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Huawei e non solo: la terza guerra dell'oppio tecnologica tra Cina e USA

Aggiornamento: 14 nov 2020

Fonte: https://medium.com/china-files/in-cina-e-asia-cina-usa-la-guerra-commerciale-può-attendere-5d50d45c687a

1. Gli ultimi sviluppi di cronaca

L’arresto, avvenuto in Canada lo scorso primo dicembre 2018, della direttrice finanziaria di Huawei Wanzhou Meng ha rappresentato un salto di qualità notevole nello scontro tra Cina e Stati Uniti. Ottawa ha già avviato l’iter per l’estradizione negli USA della CFO cinese, su cui pende l’accusa di aver violato le sanzioni sul nucleare all’Iran. Pechino ovviamente non è rimasta inerme, fermando due cittadini canadesi con l’accusa di spionaggio e condannandone un altro a morte per narcotraffico. Inoltre, Huawei ha fatto causa al governo statunitense per la legge che vieta alle agenzie federali di acquistare tecnologia dal colosso cinese e da Zte, definendola una legge incostituzionale. Dietro questi eventi di cronaca si cela la vera partita tra il Dragone e lo Zio Sam: quella per la supremazia tecnologica.


2. Tech War, non Trade War

Spesso interpretata come disputa commerciale, la trade war in corso tra Stati Uniti e Cina andrebbe più opportunamente definita tech war, ovvero guerra tecnologica, come sostenuto dallo storico inglese Niall Ferguson. Concretamente infatti la volontà primaria di Washington non è quella di riequilibrare la bilancia commerciale, come spesso afferma Trump, bensì di impedire a Pechino di superare gli Stati Uniti nel campo dell’intelligenza artificiale (AI), del 5G, del cyber, della scienza quantistica e della robotica. I cinesi hanno una sviluppata memoria storica che li porta a legare il secolo dell’umiliazione al ritardo tecnologico nei confronti delle potenze europee e del Giappone. Ne consegue che, per evitare di precipitare nuovamente in quell’incubo, è indispensabile agire preventivamente. Per la Cina svilupparsi nei settori high tech è anche e soprattutto necessario per incentivare lo sviluppo economico, mantenere la stabilità interna e potenziare le proprie forze armate. In questa direzione la Repubblica Popolare ha varato nel 2015 il piano industriale Made in China 2025, un ambizioso progetto che mira a rendere la Cina autosufficiente nell’alta tecnologia e a colmare il gap con gli Stati Uniti. Ancora oggi infatti i colossi cinesi dipendono da hardware e software americani: soltanto il 16% dei semiconduttori usati in Cina è prodotto nella Repubblica Popolare, cifra che Pechino spera di elevare al 40% nel 2020 e al 70% nel 2025. Il giro d’affari stimato nei prossimi sei anni intorno alle industrie connesse all’AI nell’Impero del Centro è di 740 miliardi di dollari circa, quanto basta per suscitare una reazione nei centri decisionali americani, tutti unanimemente concordi su un punto: il primato tecnologico a stelle e strisce va mantenuto, ad ogni costo.


3. Il ruolo di Huawei

Fonte: https://www.startmag.it/innovazione/5g-huawei-zte-qualcomm-intel/

Huawei si inserisce in questo quadro essendo la prima produttrice al mondo di attrezzatura per telecomunicazioni e la seconda per fornitura di smartphone. Il primo punto è molto più rilevante del secondo in quanto investe il settore strategico relativo alla realizzazione delle reti 5G, infrastrutture il cui controllo permette il monitoraggio del flusso di metadati, ovvero la gestione delle nostre vite. In questo campo la Cina ha fatto passi da gigante: Huawei al 4 febbraio 2019 ha depositato 1529 brevetti per il 5G, davanti alla finlandese Nokia che si colloca al secondo posto con 1397 brevetti e più del doppio di Qualcomm (787 brevetti), prima società americana in classifica. La statunitense Intel si ferma addirittura a 550 brevetti, un terzo del colosso cinese. Gli Stati Uniti temono che vari Paesi alleati possano permettere ad aziende cinesi di realizzare le proprie reti 5G, consegnando a detta di Washington preziosissime informazioni sulle nostre società direttamente al governo di Pechino, che sarebbe legato a doppio filo con Huawei. Quest’ultima, nonostante basi la propria difesa sul fatto di essere una compagnia privata e indipendente, viene considerata non una azienda globale, bensì un’azienda cinese che fa affari globalmente. Un formalismo giuridico non può dismettere il DNA sinico, suffragato anche dall’atteggiamento dei cinesi stessi verso Huawei, considerata un orgoglio nazionale parte integrante della propria identità e della propria cultura. In questo senso vanno lette le pressioni statunitensi sui governi alleati affinché mettano al bando le aziende cinesi dalle reti 5G e le minacce di ridurre la condivisione di informazioni di intelligence o la cooperazione nel settore della Difesa se ci si comportasse diversamente.

