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Ecomafie: fenomenologia di una minaccia invisibile

1. Introduzione


“C’è un mostro, un mostro che ruggisce di nascosto mentre apre enormi buchi nel terreno, voragini profonde fino a mille metri riempite con l’oro delle mafie; tutto perfetto, tutto invisibile, tutto pulito.” [i]

Il “virus” dell’ecomafia non si arresta né conosce crisi: secondo il Rapporto Ecomafia 2020 redatto da Legambiente, nel corso del 2019 sono stati accertati in media 4 reati ambientali ogni ora. Ma non è solo questione di statistiche, comprendere e combattere le ecomafie significa preservare la vita e proteggere la salute delle generazioni future.


Il termine ecomafia, coniato dall’associazione Legambiente nel 1994 [ii], gode di una rilevante circolazione; in questo caso, la stessa etimologia pone in chiara evidenza l’estrazione dei colpevoli, ossia soggetti appartenenti alle organizzazioni mafiose tradizionali.


Tuttavia, la criminalità ambientale vede oggi in Italia l’emersione di nuove tendenze, sia per gli attori coinvolti che per le tecniche impiegate, in particolare nel traffico e nello smaltimento illecito dei rifiuti.

Dall’iniziale monopolio della camorra lungo la dorsale Nord-Sud, si è passati alla supremazia della ’ndrangheta nel contesto Settentrionale. Sempre più negli ultimi anni, tuttavia, gli ecoreati vedono tra i protagonisti soggetti formalmente legali, esponenti di una “imprenditoria deviata” che pratica in maniera sistematica l’illecito ambientale come metodo di contenimento dei costi d’impresa, in una mutua convivenza che si trasforma in un gioco a somma positiva.

2. La tutela dell’ambiente nel sistema giuridico italiano


La letteratura scientifica internazionale, anziché utilizzare il lemma “ecomafia”, adotta principalmente la definizione di environmental crime [iii], focalizzando quindi l’attenzione prevalentemente sul reato e non sulla sua matrice. La radice della terminologia nostrana è indissolubilmente legata alla cronaca relativamente recente. L’occultazione di rifiuti tossici nella c.d. ‘terra dei fuochi’ con i relativi danni alla salute degli abitanti della zona, hanno definitivamente calibrato nella percezione popolare questo tipo di reato come unicamente appannaggio della criminalità organizzata di stampo mafioso.


Ma è davvero così? Come per molti altri crimini, definitivamente legati alle mafie nell’immaginario popolare, come intimidazione, voto di scambio ed estorsione, i crimini ambientali di questo tipo richiedono un fortissimo controllo sul territorio colpito. Ottenere quello che è un vero e proprio appalto clandestino di smaltimento rifiuti implica, oltre ad agganci con il settore pubblico e la filiera imprenditoriale, una capacità pratica di identificazione e sfruttamento di discariche abusive e/o occulte.


Un elenco di prerequisiti e capacità gestionali criminali che nell’esperienza nazionale non possono che richiamare i colossi mafiosi. Ciononostante, è bene che venga sin da subito evidenziato, che questa tipologia di reati non è esclusiva delle realtà mafiose italiane ed internazionali.


Nel campo della ricerca italiana, adottando questa prospettiva, si parla allora di “criminalità ambientale”, intesa come pratica illecita che si fonda sul sistematico saccheggio delle risorse e dei beni comuni ambientali a prescindere dalla connotazione mafiosa o meno dell’ente o gruppo che compie tale pratica. [iv]


Il concetto di ambiente e la relativa necessità di tutela normativa sono entrati concretamente nelle coscienze dei cittadini, nonché nell’agenda del legislatore, solo in tempi recenti. È grazie alla dottrina e alla giurisprudenza se nell’attuale panorama giuridico è possibile rinvenire un inquadramento, seppur parziale, della materia ambientale. Si prendono le prime mosse dapprima dall’art. 9 della Costituzione, che al secondo comma individua «la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione» tra i compiti assegnati alla Repubblica.[v] Di primo acchito, quindi, l’ambiente assume costituzionalmente la veste di “paesaggio” quale valore estetico, e comprende da un lato “ogni preesistenza naturale, l’intero territorio, la flora e la fauna”; dall’altro “ogni intervento umano che operi nel divenire del paesaggio qualunque possa essere l’area in cui viene svolto”.[vi]


