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Il futuro dell’UE tra sogni e realtà: dalla Conferenza sul futuro dell’Europa al quadro finanziario

Aggiornamento: 14 nov 2020

Il prossimo 9 maggio, a 70 anni dalla dichiarazione Schuman e a 75 dalla fine del secondo conflitto mondiale nel nostro continente, avrà inizio la Conferenza sul futuro dell’Europa, parte integrante del programma della Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Tale Conferenza dovrebbe avere una durata di due anni e porsi come obiettivo quello di riformare e modernizzare l’Unione, superando alcuni anacronismi ed eliminando varie criticità, in un processo inter-istituzionale di coinvolgimento dei cittadini e delle realtà nazionali, regionali e locali.

Dietro un nobile e meritorio proposito si celano però numerose incognite che rischiano di trasformare una importante opportunità in un’inconcludente vetrina politica per qualche leader. La Conferenza rischia di arenarsi prima ancora di partire, mentre il negoziato in corso simultaneamente sul Quadro Finanziario Pluriennale dell’UE potrebbe compromettere sul nascere le ambizioni della Commissione “geopolitica”.

Il futuro dell’Unione si gioca dunque su un filo sottile e rischioso. Cadere non sarebbe indolore e rialzarsi potrebbe rivelarsi molto difficile.

LE REGOLE DEL GIOCO CHE NON SI VOGLIONO CAMBIARE

Una rapida lettura della risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 15 gennaio e della successiva Comunicazione della Commissione del 22 gennaio evidenzia la prima e fondamentale problematica che la Conferenza dovrà affrontare: le divergenti priorità di Parlamento, Commissione e Consiglio. L’enfasi del Parlamento viene posta sulla revisione dei Trattati, funzionale alla trasformazione dell’Unione in un soggetto più efficace ed efficiente. Il Parlamento, in quanto unico organo eletto direttamente dai cittadini, ambisce anche ad essere la guida dell’intero processo, assumendo quindi un ruolo centrale e decisivo nella determinazione degli esiti finali. Di avviso parzialmente diverso sono rispettivamente la Commissione e il Consiglio, che prediligono un dibattito concentrato sulle policy, come l’European Green Deal o il digitale. La stessa possibilità di estendere il voto a maggioranza qualificata, fallita nel 2002 e riproposta con termini diversi nel Trattato di Lisbona del 2009, sembra già essere scomparsa dai radar. Tabù rimane inoltre il conferimento del potere di iniziativa legislativa al Parlamento, misura che sarebbe necessaria per risolvere l’anomalia tutta europea in base alla quale all’organo legislativo è negata la sua funzione principale: proporre le leggi.

Questo è il punto nodale della questione: come è possibile pensare di dare un nuovo slancio all’UE senza che vengano rivisti i suoi meccanismi istituzionali? Come si può pensare che una semplice discussione sulle policy possa permettere all’Unione di contare di più negli affari europei e globali?

L’INGOMBRANTE PRECEDENTE DEL 2002 E LA LEZIONE DELL’EURO-REALISMO

Invece che guardare avanti, l’Unione potrebbe tornare indietro al 2002, anno in cui si diede vita alla fallimentare Convenzione per la costituzione europea, il cui trattato fu bocciato da due referendum in Francia e Olanda. Eppure, come ha ricordato Gianni Bonvicini su Affari Internazionali, a quel tempo “l’Unione era sulla cresta dell’onda. Erano ancora gli anni della grande crescita economica (la crisi sarebbe arrivata nel 2008), da poco era stata avviata la temeraria avventura dell’euro, nel 2004 era arrivato a compimento il più grande allargamento della storia dell’Unione con ben dieci Paesi – la maggioranza dell’Est – ad aggiungersi al nucleo principale”. Oggi le condizioni sono notevolmente peggiori e l’Unione sta vivendo un graduale processo di disintegrazione che la Conferenza potrebbe velocizzare ulteriormente, rendendo evidente ancora una volta ciò che l’euro-realismo ci ricorda: l’Unione europea non è un soggetto geopolitico e non esiste una nazione europea, bensì 27 nazioni con 27 interessi nazionali differenti che talvolta possono trovare un congiunturale allineamento. La novità è che, in un mondo complesso come quello attuale, venuta meno la logica bipolare della Guerra Fredda che fungeva da elemento unificante, è riemersa la competizione tra potenze anche nel Vecchio continente.


