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Finita un’era di dialogo, inizia un nuovo mondo bipolare? Effetti della crisi ucraina sull’economia

Fig. 1 Illustrazione di Kotryna Zukauskaite (da Foreign Affairs)

1. Introduzione


Il conflitto in Ucraina è giunto a una situazione di stallo. Le forze russe, dopo aver evacuato Kherson, sembrano esseri attestate dietro il Dnepr, in attesa forse che l’inverno e i bombardamenti alle infrastrutture indeboliscano il morale degli ucraini. Questi ultimi, invece, appaiono decisi a riprendersi tutti i territori perduti fino a ora: dal Donbass alla Crimea. L’ipotesi di una tregua è possibile, ma la pace è obiettivo ben più ambizioso e, a giudicare dalle dichiarazioni di Zelensky, anche piuttosto difficile da raggiungere. Il ripristino dei confini ucraini al 2014 (prima dell’annessione della Crimea) è, infatti, una ipotesi assolutamente inaccettabile per Mosca, che vedrebbe vanificati tutti gli sforzi compiuti fino ad ora.

Se, dunque, l’esito del conflitto è ancora incerto, un fatto è invece piuttosto chiaro: la frattura venutasi a creare tra la Russia e l’occidente non si comporrà facilmente.


Sotto il profilo politico possiamo aspettarci che in futuro si torni quantomeno a dialogare, ma in campo economico le cose sono ben diverse. Seppure un domani dovessero cadere le sanzioni, principale strumento di pressione con cui Stati Uniti e Unione Europea hanno cercato di indebolire la Russia, ormai il “dado è tratto”. In particolar modo le economie russa ed europea si sono talmente distaccate, al punto che si può parlare di “disaccoppiamento economico”. Un fenomeno ancora più netto di quello che analogamente ha visto coinvolte Pechino e Washington con la guerra commerciale avviata da Trump nel 2018, di cui abbiamo parlato qui. L’allontanamento economico degli Stati europei da Mosca potrebbe ridisegnare l’assetto geo-economico mondiale.


Per cercare di fare luce su tali cambiamenti, è bene andare con ordine e analizzare innanzitutto qual era il volume degli scambi commerciali tra i Paesi dell’UE e la Federazione Russa, prima dello scoppio delle ostilità e del ricorso alle sanzioni.


2. I rapporti commerciali tra Federazione Russa e Unione Europea


Dal 1997 i rapporti politici ed economici tra la Russia e l’UE erano basati sull’Accordo Bilaterale di Partnership e Cooperazione (PCA), che negli anni ha stimolato la crescita di scambi commerciali e investimenti.


Con l’annessione della Crimea nel 2014 i rapporti tra le istituzioni europee e Mosca si sono incrinati, portando alla sospensione del meccanismo di cooperazione e del commercio in alcuni settori. Ciononostante nel 2019 l’Unione Europea figurava come il maggiore investitore in Russia, con un investimento diretto stimato in 311,4 miliardi di euro, mentre quello russo in Europa si aggirava attorno ai 136 miliardi di euro. Inoltre, nel 2021 l’UE risultava essere il primo partner commerciale russo, con un valore di scambi che raggiungeva i 257 miliardi di euro. I Paesi europei importavano prevalentemente combustibili fossili, legname, acciaio e fertilizzanti, mentre l’export era dominato da macchinari, veicoli, farmaci e componenti elettronici.

Fig. 2 Valore degli scambi commerciali tra Federazione Russa ed UE in miliardi di euro (da European Commission)

In seguito all’escalation del conflitto in Ucraina, gli Stati Uniti, seguiti dai loro alleati, in particolare l’Unione Europea, hanno deciso di colpire la Russia con sanzioni economiche sempre più pesanti. Nel caso dei Paesi europei, la Commissione ha approvato in ottobre l’ottavo pacchetto di sanzioni, che introduce nuove restrizioni alle importazioni dalla Russia per un valore di 7 miliardi di euro. Quest’ultima misura si aggiunge a quelle già prese in precedenza, creando non soltanto danni all’economia russa, ma anche alla sua capacità di mantenere in efficienza macchine, macchinari, infrastrutture, ecc. Basti pensare alla riduzione dei voli della compagnia di bandiera russa Aeroflot: questa, non potendo più contare sui pezzi di ricambio forniti da Boeing e Airbus, ha dovuto cannibalizzare i suoi velivoli più vecchi, limitando il numero di quelli in efficienza per volare.


