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Eswatini: l’ultima monarchia assoluta del continente

Aggiornamento: 13 lug 2022

di Elisa Chiara

Bandiera dell’Eswatini. Fonte: Young Slow Journalism

1. Introduzione


Conosciuta come Swaziland fino al 2018 e incastrata geograficamente tra Mozambico e Sudafrica, la monarchia di Eswatini è l’unica assoluta rimasta in Africa. Questo piccolo stato di 17.363 Km2, che ospita circa un milione di abitanti, non smette di far parlare di sé, in particolare con riguardo al suo sistema politico, che centra nelle mani del re Mswati III la totalità del potere e una buona parte del budget nazionale, mettendo in serio pericolo la popolazione già sopraffatta dalla povertà. Quest’analisi ripercorre il sistema politico in essere della monarchia che riceve sfiducia totale da parte dei cittadini, sfiducia che è tra l’altro alla luce delle manifestazioni di piazza avvenute nell’estate del 2021.


2. La terra degli Swazi


Swaziland, antico nome del piccolo stato dell’Africa australe, è la traduzione anglofonizzata di “terra degli Swazi” (in Swati: Umbuso weSwatini) l’etnia che è a capo del paese fin dall’800. Si tratta di un gruppo etnico i cui primi insediamenti umani risalgono già alla preistoria, insieme a boscimani e ottomani, anche se il regno fu ufficialmente fondato solo alla metà del XVIII secolo. Fu allora che sotto il re Ngwane III, il clan Dlamini (che identifica la famiglia reale) stabilì il primo nucleo della nazione Swazi (bakaNgwane) vicino a quella che oggi è Nhlangano. Originari della parte sud orientale del littorale dell’Africa australe, già intorno alla metà del XVIII avevano cominciato una progressiva migrazione verso sud, raggiungendo la baia di Delagoa (l’attuale Maputo) e la provincia del Gauteng in Sudafrica.


Questo periodo fu alquanto turbolento per la storia dell’Africa sudorientale, poiché vedeva diversi clan in lotta per la supremazia. Fra questi, i Ndwandwe e gli Zulu, erano proprio situati a sud della nuova patria di Ngwane, costituendo quindi una seria minaccia per i Dlamini, che si sforzavano di stabilire il pieno controllo sui clan presenti nell’area dove si erano stabiliti. Alla fine del 1700 i Dlamini erano già riusciti a creare nuove alleanze, ma sotto la minaccia dei Ndwandwe e degli Zulu, intorno al 1820 si stabilirono più a nord, nell’Eswatini centrale (il Medio Veldo), sotto il loro nuovo re - Sobhuza I, o Somhlohlo (detto “La meraviglia") consolidando poi il loro potere sotto Sobhuza I e suo figlio Mswati II. Nel 1860, sotto MSwati II, avevano esteso il loro potere attraverso la conquista e l'assimilazione ben oltre i confini dell'attuale Eswatini, tanto che le generazioni successive lo descrissero come "il loro più grande re combattente".


Al culmine del loro potere, tuttavia, la minaccia degli Zulu indusse il re a chiedere protezione alla Gran Bretagna, passo che rappresentò un’ulteriore e nuova minaccia per la stabilità del regno: numerose terre furono cedute ai boeri, allevatori olandesi attirati soprattutto dalla scoperta nel vicino Sudafrica di giacimenti di diamanti nel 1867 e di oro nel 1871. Il flusso nel paese di cercatori e cacciatori europei di concessioni fu dapprima contenuto dagli Swazi, ma dilagò con la salita al trono del re Mbandzeni, nel 1875. Nel 1890 il paese sembrava di fatto un puzzle, a fronte di tutte le concessioni di ogni genere avvenute, che celavano le spinte egemoniche dei boeri e degli inglesi.