La necessità di creare istituti giuridici specifici per la protezione dell’ambiente è stata ulteriormente rimarcata dalla Corte Costituzionale, la quale si è pronunciata partendo da un approccio soggettivo del diritto all’ambiente salubre, collegandolo all’art. 32 della Costituzione che affida alla Repubblica la tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo, interesse della collettività e valore primario assoluto. [vii]


È stata invece la Riforma del Titolo V della Costituzione, avvenuta con l’adozione della Legge Costituzionale n. 3 del 2001, ad inserire nel nuovo art. 117 Cost. la parola “ambiente”. [viii]

3. La criminalità ambientale


Innanzitutto, è utile separare da subito le principali macroaree prese in considerazione dagli eco-criminali: il ciclo del cemento, quello dei rifiuti, la filiera agro-alimentare, i reati contro gli animali, gli incendi e l’archeomafia, ossia il traffico illecito di opere d’arte e reperti, messi in atto da organizzazioni criminali. [ix]


Il codice penale, nella sua stesura originaria, in linea con il comune sentire dell’epoca, prevedeva reati generici che sono stati utilizzati dalla magistratura per contrastare fenomeni che, pur avendo già assunto rilevanza nelle coscienze e nel mondo scientifico, non trovavano specifica tutela in ambito penale; l’azione penale veniva infatti esercitata sul filo dell’interpretazione estensiva. La progressiva presa di coscienza dell’importanza della tutela dell’ambiente e del territorio, ha fatto sì che venisse generata una molteplicità di leggi speciali, destinate a regolare singoli aspetti della tutela dell’ambiente, tutte aventi al loro interno anche sanzioni penali.


Esempi eccellenti sono la legge urbanistica (l. 1150/1942), la legge sulla tutela delle acque (l. 319/1976), la legge sui rifiuti (d.lgs 22/1997), fino a giungere al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Codice dell’ambiente), per citare i principali interventi in materia, che hanno subìto numerosissime modificazioni nel tempo, per adeguarsi all'evolversi dei tempi ed alle direttive comunitarie. Nel 2008 è intervenuta la direttiva 2008/99/CE, che imponeva agli Stati membri di sanzionare i reati ambientali, sia nei confronti delle persone fisiche che giuridiche, determinando la necessità di attuare un processo di riforma organica della materia.


La riforma operata con la legge 22 maggio 2015 n. 68, anche in attuazione della predetta direttiva CE, ha restituito centralità sanzionatoria al codice penale [x], lasciando alle leggi speciali solo le norme tecniche e le sanzioni minori, oltre che quelle amministrative. [xi]

4. Associazione a delinquere e responsabilità degli enti


Gli studi sull’impatto della criminalità organizzata nell’economia legale vivono una continua fioritura [xii] e il Rapporto Ecomafia 2020 conferma il ruolo determinante che ricoprono le organizzazioni criminali nel quadro delle illegalità ambientali, anche al Centro-Nord.


La crescente necessità di tutela ha spinto il legislatore a punire più severamente le associazioni a delinquere finalizzate a trarre profitto da illecite attività che possano comportare un pericolo per l'ambiente ovvero le associazioni a delinquere a stampo mafioso che siano finalizzate esclusivamente a commettere un delitto contro l'ambiente, oppure all'acquisizione della gestione o del controllo di attività connesse all'ambiente. [xiii]


Tale emergenza ha coinvolto inevitabilmente anche il mondo dell’industria, ritenuto tra i principali responsabili dei reati ambientali, atteso che alcune violazioni sono spesso compiute per ottenere un risparmio di spesa, nell’interesse o a vantaggio dell’ente di appartenenza.


Per tali motivi, diversi interventi normativi, e da ultimo la L. 22 maggio 2015, n. 68, hanno inserito nell’elenco dei reati presupposto per la responsabilità degli enti ex d.lgs. 231/2001 anche diversi reati ambientali [xiv], al fine di inibire il ricorso allo “schermo societario” per la commissione di tali attività illecite.


