“Dottrina Conte” e nuovo multilateralismo italiano:una nuova spinta per la politica estera nostrana?
Aggiornamento: 1 nov 2020
(di Alessandro Galbarini)

Il recente avvicendamento nel governo italiano ha posto una domanda di interesse fondamentale, fino ad oggi relegata ad un immobilismo e ad una indifferenza decisamente anormale: quale ruolo si profila per lo Stivale nel panorama internazionale? Dalla nascita del precedente governo Gialloverde, fatto salvo per l’importante adesione al progetto per la nuova Via della Seta cinese, il nostro paese ha vissuto un periodo incredibilmente povero di vicende di rilievo sul panorama internazionale. La sempreverde questione migratoria, le crescenti problematiche in tutto il Nordafrica (soprattutto in Libia) e le tensioni in Medioriente, sono esempi di come quasi non si sia voluti intervenire in questioni che influenzano direttamente l’area mediterranea, zona di sviluppo politico-strategica per noi naturale. Allo stesso modo, attriti si sono susseguiti sia con i principali partner europei, nonché con l’Unione Europea stessa, che con l’alleato americano (in relazione al Russiagate nostrano).
Se il primo governo Conte fu caratterizzato da scelte sbagliate, incertezze, ambiguità, contraddizioni e, infine, da una complessiva perdita di credibilità e peso specifico del Paese sulla scena europea ed internazionale, in maniera diametralmente opposta si pone il nuovo esecutivo, soprattutto nell’ottica di un rinnovato binomio tra Atlantismo, tipico della nostra storia post Seconda Guerra Mondiale, ed Europeismo.
Se, sul fronte europeo, le premesse sono decisamente positive, con un programma che punta sia a regole più flessibili in materia di bilancio che ad un piano di redistribuzione dei migranti a livello comunitario, più complesse, ma altrettanto cruciali, sono le vicende legate all’alleato d’oltreoceano, soprattutto a causa della vicinanza nostrana al nemico principale di Trump.
Il delicato bilanciamento che attende l’esecutivo Conte bis si appresta ad essere uno dei crocevia più importanti della storia recente sia del nostro paese che dell’Unione stessa. Non solo l’Italia è uno dei paesi principali, nonché membro fondatore, dell’UE, ma ad oggi è l’unica ad intrattenere rapporti con due colossi in piena contrapposizione come Cina e Stati Uniti. Se a ciò si aggiunge una, sembrerebbe, ritrovata mobilità in ambito internazionale ed una ambiziosa “Dottrina Conte”, si evince come si possa auspicare un futuro da protagonista a tutto tondo per l’Italia.
Personalità come Roberto Gualtieri, nuovo ministro dell’Economia, Vincenzo Amendola, nuovo ministro delle Politiche Europee e Paolo Gentiloni, Commissario per l’economia, sono la conferma che si sia di fronte ad un governo che vuole effettivamente cambiare pagina e riaprire una collaborazione costruttiva con le istituzioni dell’Ue e con i nostri tradizionali partner.
La scelta di Luigi Di Maio agli Esteri, sebbene viziata da una scarsa conoscenza dei dossier di politica estera ed internazionale, ha il preciso compito di gestire alcuni importanti elementi: dall’imprevedibilità della nostra collocazione internazionale, al caso del Venezuela, alle polemiche con i nostri maggiori partner europei alle inspiegabili aperture di credito per i Paesi di Visegrad. Allo stesso tempo, avrà il non facile compito di confermare a Washington che il nostro paese resta fedele agli impegni condivisi in ambito occidentale. Il tutto gestendo il rapporto con Mosca, riconoscendole il ruolo di protagonista sulla scena internazionale, ma rimanendo comunque devota quelli che sono i principi chiave sia dei partner europei, che dell’alleato americano. Infine, dovrà far capire a Pechino che siamo aperti a un’ambiziosa collaborazione su commercio ed investimenti, ma che ci si aspetta una maggiore apertura del mercato interno e una protezione degli investimenti.
Una nuova prospettiva
Che il dialogo con Washington sia al centro delle questioni odierne è innegabile. La limitazione del colosso Huawei nel nostro paese, relativamente alla questione 5G, ed incontri importanti, come il recente scambio tra Di Maio e l'ambasciatore americano in Italia, Lewis M. Eisenberg, e il futuro meeting con il segretario di Stato Usa Mike Pompeo per il 2 e 3 ottobre a Roma, sono un chiaro segnale di discontinuità con il filorussismo del governo precedente. Che il nostro paese sia di importanza strategica cruciale per gli Stati Uniti è assodato, basti pensare alle numerose basi americane sul nostro territorio, soprattutto a quella di Capodichino, dove ha sede la 6a Flotta della Marina americana. Non solo, la nostra estensione nel Mediterraneo e la contemporanea influenza che esercitiamo sono di importanza chiave per la proiezione di potenza statunitense nelle aree limitrofe del bacino, come il Mar Rosso e lo Stretto di Hormuz.