Inoltre la Cina e Huawei puntano a erodere il vantaggio statunitense nel campo dell’Intelligenza Artificiale: il colosso di Shenzen si stima investa tra i 15 e i 20 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo, impiegando il 45% della forza lavoro (80mila dipendenti) in R&D. Il network internazionale di consulenza strategica PricewaterhouseCoopers prevede che il pil globale aumenti di 15.7 trilioni di dollari entro il 2030 grazie allo sviluppo dell’AI, dei quali 3.7 trilioni in Nord America e 7 trilioni di dollari in Cina, quasi il doppio.

Le ambizioni cinesi si manifestano anche nelle Vie della Seta digitali, il cui progetto principale è il Peace (Pakistan & East Africa Connecting Europe), un sistema di 12 mila chilometri di cavi sottomarini con cui Hengtong e Huawei si pongono l’obiettivo di unire Asia, Africa e Europa. Proprio i cavi sottomarini costituiscono l’arteria vitale su cui viaggiano il 99% dei dati scambiati in rete, rendendo l’accesso ad essi fondamentale per conoscere il subconscio del pianeta, curiosità ineludibile di ogni grande potenza che voglia anticipare i trend globali, giocando d’anticipo anziché di rimessa.

Infine, a sottolineare quanto lo scontro con Huawei sia totalizzante e multidimensionale è la decisione di molte università statunitensi di prendere le distanze dal colosso cinese, bloccando ogni tipo di donazione e finanziamento. Princeton, Stanford, la Ohio State University, la University of California, quella del Wisconsin e del Minnesota sono solo alcuni atenei che hanno già preso iniziative in merito.


4. Valutazioni finali e prospettive

Storicamente ogni potenza egemone è sempre stata superiore tecnologicamente rispetto ai rivali. Il controllo di Internet non è altro che il versante virtuale dell’Impero americano e sostanzia la globalizzazione a stelle e strisce, il cosiddetto Washington consensus. L’intelligence Usa, attraverso il libero accesso ai dati dei giganti della Silicon Valley, controlla gli umori, i pensieri, le ossessioni, le paure, le attitudini e le ambizioni del pianeta. La Cina vuole rompere questo strapotere ed offrirsi come alternativa, utilizzando le Nuove Vie della Seta come mezzo per estendere la propria influenza.

Washington ne è consapevole, e intende stroncare ogni velleità cinese stringendo a sé i Gafa (Google, Amazon, Facebook, Apple) e colpendo lo sviluppo tecnologico della Repubblica Popolare. Basterà? Pechino ha indubbiamente dalla sua una enorme disponibilità di dati, una classe imprenditoriale in ascesa e soprattutto un supporto governativo massiccio in grado di investire grandi liquidità nell’alta tecnologia. Inoltre, la Cina può far leva sulla mancanza di alternative offerte dagli Stati Uniti per la realizzazione di reti 5G, settore colpevolmente sottovalutato negli anni da Washington. Tuttavia, la Cina si appresta ad affrontare periodi molto difficili, con una crescita economica in rallentamento, in piena crisi demografica e con la necessità di preservare la stabilità interna, scongiurando pericolose spinte centrifughe. In aggiunta la Cina è un Paese che non dispone di alleati di rilievo, a differenza degli Stati Uniti che stanno rafforzando il contenimento anticinese nell’Indo-Pacifico, che va dall’India al Giappone. Nonostante Trump sia un noto fautore del bilateralismo, sullo strangolamento della Repubblica Popolare c’è una visione comune tra il tycoon e le varie burocrazie federali volta a perseguire un multilateralismo empirico e selettivo, come definito da Marco Valerio Lo Prete. L’isolamento cinese restringe conseguentemente i margini di espansione di società come Huawei, a dispetto della fantasiosa credenza nell’autonomia delle multinazionali dai governi centrali, principio inesistente in ogni parte del mondo, Stati Uniti compresi.

Fonte: Limes

Una cosa è certa: il transitorio periodo di convivenza tutto sommato pacifica tra Stati Uniti e Cina, inaugurato nel 1972 da Nixon, è terminato. La rotta di collisione è difficilmente evitabile in quanto sono gli opposti imperativi strategici a guidarla. Più che ad una nuova guerra fredda 2.0 ci troviamo davanti ad una Terza Guerra dell’Oppio, nella quale lo stupefacente è sostituito dalla tecnologia come fattore scatenante un conflitto al termine del quale uno dei due contendenti vedrà drasticamente ridotto il suo status geopolitico.

Bibliografia

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