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Il 2020 del Cile: verso la modifica della Costituzione Pinochet nel ricordo di Luis Sepúlveda

Aggiornamento: 1 nov 2020

Un anniversario speciale

Il 2020 è un anno particolare per il Cile. Il Paese del Cono Sud celebra il trentesimo anniversario della transizione democratica. Era marzo del 1990 quando il generale Pinochet consegnò la fascia presidenziale a Patricio Aylwin. Da allora l’implementazione delle riforme di carattere politico-sociale è ancora in corso.

A Santiago, la città in cui Pablo Neruda ammirava “il crepuscolo che cadeva sui tetti di Mapocho con un colore di caffè triste”[1], il 2019 non si è concluso in modo pacifico.

Negli ultimi mesi dell’anno, infatti, i manifestanti hanno riempito le piazze della capitale, al grido “No son 30 pesos, son 30 años”. Lo slogan si riferiva al fatto che in ballo c’è molto di più dell’aumento – decisamente modesto – dei biglietti del trasporto pubblico urbano, il cui costo è passato proprio da 800 a 830 pesos. La rabbia delle piazze è stata repressa dai carabineros e immagini di violenza, morte e distruzione hanno fatto il giro del mondo.

Quelle stesse piazze sono state prontamente demonizzate dal Presidente Sebastián Piñera, secondo il quale il Cile è “in guerra contro un nemico potente e implacabile” ed è una “battaglia che non può essere persa”.


“Apruebo” o “Rechazo”

Non è bastato il frettoloso annullamento dell’aumento delle tariffe per calmare le proteste, a dimostrazione del fatto che la questione è più profonda e complessa e riguarda l’eredità della transizione democratica. Ad essere contestata è innanzitutto la disuguaglianza socioeconomica acuta, incrementata da un modello economico fortemente dominato dagli attori del mercato; senza dimenticare poi le rivendicazioni per un’educazione pubblica di qualità, quelle contro il sistema pensionistico privatizzato, e, infine, la questione indigena del popolo mapuche.

Le mobilitazioni hanno portato alla conclusione di un accordo per lo svolgimento di un referendum sulla modifica della “Costituzione di Pinochet”. Lo scorso 26 aprile i cileni avrebbero dovuto partecipare al referendum per deciderne la modifica.

La carta costituzionale approvata nel 1980, durante il regime militare, da allora è contestata in quanto elaborata senza alcuna partecipazione democratica (nessuna Assemblea costituente) e per il modello socioeconomico che mantiene in vita. L’emergenza coronavirus ha tuttavia reso inevitabile il rinvio del plebiscito, fissato questa volta per il prossimo 25 ottobre. I cittadini saranno allora chiamati a rispondere a due quesiti. Il primo richiede di scegliere se approvare una nuova costituzione. Nel caso in cui venga data risposta positiva (SÍ apruebo Nueva Constitución), si tratta poi di capire quale meccanismo si preferisce che venga utilizzato per procedere alla modifica.

Come spiega Claudia Maldonado, sociologa dell’Università Libera di Berlino, sono possibili diverse metodologie. La Costituzione potrebbe essere elaborata con il contributo sia della società civile che di un gruppo di parlamentari disposti a rinunciare al loro incarico nel Congresso. Altra ipotesi è quella di una Costituzione “cittadina”, elaborata da membri della società civile democraticamente eletti specificatamente per questa funzione. L’ultima possibilità sarebbe quella di legittimare la nuova Costituzione con una ratifica popolare tramite voto obbligatorio.


Luis Sepúlveda e il dibattito sulla questione Pinochet

Il 2020 è un anno particolare per il Cile anche perché la sua letteratura ha perso una delle sue voci più autorevoli, Luis Sepúlveda. Proprio lo scrittore e attivista cileno nel 2016 spiegava così la questione della Costituzione di Pinochet: “Che la Costituzione vigente sia ancora quella stilata dalla dittatura è la dimostrazione che poche cose sono cambiate. L’ex presidente Patricio Alwyn promise «una democrazia per quanto possibile», «una giustizia per quanto possibile» ma quel «possibile» fu deciso da civili complici della dittatura e dai partiti che hanno governato proprio dal 1990”.