5. Il ciclo dei rifiuti


Non dovrebbe essere necessario rimarcare come la corretta gestione dei rifiuti sia fondamentale tanto dal punto di vista, chiaramente, ambientale quanto per il sano e fisiologico processo economico-finanziario del Paese.


A tal fine, i numerosi cambiamenti apportati al sistema della gestione dei rifiuti, dovuti alle Direttive dell'Unione europea in materia ambientale, hanno comportato la recente necessità di una severa ed organica riorganizzazione delle competenze statali e territoriali. Tra queste radicali riforme spicca l'assegnazione alle Regioni della funzione di individuazione, sulla base di criteri ambientali oggettivi, delle zone non idonee alla localizzazione di impianti di smaltimento e recupero.


Nell'ambito della gestione dei rifiuti, particolare importanza riveste lo smaltimento. In base all'art. 183 del Codice dell’Ambiente e secondo la Direttiva 2008/97/CE, per smaltimento dei rifiuti deve intendersi: "qualsiasi operazione diversa dal recupero, anche quando l'operazione ha come conseguenza secondaria il recupero di sostanze o di energia"[1].


Questa consapevolezza è sinteticamente espressa nella frase Trasi munnizza e n’iesci oro tratta da una intercettazione telefonica di tre decenni fa. Il senso di quella frase, “entra immondizia ed esce oro”, è diventato il mantra delle attività di contrasto alla criminalità organizzata. Nella relazione semestrale relativa alla prima parte del 2019 della Direzione Investigativa Antimafia (DIA) nazionale è contenuto un prezioso focus sul tema “mafia e rifiuti”.


Dal lavoro di indagine emerge come, già dalla fine degli anni ‘80, le organizzazioni criminali abbiano compreso la reale portata del “business dei rifiuti”. Un calcolo costi/opportunità estremamente vantaggioso, considerando l’ampio margine di impunità rispetto altri settori “tipicamente” criminali.


Ad essere coinvolta e infettata è la lunghissima filiera dei rifiuti, composta da produzione, assegnazione dei servizi, raccolta, trasporto, trattamento, smaltimento. Non estranei, anzi spesso funzionali, sono i numerosi incendi avvenuti, o appiccati, in aree periferiche e capannoni.


Un ruolo fondamentale viene, spesso, svolto dal produttore del rifiuto. L’imprenditore che ha la necessità di disfarsi dei quantitativi prodotti dalla propria azienda. Non di rado, la scelta d’impresa, tesa ad economizzare sui costi e a imporsi sul mercato, coincide con la volontà di liberarsi illegalmente dei rifiuti per abbattere i costi di produzione e acquisire, così, una posizione di vantaggio rispetto ad altre aziende.

Un dossier fondamentale, dunque, che rappresenta un’analisi utile e puntuale, in grado di incardinare le criticità registrate, negli ultimi decenni, soprattutto in Campania, punto nodale delle problematiche connesse ai reati ambientali.


Non restano, chiaramente, fuori dai giochi le altre realtà regionali, a cominciare da quelle a tradizionale presenza mafiosa, tracciando una ricostruzione criminalistica mediante le inchieste concluse, nel tempo, dalla DIA[2] e dalle Forze di polizia, sui provvedimenti di scioglimento degli enti locali e sulle interdittive antimafia, che danno conto della complessa azione di contrasto, nel profilo preventivo e repressivo, sviluppata in tale settore negli ultimi anni.


Già nel dicembre 1994, Legambiente e l’Arma dei carabinieri, con l’Istituto di ricerca “Eurispes”, presentarono il primo Rapporto sulla criminalità ambientale in Italia. In quell’occasione, venne coniato il termine “ecomafia” che entrò solo cinque anni più tardi nei dizionari della lingua italiana.


6. I crimini contro gli animali: fenomenologia criminale della pesca INN


L’ecomafia non si riferisce unicamente allo sfruttamento del “mercato”, relativamente giovane, rappresentato dalla gestione dei rifiuti. L’arpione delle criminalità organizzate è, da sempre, affondato saldamente sul territorio e, quindi, sull’eco sistema di riferimento.


