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Il dilemma della sicurezza in Iraq: nuove e vecchie minacce

Aggiornamento: 28 ago 2021

Fonte: TRT World – Milizie sciite irachene avanzano verso il confine siriano, 2017

1. Introduzione


La questione della sicurezza costituisce una delle maggiori sfide che si interpongono tra l’attuale governo iracheno e la futura stabilizzazione del paese. Vecchie e nuove minacce si sovrappongono in un puzzle di difficile risoluzione, in cui sono in gioco gli interessi geopolitici di Washington e Teheran e il futuro della regione medio-orientale. I ripetuti attacchi da parte di milizie filoiraniane alle truppe statunitensi presenti in Iraq, facenti parte della Coalizione internazionale antiterrorismo, minacciano la permanenza di quest’ultime nel paese, la quale è necessaria per contrastare i brandelli dello Stato Islamico (IS/Daesh) tutt’ora presenti nella terra dei due fiumi.


L'obiettivo di questa analisi è rintracciare i punti di continuità e di discontinuità che legano il passato e il presente dello stato iracheno, al fine di individuare i processi che, dall’invasione americana del 2003 alla sconfitta formale dello Stato Islamico nel 2017, rendono oggi, ancor più di prima, la questione della sicurezza un grattacapo di difficile risoluzione.

2. Il fallimento della pax americana in Iraq


Al-Qaida nasce sul finire degli anni Ottanta in Afganistan, sotto il comando di Osama Bin Laden, con l’obiettivo di punire gli infedeli presenti nel mondo islamico e in quello occidentale. L’organizzazione terroristica compie numerosi attentati, tra cui quello dell’11 settembre a New York. Quest’ultimo ha dato avvio alla ‘’Guerra al Terrore’’ lanciata dagli Stati Uniti contro il terrorismo islamico in Medio Oriente.


Due anni dopo, l’amministrazione Bush ritiene necessario invadere l’Iraq, sulla base del presupposto che Saddam Hussein, a capo della Repubblica Irachena, intrattenga rapporti con Al-Qaida e disponga di armi di distruzione di massa. ‘’La creazione di un Iraq libero nel cuore del Medio Oriente sarà un evento spartiacque nella rivoluzione democratica globale’’, pronunciava il presidente americano a maggio 2003.


L’invasione americana ha portato all’istituzione di un regime di governo che ha estromesso ampie fasce della popolazione dai processi di state-building del nuovo Iraq. Attraverso una spartizione del potere su base confessionale (muhasasa taifiyya), è stato garantito il predominio delle forze politiche sciite, vicine a Teheran, con conseguente marginalizzazione della componente sunnita della popolazione irachena. Questa situazione ha acuito i sentimenti di odio e sospetto reciproco intracomunitari, con terribili conseguenze: lo scoppio della guerra civile del 2005, che ha interessato in particolar modo la città di Baghdad, [1] e la nascita di movimenti radicali e gruppi armati di natura sunnita e sciita.

Fonte: Time Magazine – la moschea di Askariyya dopo il bombardamento del 2006

A Samarra, nel febbraio 2006, viene bombardata la moschea sciita di Askariyya per mano del ramo iracheno di al-Qaida, al-Qaida in Mesopotamia, sotto il comando di Al-Zarqawi, fedele compagno di Osama Bin Laden. Quest’organizzazione terroristica ha costituito il secondo stadio evolutivo del nucleo operativo dello Stato Islamico (Daish/IS).


Nel 2007, il forte livello di insicurezza in Iraq ha reso necessario un cambiamento di strategia politico-militare da parte degli Stati Uniti, attraverso un aumento del numero delle truppe americane presenti sul territorio e l’arruolamento delle comunità sunnite, in gran parte presenti al nord, in milizie filogovernative [2]. Il che ha garantito la de-escalation della violenza intercomunitaria e un periodo di relativa stabilità nel paese.

3. Ascesa e declino dello Stato Islamico nella terra dei due fiumi


Le proteste popolari scoppiate in Medio Oriente e Nord Africa, tra il 2010 e il 2011, sono state espressione di un malcontento ampiamente diffuso: la popolazione chiedeva la nascita di governi maggiormente inclusivi e denunciava la dilagante corruzione statale. Nel caso dell’Iraq, lo scoppio della cosiddetta Primavere Araba è stato accompagnato da un inasprimento del carattere repressivo e autoritario del governo di Nouri al-Maliki, primo ministro dal 2006 al 2014, appartenente al partito politico sciita filoiraniano Al-Da’wa[3].


Al-Maliki, facendo leva su una politica del sospetto finalizzata a rafforzare il suo potere, ha disposto l’arresto di alcune personalità sunnite irachene (giornalisti e politici), in quanto considerate fervidi sostenitori del regime di Saddam Hussein. Queste dinamiche hanno fatto leva su alcuni processi che l’invasione americana aveva già innescato nella società irachena, incentivando la radicalizzazione delle comunità sunnite e rafforzando le reti jihadiste presenti Levante arabo [4].


