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Dipendenza, efficienza ed eccellenza tecnologica: la situazione energetica della Cina di oggi

Aggiornamento: 14 dic 2020

Da ormai due decenni o poco più, la #Cina è un argomento di discussione ricorrente, in ambito accademico e politico, così come nel nostro quotidiano, nella tecnologia che utilizziamo, negli oggetti che manipoliamo ogni giorno, e in misura crescente anche nella cultura di cui usufruiamo.

La Cina affascina e fa paura, il paese più popoloso al mondo, che cresce a vista d'occhio, che sopraffà la concorrenza in ogni settore, che entra in guerra commerciale con gli Stati Uniti e che minaccia di passare all'azione anche sul piano militare, con le sue mire espansionistiche nel Mar Giallo.

Eppure, come ogni Achille deve venire a patti con il proprio tallone, anche la Cina ha un grande punto di debolezza, che se minacciato potrebbe mettere il paese in ginocchio nel giro di sole poche settimane.

La Cina è povera di risorse energetiche, almeno per il momento.


Nel 2016[1] la #Cina, per mantenere il proprio livello di crescita economica e demografica, ha dovuto importare più del 65% del proprio fabbisogno di #petrolio e il 35% di quello di #gas naturale. Nel 2010, solamente sei anni prima, le percentuali erano rispettivamente al 52% e 14%.

La dipendenza dalle importazioni pone un triplice problema al paese povero di risorse:

1. Lo espone al pericolo di rimanere senza approvvigionamento, o di vederlo fortemente limitato, con un impatto sul prezzo della materia prima e sull’economia generale, che dipende in maniera simbiotica dal costo dell’energia.

2. Ha un impatto negativo sulla bilancia commerciale e costringe il paese a vedere uscire dai propri confini ingenti somme di valuta nazionale senza che vi sia un “ritorno” economico, come nel caso degli investimenti.

3. In linea di massima, importare le materie prime è più oneroso di reperirle in loco, sia per i costi di trasporto che per gli eventuali dazi doganali.


Ben cosciente del proprio punto debole, il Paese del Sol Levante si è mosso su più fronti per migliorare la propria posizione in termini di sicurezza energetica.

Ha cercato di diversificare le proprie fonti di approvvigionamento, in modo da ridurre il più possibile il rischio di esaurimento delle riserve. Wood MacKenzie riporta che nel 2017 il maggiore esportatore di petrolio verso la Cina è stata la #Russia, la quale ha contribuito a poco meno del 14% del fabbisogno del paese del Sol Levante. Seguono Angola (13%), #Arabia Saudita (12%), #Iraq, #Oman, #Iran e altri Paesi con quote via via minori.

Lo scenario appare meno differenziato quando si passa al gas naturale: più di un terzo delle importazioni arriva infatti da un singolo paese, il #Turkmenistan, via gasdotto. Un ulteriore 25% arriva dall’#Australia sotto forma di gas liquefatto (LNG).

La Cina si é allo stesso tempo adoperata per aumentare i canali di importazione, per esempio finanziando la costruzione di nuovi gasdotti come il Power of Siberia, lungo 3000 km e con una capacità di 38 miliardi di metri cubi l’anno, o di nuovi porti atti alla ricezione di navi LNG – in grado di permettere allo stesso tempo diversificazione dei canali e del fornitore, praticamente impossibile nel caso di una struttura rigida come un gasdotto o un oleodotto. L’attrattività dell’LNG spiega l’intenzione della #Cina di aumentare le importazioni annuali dai 2.8 milioni di tonnellate del 2018 a 10 milioni nel giro di 5 anni.


Parte della politica cinese della cosiddetta Nuova Via della Seta, lanciata nel 2013 dal Presidente Xi Jinping, ha l’energia come fine ultimo o come veicolo di investimenti. Tra le numerose iniziative portate avanti a livello mondiale, possiamo individuare due categorie principali di investimenti da parte cinese in ambito energetico:

1. Investimenti atti a facilitare l’import di risorse energetiche, come per esempio la partecipazione della China National Petroleum Corporation al 20% dell’impianto LNG di Yamal, nella regione artica della Russia. Parte del gas liquefatto prodotto in loco potrebbe verosimilmente essere diretto in Cina.

2. Investimenti senza una ricaduta diretta sull’approvvigionamento energetico della #Cina, come l’impianto eolico di Punta Sierra in #Cile, inaugurato nel 2018.

In entrambi i casi, i progetti sono stati portati avanti nell’aspettativa non solo di un ritorno diretto in termini economici, ma anche con la consapevolezza dell’impatto positivo sul know how in termini tecnologici, di project management, e di affermazione come attore centrale nello sviluppo energetico a livello internazionale.


Dal punto di vista della produzione interna, non potendo contare sulla disponibilità di idrocarburi a livello domestico e dovendo far fronte ad serio problema dell’inquinamento dovuto alle emissioni fossili, la #Cina ha concentrato i propri sforzi nel settore delle energie rinnovabili. La produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili é aumentata di quasi sette volte tra in 2000 e il 2015, da 222,000 GWh a oltre 1,500,000 GWh, con l’incremento maggiore nell’idroelettrico[2] e nell’eolico.

La Global Commission on the Geopolitics of Energy Transformation ha definito la #Cina il Paese con il più grande potenziale per diventare la superpotenza mondiale in termini di energia #rinnovabile, non solo per la crescita dirompente della capacità di produzione elettrica installata, ma anche per la propria predominanza tecnologica. La Cina detiene infatti il 30% dei brevetti sulle tecnologie legate alle energie rinnovabili registrati a livello internazionale (dati del 2016).


Last but not least, i grandi passi avanti fatti in termini di efficienza energetica: l‘IFRI riporta che tra il 2010 e il 2015 il PIL cinese é cresciuto in media del 7.8% all’anno, mentre l’intensità energetica, cioè la quantità di energia necessaria a far crescere il PIL di un punto percentuale, é diminuita del 18%, surclassando l’obiettivo nazionale fissato al 16%. In pratica, una migliore gestione delle risorse ha permesso di far crescere il prodotto interno lordo senza consumare quantità maggiori di energia.

La #Cina ha saputo emergere come superpotenza mondiale pur in una situazione di dipendenza energetica cronica. Ben consapevole del rischio e degli svantaggi derivanti dalla propria condizione, il paese del Sol Levante ha fatto passi da gigante per differenziare le proprie fonti di approvvigionamento, per continuare a crescere economicamente e demograficamente utilizzando sempre meno risorse, per sfruttare il proprio potenziale idroelettrico, eolico e solare fino a diventare il leader indiscusso a livello mondiale in termini di know-how tecnologico nel campo delle rinnovabili.



[1] I dati più recenti e resi pubblici dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) si riferiscono ai bilanci energetici del 2016. Quelli sulla Cina sono disponibili a questo link.

[2] La Cina batte numerosi record a livello mondiale nel settore dell’idroelettrico: ospita un quarto della capacità globale di produzione di idroelettrico, e nel 2018 si é confermato il paese con la maggiore espansione, seguito a distanza dal Brasile. Il primato non é però esente da risvolti negativi: la costruzione degli impianti é stata spesso portata avanti a scapito della preservazione del patrimonio naturale ed architettonico.

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