e grillini[4] e la sfiorata procedura di infrazione per debito eccessivo. Nonostante le avvisaglie di apertura ad una flessibilità maggiore nell’Eurozona, la situazione italiana è tra le peggiori del panorama monetario europeo, penalizzata dall’insufficiente crescita[5] e dal colossale debito pubblico maturato[6].

Allo scagliarsi dell’Italia contro le regole fiscali europee, sì assiste alle ire degli stati non soltanto del Nord Europa, ideologicamente propensi all’austerità e che nutrono forti pregiudizi verso quella che ritengono essere una politica sperperatrice, ma anche dal resto dell’Europa del sud[7], dove esiste una palese assenza di solidarietà verso Roma. La globalizzazione economica, oggi, ha fatto sì che non soltanto merci e servizi si possano muovere liberamente, ma anche i capitali, la quale libera circolazione ha letteralmente ribaltato l’intero panorama finanziario globale, soprattutto perché questi si dirigono laddove il loro impiego si rivela più efficiente e remunerativo. Allo stesso modo, presuppongono l’abbattimento delle rigidità normative, una tassazione quanto più leggera possibile e la piena libertà di mercato. Su questo punto può essere evidenziato il maggior problema italiano: o si fa parte del circuito dei capitali internazionali o ne si resta esclusi, con le conseguenze che ciò comporta. Allo stesso modo, se si accetta di farne parte per beneficiare dei vantaggi, è necessario accettarne le condizioni, quali un’oculata gestione dei conti pubblici e il rispetto della politica monetaria e delle regole del mercato. Se anche solo a parole si auspica la messa in discussione del rispetto di questi principi, i capitali defluiscono per timore di finire vittime di una cattiva governance.

Anche se il nostro paese non è l’unico stato europeo a mal tollerare le regole fiscali imposte ai partner dell’unione monetaria, è però vero che è l’unico a metterle formalmente in discussione. Questo non piace ai mercati, perché temono che siano il frutto di politiche demagogiche, inefficienti, costose e imprudenti. Chi solidarizzasse con Roma finirebbe per essere guardato con altrettanto sospetto dai detentori dei capitali e ogni sua minima mossa, o dichiarazione, verrebbe scrutata per capire se la direzione sia quella giusta. In sintesi, non abbiamo alleati perché nessuno vuole finire nella “black list” dei mercati, nemmeno quei partner quali l’Ungheria di #Orban o l’ala sovranista della #Francia di Marine Le Pen, veri e propri capisaldi durante il periodo della campagna elettorale.

Il punto focale è il non mettere a repentaglio il modello di crescita che ha garantito all’Occidente benessere diffuso come mai prima nella storia del mondo.

Allo stesso modo, nemmeno noi nel 2015, quando la #Grecia di Alexis Tsipras e del suo ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis sfidò l’#Europa fino a quasi uscire dall’euro, intervenimmo. In quell’occasione sostenemmo la linea morbida, non di scontro con Bruxelles in nome della lotta all’austerità fiscale, dato che non eravamo nelle condizioni di spenderci per gli altri, ma anche in quel caso prevalse la necessità di non mostrarci irrispettosi delle regole del gioco. La #Turchia di #Erdogan di questi anni è la più chiara dimostrazione di come un’economia in forte crescita possa entrare in crisi nel momento in cui esce dal circuito internazionale dei capitali, sfoggiando irriverenza verso le relative condizioni. E così è stato anche per l’#Argentina di Kirchner o per il #Venezuela di #Maduro oggi. Tornando al caso nostrano, una condotta di questo tipo rappresenta un vero e proprio rischio non soltanto per il nostro stesso paese, ma anche e soprattutto per l’intera unione monetaria, dato che la sua stessa stabilità risiede nel rispetto dei canoni da parte di tutti i suoi membri. Il comportamento finora tenuto dal nostro governo non solo ci pone in una situazione di grande deficit in termini di rapporti con gli altri partner del continente, ma limita enormemente le possibilità di manovra dell’esecutivo, che si trova a dover necessariamente attuare dei ritocchi al bilancio o a metter mano alle varie clausole di salvaguardia per poter rientrare nei parametri. Ancora una volta, questo agire da forza “antisistema” non fa altro che rendere la nostra situazione sempre peggiore.


