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Il Giappone a un bivio: tra crollo demografico e questione migratoria

Aggiornamento: 14 nov 2020


1. Introduzione

Il 2006 ha rappresentato un momento di svolta cruciale per il #Giappone. In quell’anno il numero dei decessi ha superato quello delle nascite. Così a partire dal 2006 il tasso di mortalità ha stabilmente superato quello di natalità spingendo il Giappone in quella che il National Institute of Population and Social Security Research ha definito “un lungo periodo di declino demografico”. Infatti, secondo le ultime stime dell’istituto nipponico, la popolazione giapponese passerà dagli attuali 127,09 milioni stimati dal censimento del 2015 ai circa 88 milioni entro il 2065.

Al processo di contrazione demografica si affianca anche un progressivo invecchiamento della popolazione dovuto a bassi tassi di mortalità che contraddistinguono una popolazione tradizionalmente longeva come quella nipponica. Infatti, secondo le ultime stime del National Institute, nel 2065 l’aspettativa di vita sarà di circa 85 anni per gli uomini e 91 per le donne.

La combinazione di riduzione della natalità e invecchiamento della popolazione ci offrono un quadro in cui entro il 2065, al ritmo attuale, la popolazione giovane (0-14 anni) costituirà il 10,2% del totale, la popolazione in età lavorativa (15-64 anni) costituirà il 51,4 % passando dagli attuali 77 milioni a circa 45 milioni mentre la popolazione anziana (65 e oltre) ammonterà al 38,4%.

La questione demografica rappresenta per Tokyo un tema di notevole importanza, soprattutto a causa delle molteplici sfaccettature di carattere economico, sociale e politico attraverso cui tale sfida si materializza. Tra queste rivestono particolare importanza la progressiva contrazione della forza lavoro e l’aumento delle pressioni sulla stabilità del sistema fiscale a causa dell’aumento della percentuale di pensionati.

Dunque, il presente lavoro dopo aver descritto brevemente l’attuale situazione nipponica e i principali elementi che hanno condotto a ciò, si soffermerà sulle sfide che l’invecchiamento della popolazione e la riduzione della natalità comportano.

Successivamente si passeranno in rassegna gli strumenti e le strategie che Tokyo sta adottando, soffermandoci in conclusione sulle opportunità di ricorrere allo strumento dell’immigrazione al fine di far fronte a tale sfida. Quest’ultima rappresenterebbe un valido strumento per affrontare la questione demografica e al giorno d’oggi da più parti si invoca una maggiore apertura nipponica a lavoratori stranieri. Tuttavia, dati i tratti distintivi culturali del particolarismo nipponico, il timore di veder svanire le proprie tradizioni sotto il peso di una crescente immigrazione e le preoccupazioni di eventuali ricadute economiche negative per la popolazione locale, il Giappone è da sempre critico nei confronti dell’immigrazione. Tale atteggiamento si tramuta pertanto in politiche migratorie particolarmente restrittive.


2. La transizione demografica nipponica

I cambiamenti demografici attraversati da una specifica popolazione si spiegano attraverso il modello della transizione demografica. Esso si basa su quattro stadi e il passaggio da uno stadio all’altro è legato ai cambiamenti economici, alle trasformazioni strutturali di uno Stato e alle loro ricadute nel contesto sociale e culturale.

Il primo stadio si caratterizza per elementi di alta natalità e alta mortalità. Tale fase è tipica delle società definite “pre-moderne”. L’avvio di una fase di crescita economica e il miglioramento delle condizioni di vita conducono al secondo stadio che si caratterizza per una diminuzione del tasso di mortalità. Il tasso di natalità resta ancora alto a causa del retaggio socioculturale dello stadio precedente. Uno sviluppo economico costante porta al terzo stadio dove alla diminuzione della mortalità si affianca una progressiva diminuzione della natalità. Quest’ultima diminuzione è legata a intervenuti cambiamenti socioculturali come l’uso di contraccettivi, l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, un maggior tasso d’istruzione oppure il passaggio da una società a trazione agricola a una industrializzata e/o legata al terziario. Il quarto e ultimo stadio si caratterizza per un sostanziale equilibrio tra bassa natalità e bassa mortalità.

