top of page

Gli dei e la guerra

Figura 1: Il Moon Knight interpretato da Oscar Isac nella serie Disney + (credit: Marvel Entertainment, LLC)

Abstract


Le ultime settimane hanno riportato la guerra nell’immaginario collettivo. Uno spettro terrificante che, con un po’ di fortuna e un pizzico di snobismo, avevamo relegato ai confini più remoti della nostra vita e delle nostre possibilità. Allo stesso modo la percezione generale della religione invoca generalmente concetti di “pace”, lontana dall’idea di divinità punitive, vendicative o violente. Salvo poi vedere buddhisti militanti dare alle fiamme persone in Myanmar o il patriarca di Mosca incitare alla conquista o il governo statunitense battezzare “giustizia divina” una delle proprie campagne militari, ma questo è un discorso differente e pernicioso. Ma non è sempre stato così. Anzi, per gran parte del nostro percorso di sapiens la guerra oltre ad essere parte integrante del nostro linguaggio e dei nostri rapporti interculturali rappresentava anche una faccia del complesso concetto di “giustizia”.


1. Introduzione


Proprio in queste controverse settimane il grande intrattenimento, fucina della cultura popolare, ha forgiato Moon Knight, l’ennesimo prodotto supereroistico targato Marvel- Disney ma dall’origine molto differente rispetto i blasonati colleghi. Marc Spector, creato da Doug Moench e Don Perlin, arriva sulle pagine dei fumetti nella torrida estate del 1975. È un mercenario che, durante uno scontro a fuoco nei pressi del tempio di Konshu in Egitto, perde i sensi. Si risveglierà in un letto di ospedale con evidenti disturbi psichici e pesantissime ferite alle gambe, convinto che sia posseduto dalla divinità della vendetta e della Luna dell’antico Regno, Konshu appunto.

Figura 2: Il controverso rapporto con la divinità di un mercenario, così come immaginato in casa Marvel, (credit: Marvel Entertainment, LLC)

Non verrà mai del tutto chiarito se la sua miracolosa ripresa, che lo porterà a intraprendere una violentissima carriera da vigilante, sia frutto dell’influenza sovrannaturale della divinità o della dedizione del soldato. Con Moon Knight, per la prima volta il fumetto americano affronta esplicitamente il connubio torbido e sanguigno che per secoli ha legato giustizia, guerra e prevaricazione militare. Un concetto del tutto edulcorato nel caso di Thor, se non in storie relativamente molto recenti e che, comunque, non raggiungeranno mai la profondità narrativa riservata da Neil Gaiman alla mitologia norrena nel suo “American Gods”.


Come se non bastasse, lo scorso 21 aprile è approdato nelle sale “The Northman” brutale affresco para-storico dell’Amleto realizzato da Robert Eggers, visionario e disturbante regista di “The Lighthouse” e prima ancora di “The Witch”. Un’opera che non ha paura alcuna di affondare le proprie radici nella sanguinosa tradizione marziale norrena impiegando un’architettura narrativa brutale, feroce ed epica. Una cultura, quella che generalmente definiamo “vichinga”, tramandataci come esplicitamente e naturalmente legata a concetti religiosi piuttosto marziali.

Figura 3: The Northman, l’Amleto secondo Robert Eggers (Credits: Universal Pictures)

2. Violenza sacra, l’antico “monopolio della forza”


Una divinità della guerra è, infatti, un dio o una dea associata alla guerra, ma pure al combattimento o agli spargimenti di sangue in senso lato. Elementi comunemente presenti nella totalità delle religioni e solo raramente con accezioni negative.


La percezione attuale della legge, del colpevole, della violenza è frutto di una costruzione millenaria che in origine era tutt’altro che scevra da superstizioni e credenze.


Il concetto di norma, così come la figura di chi era incaricato di amministrarla, era originariamente legato a doppia mandata ai sistemi tribali; unico modo per rendere obbligatori o vietare concetti in sistemi proto-sociali era connetterli con il divino, spaventare con la minaccia di una punizione trascendente o premiare con la promessa di una ricompensa.