La pesca, ad esempio, costituisce un'attività storica dell'uomo, fondamentale alla sua sopravvivenza e a quella delle relative comunità. Allo stesso modo, il legame tra criminalità e gestione portuale si perde nella notte dei tempi. La cronaca prima e la cultura popolare dopo, localizzano nei porti delle principali città del mondo gli epicentri dei traffici mafiosi o, generalmente, illeciti.


Un sodalizio intimo, intrattenuto dalle mafie, proprio, con la gestione della merce che giunge nei distretti portuali: il pesce per primo. Basti pensare che quel poco che è pervenuto degli “atti processuali” della Grecia antica, è in grado di mostrare come pirati ed embrionali realtà criminali organizzate allungassero i propri tentacoli proprio sui mercati ittici e sulle limitrofe zone portuali.


La pesca INN (illegale, non dichiarata e non regolamentata) può essere considerata il naturale e steroideo proseguimento di questa “tradizione”. Un fenomeno globale, ossia persistente nelle acque costiere come in alto mare, nel Mediterraneo come negli oceani e nei grandi fiumi, che contribuisce a impoverire le riserve ittiche, a compromettere le misure per la tutela e il recupero delle risorse ecologiche e a distruggere gli equilibri finanziari e biologici aggredendo spesso anche le aree protette e le cosiddette nursery, i luoghi in cui la schiusa e i primi periodi di vita delle specie marine vengono protette dall’aggressione umana.


Come nel caso della gestione illecita dei rifiuti, il persistere di una vasta criminalità ittica prende le mosse dal mare per allargarsi all’intera filiera del settore, condizionato da organizzazioni criminali che fanno della pesca di frodo, della distribuzione, trasformazione del pesce e commercializzazione un business proficuo e particolarmente vantaggioso, anche grazie ad una legislazione per lungo tempo inadeguata e impreparata all’intervento. Un’attività illecita, in grado di esercitare un controllo settoriale su vasta scala, imposto tramite reti organizzate di riciclaggio di denaro e di prodotti ittici, corruzione, intimidazione e aggressioni ai piccoli pescatori e alle piccole flotte legali che operano nel Mediterraneo.


Ad esempio, fra le flotte che operano nello Stretto di Sicilia, ossia quella italiana, maltese e tunisina, quella del nostro Paese gioca il ruolo più importante nella pesca a strascico. Essa dispone, infatti, di circa 400 imbarcazioni per la pesca a strascico, rispetto alle 60 tunisine e alle 13 maltesi. Proprio dallo stretto siciliano proviene, infatti, il 70% del gambero rosa destinato alle tavole di tutta Europa. Pescando gambero rosa si cattura anche nasello, mentre con lo strascico oltre il 50% del pescato è composto da pesci sotto-taglia.


Considerando solo l’Italia, dati ISTAT alla mano, nel 2016 l’import ha superato 1 milione e mezzo di tonnellate di prodotti ittici, con una crescita del 3% sul 2015, corrispondente a quasi 7 miliardi di euro. Il dossier Legambiente “Ecomafia” dello stesso anno incardina il numero più alto di infrazioni penali è stato riscontrato proprio tra i prodotti ittici con 6.299 infrazioni riscontrate, con 459 persone denunciate, 800 sanzioni di importo elevato che hanno portato a 991 operazioni di sequestro effettuate dalle forze dell’ordine. La Commissione Europea stima che le importazioni di pesce “pirata” in seno all’Unione ammontino almeno a 1,1 miliardi di euro l'anno[3].


7. Metodi di contrasto: il Progetto Savager


Fra il 2017 e il 2019 la Lombardia si candidava a diventare la nuova “Terra dei Fuochi”.[xv] Nel drammatico scenario della lotta alla criminalità ambientale, caratterizzata da una congenita complessità nell’attività di indagine, dovuta soprattutto alla subdola e “fantasiosa” condotta degli eco-criminali, si è distinto, per la sua efficacia, il progetto Savager (Sorveglianza Avanzata Gestione Rifiuti); si tratta dell’innovativo progetto sviluppato da ARPA Lombardia e finanziato dalla Regione Lombardia con l'obiettivo di introdurre le tecnologie della Geospatial Intelligence e dell'osservazione della Terra da satellite, aereo e drone per il presidio ambientale sul territorio regionale.