La definitiva uscita di scena?

Che il nostro paese sia in una situazione estremamente delicata è un fatto dichiarato e consolidato, soprattutto a causa della scellerata condotta dell’esecutivo sovranista fin qui perpetrata. Elemento che suona come campanello d’allarme, e che dovrebbe far riflettere più di ogni altra cosa, è la sempre maggior apertura e coinvolgimento della #Spagna di Pedro Sanchez nelle questioni che contano nel continente. Le elezioni europee hanno confermato che Berlino, Parigi e Madrid hanno costruito un asse sempre più solido utile non solo a #Francia e #Germania per rafforzarsi in #Europa, ma anche alla stessa Spagna per scalzare il nostro paese come terza potenza dell’Unione europea. Una convergenza di interessi che è chiara se si osserva uno dei fronti più importanti dell’alleanza tra Berlino e Parigi: la difesa europea.

L’adesione spagnola al progetto FCAS per la creazione di un caccia di 6° generazione, che dovrebbe entrare in servizio attorno al 2040 sostituendo gli attuali Rafale ed Eurofighter, è il chiaro segnale che Madrid stia sempre più cercando di diventare il terzo polo a sostegno del binomio franco-tedesco, aiutata indirettamente dal disinteresse nostrano verso un sistema di difesa e condivisione che non sia inserito nell’ambito della PESCO[8]. Il progetto di difesa europeo, da sempre un cavallo di Battaglia di Macron, trova in questo nuovo asse una perfetta quadratura sotto tutti i punti di vista: anzitutto il forte supporto dell’alleato tedesco, con Angela Merkel che non ha mai disdegnato un progetto di questo tipo (lo stesso progetto che portò alla nascita del Typhoon ne è un esempio), l’ingresso di un nuovo partner strategico (appunto la Spagna) con cui condividere i costi e le responsabilità del progetto e, infine, l’isolamento del principale polo euroscettico.

In conclusione, si è davanti ad una situazione estremamente difficile per la nostra penisola, sotto ogni punto di vista. Lo scivolamento verso una “self isolation” è sempre più evidente e netto, anche se l’elemento peggiore è l’indifferenza che finora la nostra élite sembra mostrare. È quantomeno necessario riconsiderare le nostre posizioni ideologiche per evitare di essere ancor più isolati e di uscire definitivamente dal concerto delle grandi potenze europee, evento che se dovesse verificarsi, sarebbe una vera e propria catastrofe per il nostro Paese.


[1] Chi contrario alla logica del porto più vicino, come Roma e La Valletta e chi lo sostiene, come appunto Parigi e Berlino.

[2] Egli infatti aggiunse che: “L’Italia non sarà l’hotspot d’Europa”.

[3] Missione Mare Nostrum, attiva dal 18 ottobre 2013 al 31 ottobre 2014 dalle forze della Marina Militare e dell'Aeronautica Militare italiane e l’Operazione Sophia, iniziata nel maggio 2015 e oggi, nonostante sia ancora formalmente attiva, estremamente depotenziata rispetto al piano originale, hanno rappresentato la principale linea di intervento nel Mediterraneo sia dal punto di vista del controllo delle frontiere, sia dal punto di vista umanitario. La prima sostenuta interamente dal nostro paese, la seconda sotto direzione italiana.

[4] Quota Cento e Reddito di Cittadinanza

[5] Stimata una crescita dell0 0,1% per il 2019

[6] 2.321.957 milioni di euro, pari al 132,20% del nostro PIL

[7] Spagna e Portogallo su tutti

[8] Il nostro paese ha preferito ripiegare sull’analogo progetto Tempest britannico, diventandone il primo partner.


Riferimenti


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