Artemis accords, l’estrazione di risorse dai corpi celesti e il diritto internazionale (Parte II)
Aggiornamento: 14 dic 2020
(di Stefano Dossi)
Qualche giorno fa l’agenzia di stampa Reuters ha fatto trapelare una notizia secondo la quale l’amministrazione Trump starebbe redigendo un trattato internazionale che, tra le altre cose, fungerà da quadro regolatorio per le attività di estrazione sui corpi celesti, in particolare sulla Luna. L’iniziativa ha suscitato non poche critiche dal momento che sembra voler scavalcare i limiti imposti dal diritto internazionale con riguardo allo sfruttamento delle risorse spaziali permettendo, de facto, la possibilità di controllo esclusivo di porzioni di corpi spaziali.

Lo sfruttamento delle risorse che si trovano sulla Luna o sui così detti Near-earth Objects (NEOs) potrebbe sembrare qualcosa di futuristico, ma non è così. Spesso leggiamo opinioni di esperti che affermano che l’umanità sta consumando le risorse del nostro Pianeta ad un tasso troppo veloce. Per questo motivo diversi attori a livello internazionale, sia pubblici che privati, hanno dato avvio a programmi finalizzati all’estrazione di materie prime al di fuori della nostra atmosfera. Nello spazio vi sono infatti quantità quasi indefinite di metalli rari (come palladio e platino), minerali, energia, acqua e molto altro. Si pensi che, secondo i calcoli di un’importante compagnia americana un asteroide potrebbe avere un valore medio di 30 miliardi di dollari. [1] Un valore enorme, soprattutto considerando che secondo le stime della NASA nelle vicinanze della Terra ve ne sono più di 10000.
All’interesse economico segue poi quello politico: lo Stato che riesca a sviluppare una tecnologia di estrazione efficiente e conveniente potrebbe attingere a questa “miniera d’oro” prima degli altri, con tutte le ricadute in termini di prestigio internazionale e geopolitico. Non bisogna peraltro dimenticare che per creare avamposti umani nello spazio l’identificazione di fonti di risorse idriche è essenziale. Sarebbe infatti insostenibile a livello economico dover continuare ad inviare scorte di acqua alle future colonie spaziali.
Nel 2017 un ricercatore americano, Laszlo Keszthely ha pubblicato una relazione nella quale afferma che “è chiaro che l’ammontare di risorse utili sui NEOs – principalmente gli asteroidi – è immensa se si guarda alle necessità correnti.” L’unico problema è che ad oggi la capacità umana di estrazione nel quarto ambiente è pari a zero.
Breve storia dell’industria mineraria spaziale
L’origine dell’interesse verso il patrimonio minerario extra - atmosferico, in particolare lunare, cominciò con le missioni Apollo successive all’allunaggio. In tutto l’arco temporale di attività di tale programma più di 2200 campioni di sabbia, povere e rocce spaziali – quasi 380 kg - furono riportati sulla Terra. Il fine non era l’utilizzo dei materiali ma lo studio scientifico di essi. Nello stesso periodo i sovietici, nell’ambito del programma Luna, raccolsero campioni attraverso sonde e rover.
Tuttavia, verso la fine degli anni ’90 alcune agenzie spaziali cominciarono a mostrare interesse per gli asteroidi e a studiare modalità di atterraggio su questi corpi spaziali. Il Giappone è stato il paese pioniere in questo campo. Nel 2005 la JAXA (Japan Aerospace Exploration Agency) posizionò con successo la sonda Hayabusa sull’asteroide Itokawa, raccogliendo un migliaio di granelli di polvere e riportandoli a terra per studiarli. Il risultato fu eccezionale non solo per il rilevante apporto alla ricerca scientifica ma divenne un apripista per coloro che, già 15 anni fa, vedevano le potenzialità dell’estrazione mineraria spaziale.