La Geospatial Intelligence [xvi] viene utilizzata al fine di acquisire indizi di violazione delle normative ambientali negli impianti di trattamento di rifiuti autorizzati. Tale attività di ricerca permette altresì di individuare situazioni totalmente illegali, come depositi incontrollati di rifiuti o discariche abusive. [xvii]

Le risultanze di questa prima attività sono costituite da elenchi di siti potenzialmente critici che vengono valutati, in base ad un criterio "risk based", dai Nuclei Ambiente delle Prefetture, costituiti da rappresentanze di ARPA Lombardia, delle Forze dell'Ordine, delle Polizie locali, delle Province e di altre istituzioni, per selezionare i siti maggiormente critici, che dovranno essere sottoposti a controllo.


Durante i controlli, il progetto prevede l’impiego di droni, i quali forniscono un contributo insostituibile nella mappatura delle tipologie dei rifiuti e nella identificazione accurata dei quantitativi.


Dato che i fenomeni di gestione illegale dei rifiuti hanno delle dinamiche molto rapide, per riuscire a individuarli tempestivamente si rende necessario efficientare il processo di Geospatial Intelligence intervenendo sui due principali fattori limitanti: lo stato obsoleto delle immagini disponibili sui geo-portali e i tempi lunghi necessari agli esperti per foto-interpretarle. Per superare questi ostacoli, ARPA Lombardia ha innanzitutto attivato un servizio di acquisizione "on-demand", che consente di ottenere immagini satellitari delle zone di interesse ad altissima risoluzione (30 cm) nell'arco di una settimana.


Inoltre, per ovviare alle tempistiche della fotointerpretazione umana, l'Agenzia ha stipulato un accordo di collaborazione non oneroso con il Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria (Deib) del Politecnico di Milano allo scopo di sperimentare le tecnologie di Intelligenza Artificiale nella identificazione automatica, sulle immagini satellitari e aeree ad altissima risoluzione, di situazioni di potenziale non conformità alle normative ambientali sui rifiuti.


La validità del progetto è dimostrata anche attraverso i risultati fin qui ottenuti con ben 22 siti su 23 individuati in cui è stata confermata la presenza di rifiuti non autorizzata. Gran parte di questi siti è stata conseguentemente sottoposta a sequestro, in sintonia con la competente Autorità Giudiziaria.


Inoltre, il diffusissimo fenomeno degli incendi di siti con presenza di rifiuti si è drasticamente ridotto nel 2020 proprio grazie al sistema di controlli messi in campo.

8. Conclusioni


Continuare a considerare la criminalità organizzata di stampo mafioso come un fenomeno criminale marmoreo e testardo, incapace di modernizzarsi e di cambiare rotta rappresenterebbe un errore grave e figlio di una percezione superficiale. Come ogni altro sistema finanziario, l’immobilismo e l’incapacità di adattamento ne decreterebbe, de facto, la fine. Un rischio che le mafie dimostrano continuamente di essere del tutto in grado di scongiurare, un esempio su tutto i cospicui investimenti effettuati in campo sanitario all'alba dell’emergenza Covid-19.


A rimarcare tale considerazione, il sopracitato rapporto DIA osserva come “il crimine ambientale è un fenomeno in preoccupante estensione proprio perché coinvolge, trasversalmente, interessi diversificati. Il prodotto di tali comportamenti illeciti interferisce sull’ambiente e sull’integrità fisica e psichica delle persone, ledendone la qualità della vita, con conseguenti rilevanti costi sociali”. [xviii]Già da quella ricerca emergeva uno scenario preoccupante sull’illegalità ambientale nel nostro Paese e sul ruolo che giocava in questo settore la criminalità organizzata di tipo mafioso, soprattutto nel meridione d’Italia. Era un quadro che raccontava di rifiuti speciali pericolosi che, dal nord, venivano smaltiti illegalmente nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Puglia, Calabria, Sicilia), in quei territori cioè dove maggiore era il controllo da parte delle organizzazioni criminali.