Se ci si distacca dalla pura prospettiva politico-strategica, si può osservare come il fatto di essere un fulcro tra i tre principali attori a livello mondiale, soprattutto a seguito dei continui dazi tra Stati Uniti e Cina, possa portare enormi vantaggi. L’aver aderito alla nuova Via della Seta[1] da un lato, ed aver ritrovato una stretta collaborazione con il nostro principale alleato[2] dall’altro, può rappresentare un grosso vantaggio in termini di peso specifico, soprattutto dopo che l’intero continente europeo si è trovato tra i due fuochi dei rivali Xi e Trump.
Le tensioni tra America, Cina ed Europa sono solo una parte della sfida che si pone di fronte ad italiani, ma anche europei, per i prossimi anni. Il farsi garanti, custodi, dell’ordine post Seconda Guerra Mondiale, contenendo le manie dei grandi paesi di mostrare i muscoli rischia, potenzialmente, di trasformarsi in una vera e propria condanna. Il rischio principale è che si rompa in maniera definitiva quel legame atlantico che dal secondo dopoguerra lega indissolubilmente Europa ed America, e che, soprattutto in questi anni, si è sempre più assottigliato. In un contesto come quello odierno, una collaborazione europeo-americana è tanto più auspicabile quanto necessaria, soprattutto a causa dello charme offensivo cinese sempre più ingombrante e delle politiche esplicite di destabilizzazione della Russia, nella zona balcanica e del Mar Nero.
Sotto questa ala si colloca la stretta collaborazione che la neo-presidentessa della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen, ha auspicato sia per la PESCO[3], che per la EDI[4], ovvero porre entrambe le missioni in un contesto NATO. Sebbene inizialmente questa prospettiva abbia suscitato pareri contrastanti, specie in seno alla Francia che si candidava ad essere vera forza trainante[5], la vera questione di fondo sarebbe il trovare un senso concreto ad una difesa comune europea, prescindendo da Canada e Stati Uniti. Separare queste due entità non soltanto sarebbe controproducente da un punto di vista economico[6], ma finirebbe per acuire ancor di più quella spaccatura che si sta creando nelle relazioni euro-atlantiche. La mancanza di una vera ed efficace forza di deterrenza limiterebbe notevolmente le capacità operative del sistema, che a quel punto dovrebbe necessariamente fare affidamento su più poli per essere efficace (ad esempio un asse franco-tedesco-spagnolo, come di recente avvenuto per il futuro caccia che andrà a sostituire l’Eurofighter). A tal proposito, la decisione italiana di partecipale alla creazione del caccia di 6° generazione Tempest, assieme al Regno Unito, e il tentennamento relativamente all’EDI a guida francese, sono dei chiari segnali di come un sistema totalmente isolato dovrebbe essere escluso. Si può configurare il comportamento nostrano come un tentativo di portare un rinnovamento, un piano di opportunità e proposte diversificate rispetto agli standard segnati da Francia e Germania, così da tornare ad avere peso nelle decisioni continentali.
Che la direttrice intrapresa sia quella della multilateralità è facilmente rilevabile, come peraltro confermato dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte durante la presentazione delle linee programmatiche del governo alla Camera dei Deputati: "Ritengo che l'Italia debba proseguire lungo i tre assi fondamentali che storia, geografia e tradizione politico-culturale ci impongono. Senza con questo perdere di vista le opportunità e le sfide offerte dai nuovi assetti internazionali … Tali assi, oltre alla nostra responsabilità di Stato membro della Unione europea, sono, come è noto, le relazioni transatlantiche, con il corollario della nostra appartenenza alla Nato e l'imprescindibile legame con gli Stati Uniti e la stabilizzazione e lo sviluppo del Mediterraneo allargato … Tali rapporti[7] che, anche in prospettiva, riteniamo di fondamentale importanza dovranno essere declinati sempre e comunque con modalità compatibili con la nostra vocazione euro-atlantica".
Questo multilateralismo auspicato da Conte ha come obiettivo fondamentale l’evitare di uscire ridimensionati da un confronto globale, cercando di ritagliarsi un posto di primaria importanza in tutte quelle particolari meccaniche della politica internazionale.
A tal proposito, la gestione di alcune tematiche di rilevanza globale sarà cruciale, come la lotta al cambiamento climatico, la gestione degli imponenti flussi migratori che da qualche anno sono al centro delle vicende del nostro pianeta e la stabilizzazione delle problematiche relative al commercio internazionale.
Quali obiettivi nel breve periodo?