Tuttavia, prima di vedere l’effetto delle sanzioni sulla Russia, è lecito chiedersi il costo che l’Unione sta pagando per mantenerle attive. Se in una guerra commerciale classica, chi impone le prime restrizioni si espone alle ritorsioni dell’altra parte, in questo caso i Paesi europei si espongono al rischio di non riuscire a sostituire i beni che importavano dalla Russia in tempi ragionevoli e a prezzi convenienti. Poiché non si sta parlando solo di beni accessori, di cui si potrebbe fare a meno, ma di risorse indispensabili all’economia, come quelle energetiche, il prezzo da pagare sembra essere piuttosto salato. Per riuscire a rispondere al fabbisogno energetico, le cancellerie dei vari Paesi europei si sono rivolte verso altri fornitori, tra cui ad esempio il Qatar e l’Algeria, ma anche agli stessi Stati Uniti, esportatori di gas liquido. In quest’ultimo caso, oltre ai problemi logistici legati al processo di rigassificazione che richiede infrastrutture ad hoc, i Paesi dell’UE hanno riscontrato un comportamento poco solidale da parte dell’alleato americano. Come aveva fatto notare a ottobre il Ministro dell’Economia francese, Le Marie, “non possiamo accettare che il nostro partner americano ci venda il suo Gnl a un prezzo quattro volte superiore a quello al quale vende agli industriali americani”.


È quindi evidente che l’Unione Europea sconterà l’intransigenza nei confronti di Mosca. C’è allora da augurarsi che ne tragga un importante insegnamento. Come, infatti, la dipendenza dalle forniture energetiche russe si è rivelata essere un’arma nelle mani di una potenza estera, la stessa dipendenza rimane uno strumento di pressione nelle mani di altri attori internazionali. Il comportamento di Washington, storico alleato dei Paesi europei, ne è la dimostrazione. Forse questa potrebbe essere la spinta decisiva per stimolare i governi europei a prendere seriamente in considerazione l’autosufficienza energetica, sia da fonti rinnovabili, sia sfruttando meglio quelle risorse rimaste fino ad oggi poco o per nulla utilizzate, come i giacimenti di gas nel Mediterraneo.


3. L’asse russo-cinese


Mentre l’Unione Europea affronta gli effetti causati dalla recisione dei rapporti con il gigante euroasiatico, la Russia fa i conti con l’isolamento seguito all’inizio della “operazione speciale”. Benché non tutto il mondo abbia condannato - e di conseguenza sanzionato - l’operato di Mosca, di certo lo hanno fatto quei Paesi economicamente più avanzati che, oltre a offrire un enorme mercato, erano anche esportatori di beni ad alto contenuto tecnologico. Ciò non tocca solo l’aviazione civile russa, come è stato già detto, ma anche la sua macchina bellica. Sembrerebbe, infatti, che le forze armate russe si stanno rifornendo di munizioni d’artiglieria e razzi dalla Corea del Nord, mentre dall’Iran arrivano i droni Shahed-136 per colpire obiettivi terrestri.