Inoltre, si deve al Cile di Pinochet l’introduzione nel paese del modello economico neoliberista della scuola di Chicago, originariamente pensato per rilanciare crescita e sviluppo economico.

Sepúlveda ci ha lasciato dei bellissimi racconti, che si decise a raccogliere in un libro solo dopo averne buttati via moltissimi perché, a suo dire, sembravano scritti da un secondo Cortázar, meno bravo dell’originale. In essi ha raccontato il viaggio, l’utopia, la politica, l’avventura, l’amore, l’ironia, il mistero.

Oltre ad essi, di Sepúlveda ci rimane la memoria della dittatura. Arrestato nel 1973 a causa dell’impegno politico nelle file del partito socialista, lo scrittore fu poi condannato all’esilio e a 30 anni di vita da apolide.

Come indagato in una precedente analisi, in Cile la memoria della dittatura non è una sola. Esistono più memorie. Dove si colloca Luis Sepúlveda nello spettro della memoria cilena?

In La locura de Pinochet y otros artículos, del 2002, Sepúlveda mette nero su bianco la sua memoria e descrive un Paese attraversato da una frattura profonda, che si esprime attraverso due linguaggi predominanti. Da un lato, ci sono coloro per i quali l’ordine di arresto del generale Pinochet a Londra ha scosso la memoria e ha riportato alla luce delle immagini che si credevano sotterrate. Era il 16 ottobre 1998 e quel giorno cominciò un’intesa vicenda giudiziaria che fomentò il dibattito in Cile e all’estero.

Dall’altro lato, per tutti gli altri quelle immagi non sono mai state sotterrate e la loro memoria non è mai stata tranquilla. Secondo lo scrittore, i primi sono gli stessi che dicono a coloro che furono condannati a quindici, vent’anni di esilio, persero una casa, una città, un Paese, un passato, una vita, che adesso bisogna dimenticare tutto, perdonare e riconciliarsi.

A chi gli chiedeva se ritenesse che mancasse una memoria collettiva delle dittature latinoamericane, Sepúlveda rispondeva che non è l’assenza di memoria, ma “l’intenzione di annientare la memoria collettiva, di cancellare la storia e tutti quei fatti che oggi risultano scomodi al potere”.

Una transizione negoziata

Sepúlveda non poteva accettare la natura negoziata della transizione cilena e lo ha dimostrato scrivendo che “In Cile una buona parte del passato, soprattutto quanto avvenuto tra il 1974 e il 1989, fu cancellato dalla memoria attraverso un atroce decreto e l’imposizione forzata dell’amnistia come ragione di Stato”.

Il passaggio del Cile alla democrazia ha comportato la conclusione di un duplice patto. Un patto esplicito costituito dagli accordi tra il governo militare e l’opposizione per riformare la Costituzione del 1980 e sottoposti a referendum nel 1989. Accanto a questo patto esplicito vi fu, poi, un patto tacito relativo all’accettazione, da parte dell’opposizione del coinvolgimento, delle forze armate nel processo politico e legislativo, nonché all’intangibilità della legge di amnistia decretata dal regime.

In Cile il processo di transizione si realizzò più tardi rispetto al resto dell’America Latina, che pure stava vivendo nello stesso periodo esperienze militari la cui brutalità variava da caso a caso. In Ecuador i militari uscirono di scena nel 1979, mentre le elezioni furono indette nel 1982 in Brasile, nel 1983 in Argentina e l’anno successivo in Uruguay. Fatta eccezione per l’Argentina, dove il cambio di regime si realizzò rapidamente e senza pattuizioni, in tutti gli altri casi il ritorno dei militari in caserma implicò per le opposizioni civili di scendere a patti con gli uomini in divisa. Questi ultimi tentarono di strappare una serie di garanzie nella fase di passaggio delle consegne. Nel caso cileno, l’opposizione scese a patti con i militari innanzitutto nel momento in cui accettò lo svolgimento del referendum del 1988 nel quadro della Costituzione del 1980, tuttora in vigore.