Nel 1888 gli Swazi cercarono di regolare le nuove influenze create dall’afflusso massiccio degli europei, concedendo loro una carta che ne sanciva l’autogoverno condizionato al veto reale. Nel 1889 un accordo tra boeri e inglesi fece del paese un protettorato della Repubblica boera del Transval, introducendo progressivamente l’ufficialità della lingua olandese scritta e di quella afrikaans orale. Dopo la guerra sudafricana del 1899-1902 e la sconfitta dei boeri da parte degli inglesi, il trattato di Vanerining trasformò il Transval in una colonia della corona britannica.

Carta dell’Eswatini: Fonte Enciclopedia Britannica

3. Le conquiste, l’era coloniale, l’indipendenza


Gli anni coloniali dal 1906 alla fine degli anni '40 videro lo Swaziland andare alla deriva in un ristagno dell'impero britannico. Politicamente, la situazione si riassumeva nel declassamento del titolo di re a quello di capo supremo e della sua funzione a quella di "amministrazione indigena".


Nel 1963 la promulgazione della Costituzione portò il paese verso l’indipendenza. Essa prevedeva la creazione di un Assemblea e di un Senato, fino alla tenuta delle elezioni nel 1967. Con l’indipendenza del 1968, lo Swaziland ereditò la monarchia costituzionale con un re, un parlamento e un primo ministro eletti. Nel 1973 il re Sobhuza abolì la costituzione e vietò i partiti politici, ripristinando la lingua Swati a lingua ufficiale, insieme all’inglese. L’unica concessione di Sobhuza al nuovo governo fu di mantenere il sistema di gabinetto con un primo ministro e altri ministri, tutti rigorosamente scelti dal re. Sotto il governo di Sobhuza, fermo ma benevolo, lo Swaziland godette di un notevole grado di stabilità politica e progresso economico. Dopo la morte di Sobhuza nel 1982, si aprì la caccia alla successione, che condusse al trono il principe Makhosetive, sotto il nome di Mswati III.


4. Il Tinkhundla


Il Tinkhundla è il sistema politico di cui l’Eswatini si è dotato con decreto reale nel 1973, lo stesso che bandì i partiti politici e accentrò tutto il potere nelle mani del re. Se le elezioni post-indipendenza del 1972 erano state basate su un sistema che aveva previsto un qualche multipartitismo (che vide principalmente opposti il partito del monarca, l’Imbokovdo National Mouvement e il Ngwane National Liberation Congress) il successo alle votazioni dell’opposizione allarmò notevolmente il re, che pubblicò un proclama di messa al bando dei partiti.


Il primo vero impiego del Tinkhundla fu effettuato nel 1978, quando alle elezioni della camera dei deputati furono formati 40 collegi elettorali eletti dai votanti (inkhundla) i cui due vincitori avrebbero avuto accesso diretto alla camera insieme ad altri 10 nominati dal re. Nel 1992 il paesaggio politico cambiò ulteriormente, perché si ripristinò la segretezza dello scrutinio, si introdusse la registrazione degli elettori, e il comitato elettorale, inizialmente creato al fine di vegliare sulle elezioni, fu prontamente sostituito da un semplice funzionario nominato dal re e a lui fedelissimo.


L’attuale processo elettorale consta in due fasi: la prima prevede la nomina dei candidati durante gli incontri pubblici tenuti in ogni inkhundla. La seconda vede i candidati sfidarsi in campagna elettorale per l’elezione dei rappresentanti delle inkhundia alla camera dei deputati, direttamente il giorno delle elezioni. Il sistema di governo è basato su 55 circoscrizioni amministrative, assetto che teoricamente (e costituzionalmente) dovrebbe favorire la decentralizzazione. Il governo locale è amministrato a livello regionale. Un amministratore nominato dal re dirige ciascuna delle quattro regioni del paese (Hhohho, Lubombo, Manzini e Shiselweni). Il parlamento bicamerale comprende la camera dei deputati composta da 65 membri, di cui 55 nominati dai consigli tradizionali locali e 10 direttamente dal re. Il Senato è composto da 30 membri, 20 scelti dal monarca e 10 nominati dal parlamento. Il re nomina il primo ministro, numerosi funzionari, il capo della giustizia. La legislazione del parlamento deve sempre avere avviso favorevole del re prima dell’entrata in vigore.