Si era ben lontani dal poter far leva sulla legge morale o sulle norme etiche per definire il delitto e la necessità di sottostare a leggi comuni, era necessario intimorire ed educare mediante la paura di un giudizio divino. Le credenze erano condivise e le divinità temute tanto da chi subiva la punizione quanto da chi applicava lo strumento di coercizione.


Onorando la tradizione si rispettavano le norme della società di appartenenza e chi trasgrediva date norme rappresentava un’onta tanto per sé stesso quanto per tutta la comunità, e proprio per questo motivo ne veniva escluso.


Ma del culto di questi guerrieri ancestrali cosa sappiamo?


3. Vecchi e nuovi dei


Sappiamo che Khonsu, protagonista del prodotto d’intrattenimento MARVEL-DISNEY, ha attraversato varie fasi in base al Regno della storia egizia che si prenda in considerazione, con il minimo comune denominatore, però, della protezione di “coloro che viaggiavano di notte”. Come dio della luce nella notte, divinizzazione della Luna, Khonsu era, poi, invocato come protettore contro quelle minacce che in quella notte si celavano. dagli animali selvatici ai predoni.

Figura 4: Khonsu così come immaginato dalla serie Disney + direttamente ispirata alla narrazione grafica Marvel Comics (credit: Marvel Entertainment, LLC)

Ma, mentre il suo culto raggiunse la piena popolarità solo durante il Nuovo Regno (1550 a. C. – 1069 a. C.) in epoca arcaica era connotato da aspetti piuttosto violenti, molto utili ai fini di un’interpretazione narrativa marziale moderna.


Khonsu, secondo questa versione risalente del mito, era un terrificante dio che mutilava i corpi dei nemici del faraone. Inoltre di lui si legge, nei Testi delle piramidi: “Khonsu, Che uccise i signori, Che li strangola per il Faraone e che per Lui estrae ciò che si trova nei loro corpi”. Ma Khonsu non era solo sangue e viscere, era accompagnare il ba (una delle parti costituenti dell’anima) dei defunti nella duat (aldilà) e di custode e protettore della conoscenza.

Un aspetto, quest’ultimo, che aveva in comune con un’altra divinità guerriera, Atena, dea ellenica della sapienza, della guerra giusta e secondo alcune ricostruzioni, una vera e propria divinità dell’intelligence ante litteram. Ogni volta, infatti, che una fortificazione o una polis sotto assedio veniva presa senza versare sangue, o versandone poco, il generale responsabile della conquista versava un tributo presso il tempio di Atena più vicino.

Figura 5: Atena in assetto da guerra, autore sconosciuto

Sappiamo, inoltre, che in qualsiasi rito romano pubblico, incluse le dichiarazioni di guerra e le evocatio/invocatio delle divinità in assedio, Giano è sempre la prima divinità a essere citata, in quanto garante della soglia e divinità “primigenia”. Proprio in virtù del suo essere soglia è citato in Virgilio, in quanto determina il limite tra guerra e pace (apertura delle porte della guerra). Il tempio di Giano era l’unico riferimento alla guerra, oltre le spoglie depositate presso il tempio di Giove, all’interno del Pomerio. Tutto ciò che era afferente alla vera divinità della guerra, Marte, era invece posto al di fuori della città, data la potenza distruttiva che ne scaturiva, che doveva essere appunto limitata e gestita al di fuori dello spazio sacro cittadino.


Questo perché tanto per i greci quanto per i romani la divinità della guerra è di per sé incontrollabile: una volta scatenatone il furore, il rischio di vittime collaterali diviene altissimo. Proprio in virtù di ciò, il tempio di Marte è posto fuori dalle mura cittadine romane originali. Per lo stesso motivo l’antico e corrispondente culto di Ares in Grecia era relegato a un ambiente che oggi definiremmo di fanatici ed esaltati.


A riprova di ciò, in contesto romano, c’è il mito degli Orazi: quando il giovane Orazio sopravvissuto uccide i tre Curiazi, posseduto dal furor bellico, uccide anche la sorella, amante di uno dei nemici, commettendo una rottura del patto sacro tra uomini e divinità (il Mos, come definito tradizionalmente) e per questo sottoposto a opportuni riti di purificazione. In tal senso la legge è SUPERIORE alla guerra, motivo per cui i Feziali romani, al momento delle dichiarazioni di guerra, erano tenuti a escogitare motivazioni affinché la guerra fosse rispettosa del Patto con gli dèi.