Le informazioni contenute nel World Population Prospects pubblicato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite – ONU nel mese di Giugno 2019 forniscono alcuni chiari dati che aiutano a comprendere la portate della transizione demografica in atto a Tokyo. Il tasso di fecondità è di 1,32 figli per donna, ben al di sotto del tasso di sostituzione demografica di 2,1. Tale tasso rappresenta la quantità minima di figli per donna al fine di mantenere inalterata la popolazione di uno specifico territorio.

Il rapporto dell’#ONU ci consegna pertanto l’immagine di un Paese che entro il 2050 vedrà la propria popolazione scendere dagli attuali 127 milioni a circa 105 milioni. Inoltre, l’aspetto più interessante evidenziato dal rapporto è che la popolazione attiva (15-64) passerà dagli attuali 75 milioni a circa 55 mentre la popolazione inattiva (65 e oltre) resterà grosso modo stabile passando dagli attuali 36 milioni a circa 40 grazie agli elevati standard di vita tipici dell’arcipelago nipponico.

Dunque, stando alle stime dell’#ONU, entro il 2050 il #Giappone assisterà a una progressiva riduzione della forza lavoro: come sottolineato anche dal docente e orientalista Franco Mazzei, mentre oggi il rapporto lavoratori/pensionati è 4:1, entro il 2030 sarà di 2:1. Ciò rappresenta una situazione di grave instabilità in particolare per un Paese aggravato da un debito pubblico enorme che oscilla intorno al 250% del PIL. Alla contrazione della forza lavoro si affianca il fenomeno dell’incremento della popolazione anziana. Ciò da un lato porterà ad un aumento della pressione sul sistema pensionistico e sulla stabilità del sistema fiscale a causa della contrazione della forza lavoro, dall’altro porterà a sfide socioeconomiche legate alla cura e all’assistenza degli anziani.

Volgendo l’attenzione ai motivi della bassa natalità, che è inferiore anche alla media di 1,65 figli per donna dei Paesi #OCSE, questa è legata a una molteplicità di elementi legati sia a considerazioni di carattere economico sia a elementi socioculturali.

Passando in rassegna alcuni tra gli elementi più importanti, bisogna innanzitutto sottolineare l’adozione di programmi di pianificazione familiare e controllo delle nascite avviati a partire dal 1948. A ciò si affianca la trasformazione della struttura economica nipponica all’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale. Infatti, sotto la spinta statunitense il #Giappone ha attraversato una fase di forte espansione economica sotto la quale si è trasformato da una società prevalentemente agricola in una fortemente industrializzata. Ciò ha condotto a una evoluzione del concetto di famiglia che è divenuta sempre più nucleare.

Un altro elemento di notevole importanza è stato la crisi economica che ha colpito il Giappone negli anni Novanta e i cui strascichi sono tutt’oggi percepiti. La recessione economica ha infatti condotto a una crisi del tradizionale modello giapponese di lavoro a tempo indeterminato. Pertanto, accrescendo l’instabilità lavorativa, il peggioramento delle condizioni economiche ha indotto molti giovani a rinunciare alla possibilità di creare una famiglia.

Un altro elemento è legato ai cambiamenti del ruolo della donna nella società nipponica nonché alle difficoltà che esse sono chiamate ad affrontare al fine di gestire la maternità e il lavoro. Il miglior accesso delle donne all’istruzione universitaria ha fatto sì che un numero sempre crescente si focalizzasse sulla carriera posticipando l’ipotesi di matrimonio e di gravidanza.


3. Le sfide

La contrazione demografica e l’invecchiamento della popolazione comportano una serie di sfide che nel lungo periodo possono essere potenzialmente destabilizzanti per l’economia e la società nipponica. Innanzitutto, bisogna sottolineare come la demografia sia un elemento imprescindibile per assicurare la crescita di una economia nel lungo periodo. Infatti, come individuato da più parti, la popolazione, insieme al capitale e allo sviluppo tecnologico sono tre elementi fondamentali per assicurare crescita economica: una contrazione della forza lavoro potrebbe condurre ad una diminuzione della produttività in quanto si riduce il numero di capitale umano in grado di produrre ricchezza.