Nel 2015 il Congresso statunitense approvò il “Commercial Space Launch Competitiveness Act”, una legge che autorizza e sostiene le attività commerciali private nello spazio. In particolare, il titolo IV afferma che “un qualsiasi cittadino statunitense impegnato nel recupero di una risorsa da un asteroide per fini commerciali o di una risorsa spaziale esercita un diritto sulla risorsa […], compresi il possesso, la proprietà, il trasporto, l'uso e la vendita secondo la normativa applicabile, ivi compresi gli obblighi internazionali degli Stati Uniti.” Ad oggi molte rimangono le zone grigie di questo testo, per esempio quando e come una compagnia può richiedere lo sfruttamento di un corpo spaziale. La legge è altresì considerata in contrasto col diritto internazionale e in particolare con l’art. II del Trattato sullo spazio del 1967 che afferma che ““lo spazio extra-atmosferico, compresi la luna e gli altri corpi celesti, non è soggetto ad appropriazione da parte degli Stati, né sotto pretesa di sovranità, né per utilizzazione od occupazione, né per qualsiasi altro mezzo possibile.” [2] Parleremo della compatibilità di questo Atto e degli accordi Artemis con il diritto internazionale nei prossimi paragrafi.
Un vero punto di svolta vi fu nel 2016 quando il Lussemburgo varò l’iniziativa Spaceresources. [3] Prima del suo genere in Europa, essa si pone come quadro di cooperazione tra attori pubblici e privati a livello internazionale interessati allo sfruttamento delle risorse minerarie extraterrestri. Pochi anni prima il Governo del Gran Ducato aveva peraltro approvato la partecipazione ad un progetto per lo sviluppo di una navicella per l’esplorazione degli asteroidi portato avanti da una compagnia americana, la Deep Space Industries.
Nel 2017 la base giuridica dell’iniziativa lussemburghese venne formulata ed approvata. Prendendo ispirazione dal Commercial Space Launch Competitiveness Act, la Loi sur l’exploration et l’utilisation des ressources de l’espace, prevede che gli attori privati che operino sui NEOs possano appropriarsi e disporre delle risorse estratte dai corpi celesti.
Gli Artemis accords
Lo sviluppo più recente in questo contesto è la dichiarazione del Presidente Trump sull’impegno statunitense nella promozione di un accordo internazionale che dia una legittimità giuridica all’estrazione mineraria spaziale. L’idea fa seguito all’emanazione, il 6 aprile, di un ordine esecutivo nel quale Trump richiede formalmente al Segretario di Stato di promuovere a livello internazionale il punto di vista degli Stati Uniti sulla legittimità dell'estrazione di minerali dalla Luna e dagli asteroidi. L’atto afferma che "lo spazio extraatmosferico è un dominio giuridicamente e fisicamente unico dell'attività umana, e che gli Stati Uniti non lo considerano un bene comune".
Sebbene non sia ancora disponibile una bozza, gli Artemis accords, che prendono il nome dal programma spaziale americano (di cui si è parlato qui e qui) introdurrebbero il concetto di “safety zone” ossia aree delimitate ad uso esclusivo di un attore per la costruzione di basi o lo sfruttamento di risorse. La separazione eviterebbe danni o interferenze da parte di Stati o compagnie private. In linea con la legge statunitense del 2015, l’accordo prevederebbe la possibilità rivendicare il possesso esclusivo sulle risorse estratte.