4. Il monoteismo che non ti aspetti


Senza soffermarci sulla spiccata propensione marziale dell’unico di protagonista dell’Antico Testamento, lo stesso Cristo eredita, agli albori del cristianesimo come religione imperiale romana, gli attributi delle laudes imperiali romane: Christus Vincit, Christus Regnat, Christus Imperat, meravigliosamente incarnati nel Christus Imperator o Cristo Guerriero della Cappella Arcivescovile di Ravenna: tutti attributi poi traslati su S. Michele Arcangelo, non a caso patrono delle truppe aviotrasportate ancora oggi.


“Camminerai su aspidi e vipere, schiaccerai leoni e draghi”, così recita il Salmo 91, da cui prendono ispirazione evangelica le raffigurazioni del “Cristo guerriero” cui abbiamo accennato, presente sia nella Cappella, sia all’interno del Battistero Neoniano, quasi nascosto dalla bellezza dei mosaici che decorano il monumento.


In entrambe le raffigurazioni il Cristo è raffigurato imberbe, afferra con la mano (in questo caso la destra) una croce astile rossa posata sulla spalla, con la sinistra, posta sotto la clamide, sorregge il Vangelo aperto e calpesta con i piedi le teste del leone e del serpente. In queste rappresentazioni, come in tutta la concezione cristiana del tempo, la Fede in Dio è paragonata a una invincibile armatura in grado di garantire la salvezza da ogni avversità, tale da poter camminare su aspidi e vipere e calpestare leoni e draghi ovvero tutti quei tipi di avversità che il Giusto, sotto la protezione divina, sarà in grado di affrontare e sconfiggere. Cristo così si presenta come il Giusto guerriero, debellatore di ogni Male.

Figura 6: Cristo guerriero con Croce, Sacellum Archiepiscopale, mosaico, Ravenna, metà VI sec.

Non ha poi, indubbiamente, bisogno di presentazione Odino, nella mitologia eddica, al vertice gerarchico degli Asi. Anche Odino, come Atena e Khonsu, è associato tanto alla sapienza e all'ispirazione poetica, quanto alla guerra e alla vittoria, nonché l’attributo dell’autosacrificio tipico tanto del guerriero quanto del sapiente: egli, infatti, si autoimmola per raggiungere la conoscenza suprema. Odino resta la divinità che ha intrattenuto un rapporto più onesto e autentico, per così dire, con il sangue versato in battaglia, probabilmente anche grazie alla narrazione fatta nei secoli proprio di quei popoli che adoravano Odino. Sicuramente, nell’immaginario collettivo è semplice trovare Odino a brandire un’arma bianca sporca di sangue più che Cristo.

Figura 7: Odino (credits: Fernando Issamo)

5. Conclusioni


Viviamo l’illusione di aver abbandonato antichi rancori e sete di sangue. Nella realtà umana, tuttavia, il conflitto è onnipresente, ancorché mitigato. Guardiamo oggi, che la guerra, nella sua forma più violenta, è di nuovo alle porte d’Europa: da una parte e dall’altra, il fanatismo avanza, nascondendosi dietro ideali fantocci, siano essi il nazionalismo, l’imperialismo, la democrazia o la libertà. Si pretende la Vittoria, la Giustizia, il sangue del nemico: abbondano infatti perfino influencer, bambini imberbi che sui social inneggiano al sangue dei russi di qua, al sangue dei nazisti di là: il dio della Guerra ancora pretende un tributo di sangue, come l’Odino di Gaiman. E in un certo qual senso, è normale, è giusto che sia così. L’errore è aver voluto cancellare gli strumenti che permettevano alle nostre civiltà di mitigare quella sete, ed è così che proprio oggi che ci sentiamo più evoluti, ci riscopriamo solo più animali. Occhio per occhio, dente per dente, fino alla fine dei nostri giorni. O, citando il generale Patton, nella sua gioventù:

So forever in the future
Shall I battle as of yore,
Dying to be born a fighter
But to die again once more.
192 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page