Quella che si palesa attualmente in Italia, però, è una criminalità ambientale capace di profonde e sorprendenti evoluzioni, rappresentate soprattutto dal ribaltamento delle tendenze consolidatesi nelle sue fasi iniziali. Si è invertita la rotta dei traffici, oggi sono i rifiuti del Meridione ad alimentare i business criminali che vedono il proprio epicentro nel Settentrione. Inoltre, si è sgretolato il monopolio mafioso: il mondo dell’imprenditoria formalmente legale non si rivolge più solo ai gruppi mafiosi, ma anche ad altri imprenditori.


La criminalità ambientale odierna è una realtà in cui si confrontano e convivono soggetti di estrazione mafiosa e soggetti legali che utilizzano il medesimo modus operandi, circondati e coadiuvati da un “intorno” [xix] composito, popolato da tecnici, funzionari pubblici e amministratori locali. [xx]


Dall’evoluzione e differenziazione delle pratiche illegali compiute a danno dell’ambiente dovrebbe derivare l’utilizzo di nuove risorse e tecnologie da parte degli organi inquirenti oltre che degli enti posti a tutela. Il Progetto Savager dimostra come il controllo sistematico del territorio attraverso l’utilizzo di strumentazioni all’avanguardia permetta di accorciare le tempistiche di rilevazione di situazioni critiche, contribuendo ad evitare l’aggravarsi del pericolo verso la salute pubblica, bene inestimabile e costituzionalmente garantito. Non appare inoltre da sottovalutare, nel contesto italiano, l’enorme aiuto fornito da associazioni ambientaliste, le quali agiscono con enorme spirito di altruismo coadiuvando, su base volontaria, gli apparati statali spesso sottorganico, grazie anche alla gestione di squadre composte da guardie eco-zoofile.


Infine, per combattere la “criminalizzazione” d’impresa, è fondamentale far sì che anche le aziende di dimensione medio-piccola siano portate verso la cultura della compliance, aumentando la sensibilità della classe dirigente verso le tematiche ambientali nonché inducendo lo sviluppo di Modelli di Organizzazione e Gestione ai sensi del D.Lgs. 231/2001 e di procedure interne realmente capaci di mappare con precisione le attività potenzialmente a rischio per la commissione di illeciti ambientali. Tutto ciò non può essere ottenuto senza dimostrare i vantaggi a livello economico, commerciale e reputazionale che possono derivare dal perseguimento degli obiettivi di Agenda 2030 [xxi] e attraverso la creazione di valide politiche ESG [xxii].


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Ecomafie fenomenologia di una minaccia invisibile - Briguglio e Lorenzetto
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Note


[1] Le Direttive UE 2018/851 e 2018/852, il nuovo d.lgs. n. 116 del 3 settembre 2020, art. 198-bis, ha istituito il Programma Nazionale per la Gestione dei Rifiuti, a cura del Ministero dell'Ambiente e con il supporto tecnico dell'ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale). Il fine di tale Programma è proprio quello di definire le strategie, i criteri e gli obiettivi ai quali le Regioni e le Province devono attenersi nell'elaborazione dei Piani regionali di gestione dei rifiuti, che devono essere coerenti con quello nazionale, il VAS (Valutazione Ambientale Strategica). A questo impianto normativo e amministrativo si aggiunga il recente d.lgs. 116/2020, cristallino nella definizione degli obiettivi moderni di riciclaggio. [2] Estratto del focus “Mafia & rifiuti” dalla Relazione della DIA Gennaio-Giugno 2019. [3] I dati IREPA stimano 1.167 miliardi di euro.


[ii] M. MASSARI, P. MONZINI, Dirty Business in Italy: A Case-study of Illegal Trafficking in Hazardous aste, in Global Crime, VI, 364, 3-4/2004, pp. 285-304, p. 289.

[iii] A. PERGOLIZZI, «L’economia avvelenata del crimine ambientale», in Moneta e Credito, LXXI, 284, 4/2018, pp. 337-353, p. 337.