Secondo una fonte vicina al Governo, i negoziati con i partner internazionali cominceranno in poche settimane ma saranno inclusi nelle trattative pochi Paesi selezionati tra cui il Canada, il Giappone, alcuni Paesi europei (è lecito pensare che l’Italia sia compresa data la sua importanza nel contesto spaziale) e gli Emirati Arabi Uniti. Pare inoltre che la Federazione russa non sarà coinvolta nel primo round negoziale così come la Cina, a causa del progressivo aumento delle tensioni geopolitiche con gli USA. [4]
L’estrazione nello spazio e la compatibilità col diritto internazionale
Partiamo dal presupposto che anche lo spazio è sottoposto a norme di diritto internazionale. Cinque sono gli strumenti legislativi che regolano questo ambiente ma il più importante è senza dubbio il Trattato sullo spazio del 1967 (il titolo ufficiale è Trattato sulle norme per l’esplorazione e l’utilizzazione, da parte degli Stati, dello spazio extra-atmosferico, compresi la luna e gli altri corpi celesti). Questi accordi permettono alcune attività spaziali e ne proibiscono altre, sottolineando in modo chiaro che lo spazio è un “patrimonio comune dell’umanità”. Essi rimangono però ambigui con rispetto a nuove attività nel quarto ambiente come l’estrazione di risorse minerarie. Questo per due ragioni: in primo luogo i negoziatori dei cinque trattati sopra citati non avrebbero potuto prevedere gli sviluppi odierni e, in secondo luogo, gli Stati al tempo sapevano che sarebbe stato meglio non “legarsi mani e piedi” in vista di futuri sviluppi tecnologici.
Il Trattato sullo spazio nel suo primo articolo afferma che lo spazio è “prerogativa di tutta l’umanità”. In particolare, gli Stati, tutti gli Stati, hanno libertà di esplorazione, utilizzo e accesso allo spazio e ai corpi celesti “a parità di condizioni e in conformità col diritto internazionale”.
Sebbene non venga menzionata, l’attività di estrazione potrebbe rientrare nel concetto di libertà di utilizzo dei corpi celesti ma l’art. II stabilisce che lo spazio, la Luna e gli altri corpi celesti non possono essere soggetti “ad appropriazione da parte degli Stati, né sotto pretesa di sovranità, né per utilizzazione od occupazione”.
Gli USA e il Lussemburgo con le loro legislazioni sfruttano dunque una zona grigia del Trattato sullo spazio. È infatti vietata l’appropriazione da parte di uno Stato ma nulla si dice con riguardo ad un’impresa privata. Gli esperti che hanno lavorato a queste leggi affermano pertanto che, non essendoci una rivendicazione di sovranità, non vi sia violazione del diritto internazionale. Qualsiasi tipo di appropriazione è invece vietata dal Trattato sulla Luna [5] ma né gli Stati Uniti né il Gran Ducato hanno ratificato (e nemmeno firmato) questo accordo e con essi nessuna potenza spaziale (gli Stati parte sono 18).
Conclusione
Viste le incertezze a livello giuridico non è possibile dare una risposta certa alla domanda riguardante la legittimità giuridica di estrarre risorse dai corpi celesti. L’autore ritiene però che, dato lo spirito del Trattato sullo spazio rafforzato dal Trattato sulla Luna, si può dire che l’appropriazione di risorse non sia – per il momento – consentita. Proprio per questo motivo gli Stati Uniti cercano con gli Artemis accords un via libera internazionale a questo tipo di attività.
Ancora non si ha una bozza dell’accordo ma di certo molte critiche saranno mosse. Gli Stati firmatari considereranno il testo come chiave interpretativa del Trattato sullo spazio, altri lo vedranno come una palese violazione di quest’ultimo finalizzata allo sfruttamento delle risorse spaziali da parte degli Stati più ricchi. Ciò che si può sperare è che questa iniziativa statunitense dia il via a un serio dibattito che porti a una revisione e a un aggiornamento del Trattato sullo spazio pur sempre conservandone le idee di fondo.
Note
[1] Mining the Infinite Resources of Space, Energy Digital, 2012.
[2] Gray W., Building off US law to create an international registry of extraterrestrial mining claims, The Space Review, 14 agosto 2017.
[3] Per maggiori informazioni si veda https://space-agency.public.lu/en/space-resources/the-initiative.html.
[4] Exclusive: Trump administration drafting 'Artemis Accords' pact for moon mining – sources, Reuters.
[5] L’art. 11 afferma chiaramente che “la superficie ed il sottosuolo della luna, parti di essi o le risorse naturali che vi si trovano, non potranno diventare di proprietà di nessuno Stato, organizzazione internazionale inter-governativa o non governativa, organizzazioni nazionali, che abbiano o no la personalità giuridica, o di persone fisiche.”