Pinochet aveva in mente una democrazia “protetta” dai militari e così stabilì l’inamovibilità dei vertici comandi (tra cui lui stesso) e dei principali enti pubblici, in particolare il Consejo de Seguridad Nacional, istituito dalla Costituzione del 1980. Con quel referendum, infatti, Pinochet intendeva garantirsi la permanenza al potere fino al 1997. Non ci riuscì, poiché ottenne solo il 43% dei consensi e fu costretto ad accettare le elezioni del 1989, ma le cose per lui non andarono così male. Nella neonata e fragilissima democrazia cilena, infatti, l’ex generale ottenne la designazione di senatore a vita, la continuità del modello economico che lui stesso aveva introdotto e il privilegio dell’impunità. Come spiega lo stesso Sepúlveda, “Nemmeno una delle richieste di giustizia avanzata dalle vittime fu accettata, riconosciuta o rivendicata. L’impunità dei criminali fu accettata come prezzo da pagare per la prosperità”.

Proprio quella immunità fu invocata dalle autorità cilene il giorno successivo all’arresto londinese. Nei giorni seguenti, un gruppo di sostenitori dell’ex dittatore manifestarono davanti all’ambasciata britannica. Sepúlveda ha commentato così quell’episodio: “Affermare che un’eventuale rimozione della sua immunità e il conseguente processo in Spagna, in Francia o in uno degli altri paesi che hanno sollevato richieste di estradizione comporterebbe un rischio per la pace sociale cilena e per la nascente democrazia è una mostruosa deformazione della verità”.

Per Sepúlveda, “affermare che la società cilena potrebbe essere una di quelle che hanno optato per non aprire vecchie ferite al fine di avanzare verso una pienezza civica significa disconoscere il dolore delle vittime e mancare di rispetto al sacro dolore delle vittime. In Cile le ferite sono aperte, molto aperte e sanguinanti”.


Conclusioni

Il giorno in cui il giudice Guzmán dichiarò Pinochet colpevole e dispose per lui gli arresti domiciliari Sepúlveda si trovava a Santiago. La sera uscì per cercare un bar dove bere un bicchiere di vino alla salute dei suoi compagni massacrati, di quelli il cui corpo è stato gettato in mare, nei laghi, nei fiumi e nei pozzi senza fondo delle mine, per brindare con loro per tutti gli anni di memoria.

Il protagonista del suo racconto intitolato “Storia d’amore senza parole” deve arrendersi al fatto che la donna che ama, una sarta muta dalla nascita, lascia per sempre la città senza alcuna spiegazione. Si consola al pensiero che con il passare del tempo, il tempo sarebbe passato sui suoi passi, la città non sarebbe più esistita, né le strade, né i negozi, né l’atmosfera proustiana senza decadenza, perché tutto sarebbe scomparso.

Nella vita vera, fuori dai racconti di Sepúlveda, niente è scomparso, tutto è ancora com’era.

In conclusione, i prossimi mesi saranno decisivi per capire se e come cambierà il Cile. Qualora il referendum dovesse confermare la volontà dei cittadini di adottare una nuova Costituzione, esito che per il momento appare più probabile, sarà un momento storico per il Paese, retto per trent’anni da una legge fondamentale redatta durante la dittatura. Per la prima volta potranno essere affrontati i problemi socioeconomici strutturali che sono oggetto delle istanze popolari e che impediscono una vita degna per molti cileni. Si tratterà, a quel punto, di elaborare un nuovo patto sociale. Anche se le difficoltà non mancheranno vista l’elevata polarizzazione della società, il Cile ha un buon motivo per guardare con speranza al futuro come avrebbe fatto Sepúlveda, votando SÍ, apruebo nueva Constitución .


Note

[1] https://neruda.uchile.cl/entrevista/27.htm


Bibliografia

· L. Sepúlveda, La locura de Pinochet y otros artículos, Literastur, 2002;

· L. Sepúlveda, Tutti i racconti, Guanda, 2012;

· Ó. Godoy Arcaya, LA TRANSICIÓN CHILENA A LA DEMOCRACIA: PACTADA, in Estudios Públicos, 74 (otoño 1999).

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