Il sistema giudiziario dell'Eswatini è dualistico, con tribunali sia costituzionali che tradizionali. Le corti costituzionali comprendono la Corte d'Appello, l'Alta Corte, i tribunali subordinati o di magistratura e una corte del lavoro. Ci sono anche i tradizionali tribunali nazionali dello Swaziland, comprese due corti d'appello e una corte d'appello superiore. I tribunali nazionali dello Swaziland esaminano solo i casi in cui tutte le persone coinvolte sono swazi e le accuse rientrano in un elenco ristretto di questioni penali e civili. Devono deferire alle corti costituzionali in ogni caso di conflitto tra i due sistemi.


4.2 Quali disparità a livello pratico?


Il sistema politico in vigore nell’Eswatini rivela il suo carattere anti-democratico in molteplici ambiti:

  • La libertà di espressione, che include la libertà di stampa e altri media: anche se garantita dall’articolo 24 della Costituzione del 2005, essa stabilisce che il re può rinunciare a tali diritti a sua discrezione. Nella prassi, il governo non esita a circoscrivere tali diritti, come dimostra il fatto che il panorama mediatico del paese sia quasi monopolisticamente nelle mani del re. Anche le critiche aperte al monarca, di estrema attualità a fronte del suo stile di vita lussuoso, legittimano il ricorso alla repressione perché considerate sediziose e lesive o potenzialmente lesive degli interessi di difesa, pubblica sicurezza, ordine pubblico, moralità pubblica, o salute pubblica;

  • La libertà di associazione: all’articolo 25, la costituzione richiede il consenso della polizia alla tenuta di riunioni pubbliche, marce o manifestazioni, che di fatto sono spesso vietate perché sponsorizzate da affiliazioni politiche;

  • Il divieto dei partiti politici: sebbene l'attuale costituzione garantisca la libertà di riunione e associazione (articolo 25) lo status dei partiti politici non è per niente chiaro. Si sottolinea che la candidatura alle cariche pubbliche si basa sul merito individuale e non sull’appartenenza a partiti politici;

  • Una tendenza continua alla manipolazione dell’elettorato: dal momento che lo screening dei candidati è segreto, la maggior parte dei candidati è vicina alle strutture reali; senza contare la corruzione degli elettori in cambio di cibo, denaro e talvolta minacce, che fa pendere il voto sempre dalla stessa parte.

5. Le spinte pro-democrazia e il ruolo delle organizzazioni internazionali


Il governo di Mswati III, già descritto sopra come notevolmente autocratico, è stato nel corso della sua lunga vita intimato di numerose richieste di adozione di riforme democratiche, richieste che negli anni ‘90 e 2000 culminarono in dimostrazioni di protesta contro la lentezza del progresso verso il cambiamento democratico. Con l’intento di placare le numerose critiche, il re Mswati III nominò nel 2001 un comitato per redigere una nuova costituzione. Vittima di ulteriori accuse sulla messa da parte totale dei partiti di opposizione, fu solo nel 2005 che ne firmò una nuova versione.


A giugno 2021 una nuova ondata di proteste pro democrazia nel paese ha condotto a numerosi scontri con la polizia: alla base delle insurrezioni c’era il ritrovamento del cadavere dello studente Thabani Nkomonye, membro di un’associazione che denunciava i misfatti statali; secondo fonti ufficiali il giovane sarebbe rimasto vittima di un incidente stradale, ma gli attivisti per i diritti umani hanno denunciato brutali repressioni da parte della polizia che hanno causato una settantina di vittime e 200 feriti.