[iv] L. BONZANNI, Ecomafie, oggi: l’inversione della rotta dei rifiuti, in Diacronie – Studi di storia contemporanea, Mafia e storiografia. Premesse culturali e prospettive attuali, 39, 3/2019, p. 2.

[v] Si segnala che il 9 giugno 2021 il Senato ha approvato il Disegno di Legge Costituzionale n. 83 su iniziativa della Senatrice De Petris di Sinistra Italiana (gruppo misto), recante modifiche agli Articoli 9 e 41 della Costituzione, al fine di giungere a una riforma costituzionale che introduca la tutela dell’ambiente come principio fondamentale della Repubblica.

[vi] A. PREDIERI, Significato della norma costituzionale sulla tutela del paesaggio, in Studi per il XX anniversario dell’Assemblea Costituente, Firenze, 1969, Vol. II, p. 387.

[vii] Sentenze della Corte Costituzionale n. 210 e 640 del 1987, n. 127 del 1990.

[viii] Tra le materie assegnate a titolo esclusivo dal legislatore alla competenza dello Stato, nell’elenco di cui al comma 2 del citato articolo, vengono specificate: «la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali»; mentre a titolo concorrente alle Regioni vengono assegnate: «valorizzazione dei beni ambientali e culturali».

[ix] Rapporto Ecomafia Legambiente 2020.

[x] Il codice penale prevede le seguenti singole fattispecie di reati ambientali:

- incendio boschivo (423 bis c.p.)

- inondazione, frana, valanga (426 c.p.)

- danneggiamento seguito da inondazione, frana o valanga (427 c.p.)

- crollo di costruzioni o altri disastri (434 c.p.)

- avvelenamento di acque e di sostanze alimentari (439 c.p.)

- inquinamento ambientale (452 bis c.p.)

- disastro ambientale (452 quater c.p.)

- inquinamento e disastro ambientale colposi (452 quinquies c.p.)

- traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività (452 sexies c.p.)

- impedimento del controllo (452 septies c.p.)

- distruzione di materie prime o di prodotti agricoli o industriali, ovvero di mezzi di produzione (499 c.p.)

- diffusione di una malattia delle piante o degli animali (500 c.p.)

- uccisione di animali (544 bis c.p)

- maltrattamento di animali (544 ter c.p.)

- spettacoli o manifestazioni vietati (544 quater c.p.)

- divieto di combattimenti tra animali (544 quinquies c.p)

- getto pericoloso di cose (674 c.p.)

- danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale (733 c.p.) e

- distruzione o deturpamento di bellezze naturali (734 c.p.).

[xii] Una svolta fondamentale in seno all’accademia, pur oggetto poi di critiche anche approfondite, resta la pubblicazione del libro di P. ARLACCHI, La mafia imprenditrice. L’etica mafiosa e lo spirito del capitalismo, Bologna, Il Mulino, 1983; per una panoramica sintetica ma efficace dei principali paradigmi delle mafie nell’arena economica, si veda N. DALLA CHIESA, L’impresa mafiosa. Tra capitalismo violento e controllo sociale, Milano, Cavallotti University Press, 2012, cap. I.

[xiii] Quando l'associazione per delinquere (art. 416 c.p.) è diretta, in via esclusiva o concorrente, a commettere uno dei reati ambientali previsti dal titolo VI bis, le pene previste dall'art. 416 c.p. sono aumentate. Quando poi l'associazione di tipo mafioso (art. 416 bis c.p.) è finalizzata a commettere uno dei reati ambientali previsti dal titolo VI bis o ad acquisire, gestire, controllare attività economiche, concessioni, autorizzazioni, appalti o servizi pubblici in materia ambientale, le pene previste dall'art. 416 bis c.p. sono aumentate. Le pene contemplate nelle due ipotesi analizzate "sono aumentate da un terzo alla metà se dell'associazione fanno parte pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio che esercitano funzioni o svolgono servizi in materia ambientale."