Alle ricadute sulla crescita, si affiancano quelle sulla stabilità del sistema economico. Innanzitutto, bisogna notare le crescenti preoccupazioni sulla stabilità del sistema pensionistico dato il progressivo incremento della popolazione anziana in rapporto alla forza lavoro. In secondo luogo, bisogna considerare i crescenti costi legati alla gestione della popolazione anziana. Con ciò si fa riferimento ai servizi di cura o alle spese sanitarie e più in generale alle politiche sociali. Tutto ciò potrebbe condurre ad un progressivo aumento del deficit fiscale, ipotesi non molto adatta per un Paese che si caratterizza per un elevatissimo rapporto debito/PIL. Dunque, la combinazione tra diminuzione e invecchiamento della popolazione crea un mix potenzialmente destabilizzante di contrazione della base produttiva e incremento delle spese.

Alle sfide di carattere economico, se ne affiancano altre di carattere sociale come la progressiva scomparsa delle comunità rurali e l’assenza di manodopera da impiegare nei settori legati all’assistenza degli anziani. A ciò si aggiunge il progressivo spostamento del costo sociale di gestione della popolazione anziana sulla società civile e sulle famiglie oppure le crescenti richieste e aspettative sulla componente anziana come l’ipotesi di innalzamento dell’età pensionabile oggi a 65 anni.

Un ulteriore elemento è legato alle crescenti pressioni esercitate sulla donna. Il mondo del lavoro giapponese è tradizionalmente male-dominated e per una donna risulta particolarmente difficile essere madre e lavoratrice al tempo stesso a causa della competitività e di turni di lavoro particolarmente lunghi. Per questo motivo molte donne abbandonano il lavoro in caso di gravidanza oppure optano per la carriera a discapito della maternità. La contrazione della forza lavoro fa sì che soprattutto negli ultimi anni siano state implementate una serie di politiche volte a facilitare il lavoro femminile senza compromettere l’ipotesi della maternità quali ad esempio la riduzione della giornata lavorativa. Ciononostante, per le donne risulta ancora oggi molto difficile gestire entrambi gli aspetti e tutto ciò accresce oneri e pressioni sulla componente femminile.

Un ulteriore gruppo di sfide è quello di carattere politico. Tali sfide sono intrecciate e legate agli elementi di carattere economico e sociale sopra menzionati. Le sfide di carattere politico riguardano l’adozione di determinate strategie necessarie per la gestione della questione demografica, ma che potrebbero avere effetti destabilizzati sul tessuto sociale giapponese. Si pensi all’ipotesi di incremento della pressione fiscale, di innalzamento dell’età pensionabile o di contrazione della pensione. Oppure si pensi ancora agli spostamenti in termini elettorali di una popolazione sempre più anziana. Infatti, tradizionalmente gli anziani sono più conservatori e ciò potrebbe spingere alla nascita in futuro di governi costantemente tradizionalisti, conservatori e/o reazionari non in grado di raccogliere le sfide della digitalizzazione e della globalizzazione. Oppure si può pensare alla sfida politica per antonomasia che il #Giappone è chiamato ad affrontare quale la necessità o meno di affievolire le rigide politiche migratorie. Ciò potrebbe portare a un aumento della popolazione non giapponese e creare tensioni in una società fiera del proprio particolarismo culturale e ostile ad ogni forma di cosmopolitismo.


3. Gli strumenti

Contrazione demografica e invecchiamento della popolazione rappresentano una sfida che Tokyo non può fare a meno di affrontare. In questo quadro uno strumento individuato dalle amministrazioni nipponiche è una riforma del mercato e della struttura del lavoro che sia in grado di far fronte a una progressiva carenza di manodopera. Secondo una recente ricerca del Chuo University and Persol Research and Consulting e pubblicata su Japan Times, Tokyo entro il 2030 dovrà affrontare una carenza di 6,44 milioni di lavoratori.