Proteste pro-democrazia del luglio 2021: Fonte AFP

Benché condividendo un passato storico, profonde radici culturali e relazioni commerciali cruciali con il confinante Sudafrica, la scena politica dell’Eswatini è ben lontana da quella del paese arcobaleno, che non sembra offrire sostegno alle riforme democratiche locali del vicino. Anche l'ente regionale SADC (la Comunità per lo Sviluppo dell’Africa Australe) ha dimostrato il suo fallimento nel dare il suo contributo alla fine della crisi politica in Eswatini. Dopo le proteste di giugno 2021, la SADC ha inviato una squadra in Eswatini, composta dai ministri delle relazioni internazionali di Botswana, Zimbabwe e Sudafrica. La squadra è arrivata il 4 luglio e ha incontrato funzionari statali e rappresentanti della società civile. Sono stati però esclusi gli attori importanti della società civile, i gruppi di opposizione e i parlamentari pro-democratici dissidenti (sebbene alcuni di questi gruppi siano riusciti a irrompere nell'incontro alla fine della giornata).


Il 23 ottobre 2021 il presidente sudafricano e capo dell’organo per la “Politica, Difesa e Cooperazione per la Sicurezza” della SADC Cyril Ramaphosa, ha rilasciato una dichiarazione in cui comunicava che il re Mswati III aveva accettato l’invito ad un dialogo nazionale. Questo però avrebbe dovuto tenersi nel contesto del Sibaya, un parlamento popolare da lui presieduto e già utilizzato dopo le settimane di protesta pro-democrazia di luglio per, di fatto, ridicolizzare gli attivisti per i diritti umani e confermando di non essere il luogo adatto per talune istanze. Nonostante ciò, lo scorso marzo il primo ministro Cleopas Dlamini ha annunciato che il dialogo nazionale è in via di preparazione da parte di una commissione tecnica nominata ad hoc.


Come membro della SACD, è pur vero che l’Eswatini dovrebbe essere soggetto ad una serie di obbligazioni, definite dai trattati da lui stesso firmati. Primo fra tutti il Trattato istitutivo della SADC, che afferma che “i diritti umani, la democrazia e lo stato di diritto sono principi guida gli atti degli Stati membri della SADC (articolo 4) e impegna gli Stati membri a promuovere politiche comuni, sistemi e altri valori condivisi che sono trasmessi attraverso istituzioni democratiche, legittime ed effettive” (articolo 5). Il protocollo sulla politica, la difesa e la sicurezza della cooperazione, sottolinea tra l’altro che il mandato delle missioni di osservazione elettorale ha come obiettivo lo sviluppo di istituzioni democratiche negli stati membri e che la SADC ha il dovere di cercare di risolvere qualsiasi conflitto intrastatale significativo, adottando un sistema di allerta precoce che ha lo scopo di facilitare un'azione tempestiva per prevenire lo scoppio e l'escalation del conflitto. Ciò può includere diplomazia preventiva, negoziazione, conciliazione, mediazione, buoni uffici, arbitrato o aggiudicazione.


6. Conclusioni


Riuscirà la monarchia dell’Eswatini a uscire dalla crisi? È una domanda alla quale si tenta di dare risposta da un anno, e sulla quale il terzo partito sudafricano, l’Economic Freedom Fighters (EFF) ha cercato di focalizzare l’attenzione durante un meeting tenuto recentemente al confine con l’Eswatini, appoggiato dal People’s United Democratic Movement (PUDEMO) il partito di opposizione più conosciuto nel paese. Il messaggio è chiaro: qualsiasi iniziativa per la ripresa del dialogo nazionale deve tenersi al di fuori dei sistemi tradizionali di comunicazione (tra cui il Sibaya) che sono palesemente pensati per escludere le organizzazioni della società civile da qualsiasi possibilità di partecipazione all’agenda politica.


(scarica l'analisi)

Analisi Eswatini_CHIARA_20062022
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Bibliografia/Sitografia

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