Nonostante una dottrina che mira alla multilateralità internazionale, non sono da tralasciare questioni locali altrettanto importanti, su tutte le questioni libica e balcanica. La stabilizzazione politico-sociale della Libia, vera e propria spina nel fianco della nostra politica regionale, giocherà sicuramente un ruolo di primo piano, non solo perché terreno di potenziali proficue relazioni tra i due paesi, ma anche perché stabilizzarla significherebbe porre un solido fondamento per l’effettiva normalizzazione del Mediterraneo. Ciò, di conseguenza, darebbe la possibilità di sviluppare quell’idea di “Mediterraneo Allargato” che garantirebbe non solo maggior coesione tra i paesi che vi si affacciano, ma anche un maggior livello di sicurezza e prosperità per l’Italia stessa. Sarebbe però un errore limitare solamente al sud del Mediterraneo questa strategia. È possibile individuare sia nell’area orientale che in quella occidentale del nostro bacino, situazioni critiche che necessitano di interventi mirati e repentini ad ampio spettro[8].
Relativamente alla seconda questione, l’obiettivo primario rimane, assieme agli altri stati UE, quello di tracciare una tabella di marcia per una forte integrazione dei paesi balcanici. I contatti con i diretti interessati sono già stati avviati da Angela Merkel ed Emmanuel Macron, in un vertice informale a Berlino con i leader di Albania, Bosnia, Montenegro, Macedonia del Nord, Serbia e Kosovo, ai quali si sono poi aggiunti Croazia e Slovenia, mentre al nostro paese è quasi toccato un ruolo da spettatore. Il non aver partecipato ad un incontro dedicato a quei paesi che stanno iniziando un lento processo di integrazione, soprattutto tenendo in considerazione l’importanza storica che i Balcani hanno, ed hanno avuto, per noi, è un errore che non deve essere commesso. In particolare, la situazione tra Serbia e Kosovo deve essere gestita in maniera accurata, specialmente a seguito del riacutizzarsi delle tensioni tra Pristina e Belgrado, dopo che la prima ha introdotto dei dazi doganali del 100% sui prodotti di importazione serbi.
Si evince che, nonostante si stia assistendo ad un netto cambiamento di rotta nella nostra politica estera, sia a livello locale che transnazionale, il concentrare tutte le attenzioni sulle relazioni con i vecchi alleati o verso i nuovi partner asiatici, non è sufficiente. I problemi di carattere regionale, così come il nostro rilievo e il nostro ruolo in seno all’Unione Europea, devono essere posti su di un livello di importanza paritario rispetto alle questioni internazionali, solo in questo modo potremo attuare una politica multilaterale efficace.
[1] Parallelamente alla nomina di Ettore Sequi, ex ambasciatore in Cina, nonché una delle menti dietro all’adesione alla nuova Via della Seta, a Capo di Gabinetto di Luigi di Maio.
[2] Esclusi, ovviamente, i paesi UE.
[3] PErmanent Structured COoperation, è un’iniziativa dell'Unione europea nell'ambito della Politica di sicurezza e di difesa comune, volta all'integrazione strutturale delle forze armate di 25 dei 28 stati membri.
[4] European Defense Iniziative, proposta che si pone ancora come una via per conseguire una autonoma e credibile capacità expeditionary europea, dotata di proprie forze, proprio stato maggiore e proprio sistema di comando e controllo.
[5] Non solo sotto il punto di vista militare, dato che è l’unico paese europeo oltre alla Gran Bretagna, a disporre di una propria forza d’attacco nucleare, ma anche per quanto riguarda i consensi, avendo ricevuto il supporto di paesi come Germania, Belgio, Olanda, Danimarca, Lussemburgo, Spagna, Portogallo, Finlandia ed Estonia.
[6] È necessario ricordare che il panorama economico-commerciale tra America ed Europa è quantificabile, ad oggi, in circa 3 miliardi di dollari al giorno di scambi, nonostante la sempre più ingombrante presenza di paesi come India e, appunto, Cina.
[7]Anche facendo riferimento ad attori come India, Cina e Russia
[8] Basti pensare che una delle maggiori direttrici per i flussi migratori passa per lo Stretto di Gibilterra e che, con i recenti avvenimenti nell’area Saudita, anche l’area orientale del Mediterraneo necessita di una presenza importante
Riferimenti
http://www.affaritaliani.it/blog/italia-atlantica/atlantismo-no-622896.html
https://formiche.net/2019/08/conte-2-discontinuita-atlantista/
https://www.ilfoglio.it/esteri/2019/03/21/news/toglieteci-tutto-ma-non-latlantismo-244352/
https://www.agi.it/politica/conte_alleanza_atlantica_politica_estera-6157468/news/2019-09-10/