[xiv] Nello specifico, l’art. 25 undecies del decreto prevede l’applicazione all’ente della sanzione pecuniaria:

– da 250 a 600 quote per la violazione dell’art. 452 bis c.p. (inquinamento ambientale);

– da 400 a 800 quote per la violazione dell’art. 452 quater c.p. (disastro ambientale);

– da 200 a 500 quote per la violazione dell’art. 452 quinquies c.p. (inquinamento ambientale e disastro ambientale colposi);

– da 300 a 1.000 quote per i delitti associativi aggravati ai sensi dell’art. 452 octies c.p.;

– da 250 a 600 quote per il delitto di traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività ai sensi dell’art. 452 sexies c.p.

Resta esclusa la responsabilità dell’ente per il reato di impedimento del controllo ex art. 452 septies c.p., per il reato di inquinamento aggravato dalle lesioni ex 452 ter c.p. e per il delitto di omessa bonifica ex 452 terdecies c.p.

[xv] M. GABANELLI, Lombardia, I furbetti dei rifiuti “pizzicati” dal cielo con i satelliti spia, Corriere della Sera.it, 16/03/2021: 56 i depositi illegali di rifiuti andati a fuoco. Traffici illeciti, discariche abbandonate, danni all’ambiente ed economici: le uniche a guadagnarci le ecomafie che riconvertono i capannoni e le aree industriali, abbandonati dalla crisi, a centri di stoccaggio e smaltimento rifiuti paralleli e illegali.

[xvi] La Geospatial Intelligence è il processo di acquisizione di conoscenza delle attività umane che si ottiene dall'analisi delle informazioni georeferenziate e, in particolare, delle informazioni derivate dall'osservazione della Terra dall'alto (satellite, aereo, drone). Questa tecnologia, nata e fortemente sviluppatasi nei settori della difesa e della sicurezza, è stata recentemente introdotta dalla Commissione Europea anche nel contesto della tutela ambientale. Nel Piano d'Azione Ue (COM (2018) 10 Final, Bruxelles 18.1.2018) la Geospatial Intelligence è considerata come una nuova forma di controllo della conformità ambientale, oltre che uno strumento per indirizzare in maniera più mirata le ispezioni ai siti di interesse.

[xvii] Savager utilizza una strategia di controlli a due livelli, superando la logica tradizionale che aveva come bersaglio essenzialmente gli operatori del settore già noti. Con il primo livello di sorveglianza si effettua una mappatura periodica "a tappeto" di aree vaste del territorio regionale per mezzo dell'osservazione della Terra da satellite e aereo, della Geospatial Intelligence e dell'Intelligenza Artificiale.

[xviii] Estratto del focus “Mafia & rifiuti” dalla Relazione della DIA Gennaio-Giugno 2019, pag. 583.

[xix] La definizione di intorno nell’ambito del fenomeno mafioso è coniata da N. DALLA CHIESA, F. CABRAS, Rosso mafia. La ’ndrangheta a Reggio Emilia, Milano, Bompiani, 2019, pp. 122-140.

[xx] L. BONZANNI, Op. Cit., p. 16.

[xxi] L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Essa ingloba 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile – Sustainable Development Goals, SDGs – in un grande programma d’azione per un totale di 169 ‘target’ o traguardi. L’avvio ufficiale degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile ha coinciso con l’inizio del 2016, guidando il mondo sulla strada da percorrere nell’arco dei prossimi 15 anni: i Paesi, infatti, si sono impegnati a raggiungerli entro il 2030. Gli Obiettivi per lo Sviluppo danno seguito ai risultati degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals) che li hanno preceduti, e rappresentano obiettivi comuni su un insieme di questioni importanti per lo sviluppo: la lotta alla povertà, l’eliminazione della fame e il contrasto al cambiamento climatico, per citarne solo alcuni. ‘Obiettivi comuni’ significa che essi riguardano tutti i Paesi e tutti gli individui: nessuno ne è escluso, né deve essere lasciato indietro lungo il cammino necessario per portare il mondo sulla strada della sostenibilità.

[xxii] Acronimo di Environmental, Social & Governance, ossia criteri e logiche che governano strategie aziendali e investimenti per stimolare le imprese verso un impatto positivo sull’ambiente e sulla società e per attuare forme di governance aziendale ispirate a criteri etici.

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