Nasce così, su spinta anche delle dinamiche che hanno seguito lo scoppio della Primavere araba in Siria, una minaccia ben peggiore di Al-Qaida: lo Stato Islamico (IS/Daesh). Nel giugno 2013, il gruppo terroristico conquista la città irachena di Mosul la quale, nel luglio 2014, diventa capitale del nuovo Califfato Islamico con a capo Abu Bakr al-Baghdadi.


Asseguito di ciò, l'Ayatollah Ali al-Sistani, la più alta autorità sciita presente in Iraq, emana un editto religioso (fatwa), dal nome al-Jihad al-Kifai (in italiano ‘’L’obbligo collettivo’’) in cui esorta i cittadini maschi della regione ad arruolarsi affianco delle forze di sicurezza irachene nella lotta al sedicente Stato Islamico. Ne consegue la nascita della coalizione militare delle Forze di Mobilitazione Popolare e il rafforzarsi delle Brigate di Hezbollah, gruppi paramilitari entrambi finanziati a addestrati da Teheran.


Nello stesso periodo, gli Stati Uniti intervengono militarmente in Iraq: forniscono armi alle forze militari della regione settentrionale del Kurdistan iracheno; lanciano attacchi aerei nelle aree conquistate dello Stato Islamico. A seguire, altri nove paesi si uniscono a queste operazioni, formando la Coalizione internazionale antiterrorismo, tutt’ora presente in Iraq anche se in numero ridotto.

Fonte: Euronews – in grigio scuro i territori sotto il controllo dello Stato Islamico dal 2014 al 2015

A dicembre 2017, con la riconquista di Mosul, lo Stato Islamico perde il controllo dei territori conquistati in Iraq. La sua sconfitta formale, tuttavia, non ha comportato la completa eradicazione dei gruppi terroristici dalla terra dei due fiumi. Solo nella prima metà del 2019 ci sono stati 139 attacchi nei governatori di Salah al-Din, Kirkuk, Diyala e Anbar, dove sono state più di 240 le vittime tra civili e forze di sicurezze governative. Ad agosto dello stesso anno, un rapporto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite avverte che lo Stato Islamico continua a rappresentare una minaccia per la sicurezza internazionale, in quanto le attività illegali gestite dalle reti terroristiche presenti in Siria e Iraq non si sono mai fermate.

4. L’Iraq oggi: le sfide del nuovo governo


A ottobre 2019 ha preso piede la più grande forma di dissenso popolare a cui l’Iraq abbia mai assistito. La popolazione, al di là delle differenze etnico-confessionali, si è radunata chiedendo lo smantellamento della muhasasa taifiyya e la fine di interferenze di stati esterni negli affari interni del paese. La nuova ondata di proteste ha dato avvio a una impasse politica senza precedenti. Nel mese di maggio 2020, il Parlamento iracheno ha scelto Mustafa al-Kadhimi come nuovo primo ministro. All’indomani della sua nomina, tuttavia, la coalizione politica Fatah, che riunisce i partiti politici vicini a Teheran, ha fatto pressione su di lui affinché nominasse alcune figure da loro suggerite per ricoprire cariche particolarmente strategiche, tra cui il Ministro del petrolio e degli Affari Esteri, a riprova della forte presenza del deep state iraniano in Iraq.


Al-Kadhimi ha più volte sottolineato la necessità di dover ridurre il potere politico, economico e militare di cui godono le milizie sciite filoiraniane presenti in Iraq, accusate dell’uccisione di centinaia di manifestanti, durante le proteste scoppiate lo scorso ottobre, e di svolgere attività di contrabbando ai confini del paese. Il loro numero è aumentato esponenzialmente dal 2010 al 2014 - da 4.000 unità a oltre 60.000 – sia a seguito del ritiro delle truppe americane nel 2011 sia dell’appello di al-Sistani nel 2014. Questi gruppi paramilitari sono il braccio armato di cui fa uso Teheran per difendere i suoi interessi geopolitici nell’area, attaccando militarmente entità politiche e commerciali appartenenti ai suoi nemici, in primis gli Stati Uniti. A giugno, Al-Kadhimi, ha ordinato il Counter Terrorism Service di indagare sull’operato delle Brigate di Hezbollah, con conseguente arresto di una decina di elementi accusati di aver programmato attacchi missilistici ai danni dell’ambasciata americana presente a Baghdad.