Similmente a quanto accade in una guerra commerciale, la Russia si sta orientando verso altri mercati dove esportare e dai quali importare. Il principale di questi mercati è senza dubbio la Cina, che con il suo peso può riuscire a bilanciare, almeno per quanto riguarda l’export, la perdita di Europa e Stati Uniti. Dall’inizio delle ostilità, infatti, l’export russo verso la Cina è cresciuto notevolmente, sia nel settore del petrolio, che in quello del gas naturale. Questa boccata d’ossigeno ha consentito a Mosca di continuare a sostenere uno sforzo bellico superiore a quello inizialmente preventivato, ma ha un costo: la Russia, infatti, appare sempre più legata alla Cina da un rapporto fortemente sbilanciato in favore del partner asiatico. Per quanto Pechino sia costantemente affamata di risorse, è lei a tenere il coltello dalla parte del manico, in quanto se la Russia venisse tagliata fuori anche dal mercato cinese, non avrebbe altri sbocchi e si troverebbe completamente isolata.


La Cina, inoltre, non è interessata soltanto alle ingenti risorse energetiche russe, ma anche ai suoi ricchi giacimenti minerari. Come già detto in un’analisi precedente (che è possibile visionare qui), il governo cinese sembra voler assicurare al proprio Paese il ruolo di maggior estrattore di terre rare al mondo. Il controllo del mercato di queste materie prime garantirebbe un formidabile strumento di pressione, soprattutto verso quei Paesi, come quelli europei o gli stessi Stati Uniti, che sono produttori e consumatori di beni ad alto contenuto tecnologico e che necessitano di grandi quantità di terre rare. È un obiettivo senz’altro ambizioso, ma grazie alle risorse russe potrebbe non essere così lontano. Pare infatti che la Siberia possieda circa il 10% di terre rare al mondo. Una quantità di risorse sufficiente a ostacolare il disegno monopolista cinese, che però ora può contare sulla partnership con Mosca.

Fig. 3 Depositi di terre rare in Siberia (da Russia Briefing).

4. Conclusioni


Fino a ora è possibile constatare che la Russia si trova in una situazione decisamente scomoda. Indebolita internamente dai modesti risultati militari e dalle sanzioni economiche, risulta anche isolata a livello mondiale e sempre più legata da un’alleanza impari con la Cina. L’unica via d’uscita per Mosca sarebbe una pace che le consenta di mantenere il controllo sui territori che ha recentemente annesso, ma Kiev appare intenzionata a non cedere nulla. Ci si può dunque attendere un ulteriore prolungamento della guerra, che potrebbe peggiorare una già difficile situazione economica.


Ben più solida è la posizione di Pechino. Impostasi come principale alleato di Mosca, la potenza asiatica ha ottenuto un facile accesso alle risorse energetiche e minerarie russe. L’energia a buon mercato consentirà ai produttori cinesi di mantenere prezzi competitivi a livello globale, mentre i giacimenti siberiani daranno ulteriore forza al progetto che la Cina porta avanti da anni: quello di affermarsi come primo estrattore di terre rare al mondo. Se oggi tale evenienza è un rischio potenziale per la supply chain dell’industria occidentale, in futuro potrebbe diventare una vera e propria spina nel fianco.


Guardando a occidente, gli Stati europei hanno fallito nel far rispettare alle parti gli accordi di Minsk, riscoprendosi vulnerabili e ancora bisognosi della protezione americana. Il distacco economico e commerciale con la Russia rischia, almeno nel medio termine, di colpire duramente l’economia europea, già indebolita dalla pandemia. L’aumento del costo dell’energia non potrà essere contenuto per sempre - come sta facendo il governo tedesco - e se non verranno trovate a breve delle alternative finanziariamente sostenibili, il rischio per le imprese europee è alto.


Gli Stati Uniti, infine, stanno cercando di riacquistare la leadership del mondo occidentale, frustrando le aspirazioni franco-tedesche di un’Europa indipendente da Washington. Tuttavia l’ingente costo di una simile operazione potrebbe ridare forza alle spinte isolazionistiche, di cui Trump si era fatto portavoce.


Il 2022 ha visto la fine di un’era di dialogo e cooperazione tra Russia e occidente. Ci si può quindi domandare se questo trend proseguirà per il 2023, dando vita potenzialmente a due nuovi blocchi contrapposti e su quali piani si scontreranno. La sfida tornerà a giocarsi sul piano prettamente economico e commerciale?


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