L’ALL-IN DELLA COMMISSIONE “GEOPOLITICA” RISCHIA DI SCONTRARSI CON LA CRUDA REALTA’

Il programma della Commissione von der Leyen è un libro dei sogni estremamente ambizioso: dall’European Green Deal alla sovranità digitale europea, passando per la già citata Conferenza sul futuro dell’Europa. Il rischio concreto è però che queste ambizioni vengano stroncate sul nascere dal budget dell’Unione 2021-2027 (il Quadro Finanziario Pluriennale o Multiannual Financial Framework), che probabilmente non avrà le dotazioni finanziarie adeguate per mettere in pratica ciò che per ora rimane scritto su carta. L’ultimo vertice straordinario dedicato al bilancio comunitario è stato un fallimento, che ha messo a nudo le differenze tra le priorità dei vari Stati membri. "La proposta presentata è inaccettabile e non verrà votata dal Parlamento Ue”, così ha commentato David Sassoli, Presidente del Parlamento europeo, sottolineando che la distanza negoziale tra Parlamento e Consiglio è attualmente di 230 miliardi di euro. Le resistenze nazionali rappresentate in Consiglio, in particolar modo dei cosiddetti Stati frugali, puntano infatti all’adozione di un bilancio timido e povero. Paesi come Austria, Svezia, Paesi Bassi e Danimarca vogliono un budget che non superi la soglia dell’1% del reddito nazionale lordo, mentre il Parlamento chiede l’1,3%, la Commissione l’1,114%, la Presidenza finlandese al Consiglio propose l’1,07%, mentre l’ultima offerta del Presidente Michel si è attestata all’1,074%. Questi decimali potrebbero apparire esercizi di perfezionismo, ma nascondono differenze di centinaia di miliardi di euro, senza i quali ogni programmazione di lungo periodo sarebbe impossibile da realizzare.

Solo la storia potrà giudicare, ma certamente il suo giudizio non sarà positivo verso coloro che predicano l’europeismo a parole e pongono le basi per il fallimento dell’Unione nei fatti. Dalla modifica della governance al Quadro Finanziario Pluriennale, non si vede all’orizzonte qualcuno in grado di assumersi l’onere della leadership di una Unione disorientata e smarrita. I veri problemi dell’Europa non sono (solo) a Varsavia, Budapest o nei centri di gravità dell’anti-europeismo, ma soprattutto a Berlino, Parigi, Vienna, Copenaghen, Stoccolma, Amsterdam e via discorrendo.

La verità è che neanche coloro che si definiscono europeisti sono d’accordo su come riformare l’UE, né sono disponibili a dotare l’Unione delle risorse di cui necessiterebbe. Da qui bisognerebbe ripartire, evitando visioni ideologiche e abbracciando un approccio più euro-realistico e pragmatico, basato su:

1) L’abbandono di un europeismo di maniera secondo il quale l’Unione costituisce un vincolo esterno in grado di curare le nostre problematiche interne. L’azione europea è utile e indispensabile ma non sarà mai in grado di surrogare la componente nazionale;

2) La responsabilizzazione dei Paesi del centro nord Europa (Germania inclusa), sempre pronti a bacchettare gli errori altrui ma riluttanti a compiere degli esami di coscienza e a superare il loro solipsismo. Il destino della costruzione comunitaria è in gran parte nelle loro mani: se la macchina europea si schianterà i primi responsabili saranno i guidatori, non coloro seduti nei posti dietro che ne lamentavano l’andatura;

3) La necessità italiana di trovare nuovi allineamenti stabili nel contesto comunitario per arginare lo strapotere franco-tedesco, senza però rinunciare all’importanza cruciale dei rapporti con Berlino e Parigi, coppia molto più divisa di quanto appaia. Inserirsi in queste divisioni e sfruttarle con misura e attenzione potrebbe garantire al nostro Paese un margine di manovra maggiore nei negoziati bilaterali e multilaterali;

4) La consapevolezza che la politica di potenza è tornata tra noi e l’Europa (o meglio gli Stati europei) non potrà rimanerne immune. Pensare di giocare un ruolo nello scontro tra Cina e Stati Uniti rifiutando le logiche che questa impone sarebbe quantomeno ingenuo e controproducente.


FONTI

Risoluzione 2019/2990 del parlamento europeo: https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2020-0010_IT.pdf


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