Si ritiene, pertanto, da più parti che sia necessaria una modifica dell’attuale sistema pensionistico. Oggi l’età pensionabile è di 60 anni ed è prevista la possibilità per le imprese di assumere fino all’età di 65 anni gli over 60 che intendano continuare a lavorare. Tokyo, tuttavia, sta valutando l’ipotesi di alzare l’età pensionabile o comunque consentire alle imprese di consentire a chi lo desideri di lavorare fino a 70 anni.

Ulteriori misure adottate per affrontare contemporaneamente calo delle natalità e carenza di manodopera è quello di facilitare l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro o per lo meno aiutare le donne nell’esercizio della duplice funzione di madre e lavoratrice. Come detto, date le difficoltà di gestire maternità e lavoro, spesso le donne sono obbligate alla scelta tra carriera e famiglia. In questo quadro il Primo Ministro giapponese Shinzo #Abe ha dato avvio a una serie di politiche denominate Womanomics al fine di promuovere la partecipazione delle donne e delle madri nel mercato del lavoro, nonché agevolazioni familiari di carattere economico. Tali misure hanno l’obiettivo di facilitare l’equilibrio tra lavoro e famiglia attraverso una riduzione della giornata lavorativa, un aumento dei sussidi e delle misure di sostegno all’infanzia. Ciò si è reso necessario a causa di un mercato del lavoro male-oriented e alte disparità di genere, si stima che circa il 60% delle donne lascia il lavoro a causa della maternità. Tali misure tuttavia hanno esiti alquanto contraddittori, soprattutto a causa delle persistenti e radicate discriminazioni di genere ancora presenti nella società nipponica.

Altre misure a disposizione di Tokyo sono la robotica e/o la delocalizzazione. Tuttavia, entrambe rappresentano delle criticità. Nonostante il #Giappone sia all’avanguardia nel settore della robotica cercando di combinare tecnologia e assistenza, è opportuno dire che non è possibile sub-appaltare a macchinari e robot attività in settori quali l’assistenza medica o il supporto agli anziani, settori in cui il Giappone è alla disperata ricerca di manodopera. Per quanto riguarda invece la delocalizzazione, ciò può risultare utile per ridurre la pressione sulla necessità di lavoratori low-skilled, tuttavia non è possibile delocalizzare tutte le funzioni, basti pensare all’edilizia, alla ristorazione, all’educazione o all’assistenza.

Al fine di far fronte alle sfide demografiche resta un’ulteriore ipotesi a cui il Giappone continua a opporsi strenuamente per motivi di carattere culturale e sociale, ossia il ricorso all’immigrazione. Infatti, è opportuno notare come la carenza di manodopera e la contrazione demografica sia anche una conseguenza delle restrittive politiche migratorie adottate dalle varie amministrazioni nipponiche. Data l’importanza di questo argomento, esso verrà affrontato in una sezione apposita.


4. L’immigrazione

Una soluzione alla contrazione demografica e alla carenza di manodopera sarebbe il ricorso all’#immigrazione. Nuove iniezioni di manodopera consentirebbero di ridurre le pressioni sul sistema economico, in particolare per quanto riguarda la tenuta del sistema pensionistico e assistenziale. Inoltre, ondate migratorie consentirebbero di ringiovanire una popolazione tendenzialmente anziana. Ciò da un punto di vista sociale potrebbe inserire nuovi stimoli e nuovi input in termini di innovazione e progresso.

Tuttavia, d’altro canto, il #Giappone è uno Stato tendenzialmente ostile all’immigrazione. Infatti, se esso si ritrova nell’attuale situazione demografica, ciò è legato anche alla quasi totale opposizione di Tokyo verso l’immigrazione. Tale attitudine affonda le sue radici nel particolarismo nipponico e nel timore da parte di Tokyo di perdere i propri tratti socioculturali in un melting-pot che poco si addice alla fierezza della tradizione nipponica. A ciò si aggiunge una costante xenofobia che si tramuta in un senso di superiorità e nel timore che i nuovi immigrati poco consapevoli delle tradizioni nipponiche possano contribuire a deteriorare alcuni aspetti della tradizione nipponica come l’attitudine al lavoro e il senso di collettività.