Un’altra questione spinosa per il nuovo governo è il fantasma dello smembrato Stato Islamico a nord del paese. A fine aprile, alcune cellule terroristiche hanno assediato il villaggio di Mubarak, nel governatorato di Diyala, a nord-est di Baghdad. Più di recente, sono avvenuti nuovi attacchi nelle aree desertiche delle provincie di Anbar, Ninive e Salah al-Din che hanno portato Al-Kadhimi ad incontrare gli alti ufficiali dell'esercito a Kirkuk, area facente parte del cosiddetto triangolo della morte. Nei colloqui è emerso un dato molto importante: i militari iracheni sono in grado di compiere operazioni terrestri, ma necessitano dell'aiuto degli Stati Uniti per la ricognizione e il supporto aereo.

5. USA vs Iran: gli ultimi sviluppi

Fonte: Andalou Agency – foto scattata poco dopo l’attacco missilistico di novembre 2019 alla Green Zone di Baghdad

Tra ottobre 2019 e luglio di quest'anno, circa 40 attacchi missilistici hanno preso di mira la Green Zone di Baghdad, sede dell’ambasciata americana in Iraq, oltre a soldati americani e convogli diretti verso le postazioni militari statunitensi. A fine settembre, sei missili hanno attaccato nuovamente la Green Zone e un ordigno esplosivo ha messo in pericolo un convoglio che era in viaggio verso la provincia di Salah Al-Din, dove si trova gran parte delle truppe statunitensi appartenenti alla Coalizione internazionale antiterrorismo.


Dietro questi attacchi ci sono gruppi paramilitari finanziati e addestrati da Teheran, tra cui le Brigate di Hezbollah. Non molti gironi fa, il loro portavoce, Mohammad Mohi, ha dichiarato una tregua temporanea con gli Stati Uniti, ma a due condizioni ben precise: le truppe iraniane non dovranno essere colpite e il governo iracheno dovrà disporre un calendario che regoli il ritiro definitivo delle soldati americani dall’Iraq, attuando quanto è stato emanato dal Parlamento asseguito dell’assassinio di Qasim Suleimani e Abu Mahdi al-Muhandis il 3 gennaio di quest’anno. Il primo era capo della falange al-Quds, facente parte delle Forze di Mobilitazione Popolare, l’altro era il vicecomandante di quest’ultime.

6. Conclusione


Stati Uniti e Iran sono stati i fautori del nuovo Iraq post-Saddam. L’invasione americana del 2003, giustificata in nome della ‘’Guerra al Terrore’’, ha garantito lo strapotere delle forze politiche sciite, a discapito delle altre componenti etniche e religiose del paese, con pesanti conseguenze: radicalizzazione della componente sunnita della popolazione irachena, proliferare di milizie di varia natura (gruppi terroristici di matrice jihadista salafita e proxy actors filoiraniani).


Ad oggi, il ritiro delle truppe statunitensi, in gran parte appartenenti alla Coalizione internazionale antiterrorismo, potrebbe avere le seguenti conseguenze. Innanzitutto, permetterebbe alle cellule terroristiche presenti a nord dell’Iraq di guadagnare terreno, considerando che l’esercito iracheno non è in grado da solo di affrontare la rinnovata minaccia jihadista. In secondo luogo, consentirebbe a Teheran di rafforzare la sua influenza nella terra dei due fiumi, acuendo l’ira della popolazione e ledendo gli interessi di Washington nel paese.


D’altra parte, stando alle ultime dichiarazioni, il ritiro delle truppe statunitensi, fortemente voluto da Teheran, non si realizzerà nel breve termine. ‘’Continueremo a mantenere i nostri soldati fintanto che il governo iracheno vorrà avere forze statunitensi e della Coalizione e fino a quando la sconfitta di Daesh non sarà realizzata’’ ha dichiarato a giugno 2020 l’inviato speciale USA nella regione. Il che potrebbe comportare a nuovi attacchi ai loro danni da parte delle milizie filoiraniane, rendendo l’Iraq teatro del conflitto militare indiretto tra Washington e Teheran, con conseguenze devastanti per la sicurezza non solo del paese ma dell’intera regione medio-orientale.


Alla luce di ciò, è evidente che il ripristino della sicurezza in Iraq dipende dalla ridefinizione del loro ruolo politico-militare che Stati Uniti e Iran, fautori dell’Iraq post-Saddam, hanno nella terra dei due fiumi. Nuovi disequilibri potrebbero portare a nuovi cicli di violenza, riportando in vita i fantasmi del passato.


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Il dilemma della sicurezza in Iraq, NICK
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Bibliografia


[1] Fanar H. Sectarian Relations in Arab Iraq: Contexualising the Civil War of 2006–2007,2013, Journal of Middle Eastern Studies


[2] Friedman B. S, A. Jeffrey N.Shapiro J. Testing the surge: why did violence decline in Iraq in 2007?’’,2017, International Security Vol.37 no.1


[3] Matilde B. Al-Maliki Looks at a Third Term in Iraq, 2014, Al Jazeera Center for Studies, 2014


[4] Lia B. Jihadism in the Arab World after 2011: Explaining Its Expansion, Middle East Policy XXIII (4), pp.74-91

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