In passato questo atteggiamento ha portato all’adozione di politiche migratorie molto restrittive che hanno visto ad esempio la concessione di visti lavorativi unicamente a high-skilled workers. A ciò si affiancano altre procedure come il ricorso a tirocinanti. Ciò ha rappresentato una sorta di escamotage per usufruire di manodopera straniera senza modificare il contesto migratorio. Tuttavia, tale dinamica ha spesso condotto a vere e proprie forme di sfruttamento legate al fatto che i presunti tirocinanti non avevano gli stessi diritti dei lavoratori. Ulteriori politiche hanno previsto misure per agevolare il ritorno di giapponesi in diaspora presenti principalmente in America Latina, tuttavia anche questi ultimi sebbene ritenuti nipponici non erano esenti da discriminazioni razziali e problemi di integrazione. Oppure ancora quote migratorie definite tramite accordi bilaterali con Paesi come Filippine e Indonesia.

Tali politiche non sono riuscite a far fronte al crescente bisogno di manodopera, soprattutto con riferimento a low-skilled workers o a infermieri oppure assistenti per anziani. Nonostante le resistenze sociali e culturali si è assistito a crescenti pressioni di carattere economico al fine di aprire il Paese all’immigrazione, considerata questa come unica soluzione determinante alle sfide della demografia. Pertanto, si segnalano timidi cambiamenti in tal senso come testimonia un emendamento del 1° Aprile 2019 alla Legge sull’Immigrazione. Tale emendamento garantisce per un massimo di cinque anni un visto a lavoratori stranieri lower- e semi-skilled. Tali misure tuttavia risultano secondo alcuni essere solo brevi espedienti temporanei in quanto, salvo cambiamenti nelle disposizioni legali, difficilmente a quest’ultimi verrà garantito lo status di permanenza oltre i cinque anni consentiti.


5. Conclusioni

Il presente lavoro si è focalizzato sulla questione demografica giapponese. La scelta di questo tema non è casuale dato che crollo delle natalità, invecchiamento della popolazione e questione migratoria sono temi ricorrenti anche in #Europa così come in Italia.

Si è visto come il #Giappone abbia cercato di affrontare le molteplici sfide poste dalla contrazione demografica e dall’invecchiamento della popolazione attraverso una molteplicità di mezzi che vanno dal ricorso alla robotica alle politiche di sostegno alla natalità, alla delocalizzazione o facilitando l’ingresso nel mondo del lavoro alle donne o ai pensionati. Tali politiche hanno avuto risultati contrastanti così come dimostrato dal fatto che le politiche di sostegno economico per la maternità non abbiano invertito i trend negativi degli ultimi decenni oppure che la forza lavoro sia destinata a contrarsi maggiormente.

Tali politiche hanno cercato di colmare il gap derivante dalla mancata adozione di politiche migratorie che avrebbero potuto far fronte in maniera più concreta alla questione demografica e ai suoi corollari. Ciononostante, le ultime disposizioni legislative dimostrerebbero un allentamento della presa migratoria.

In conclusione, si ritiene che il #Giappone debba trovarsi pronto alla sfida migratoria dando avvio a politiche di integrazione che siano in grado di inserire nel tessuto sociale i nuovi arrivati cercando al contempo di alleviare le preoccupazioni della componente nipponica timorosa di perdere le proprie tradizioni identitarie in una sorta di melting-pot in salsa a stelle e strisce. D’altronde non bisogna dimenticare come la storia del Giappone sia stata caratterizzata da continue ondate migratorie che hanno stimolato la crescita e l’innovazione nipponica per poi diventare parte integrante della propria cultura.


RIFERIMENTI

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