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Dieci anni dopo le rivolte arabe: tra minacce islamiste e involuzioni autoritarie

Aggiornamento: 16 nov 2021

Quale futuro si prospetta per il Nord Africa?


di Sara Senno e Davide Lauretta

La “cancellazione” di Morsi. (Fonte: The Economist) [1]

1. Introduzione


A dieci anni dalle rivolte arabe, i processi per ottenere democrazia e diritti da esse azionati risultano tutt’altro che risolti. Inizialmente, le insurrezioni erano riuscite ad archiviare la pluridecennale fase autoritaria in Egitto, Tunisia e Libia, aprendo la strada alla democratizzazione della regione.


Grazie alla ferma opposizione ai precedenti regimi e all’Occidente che li aveva a lungo appoggiati, le neoformazioni partitiche di stampo islamista moderato, dichiarando di accettare le regole del gioco democratico, collezionarono successi in tutte e tre le realtà, salvo poi dimostrare una generale inesperienza di governo che, data anche la complessità del contesto operativo, ha portato a una loro progressiva esclusione dal panorama politico nordafricano.


Parallelamente, il vuoto politico creatosi a seguito della caduta dei governi autoritari e dei successivi tentativi di riassestamento ha lasciato spazio alla proliferazione di gruppi estremisti violenti nazionali e internazionali, che hanno trovato nella debolezza istituzionale un’occasione per radicarsi nel tessuto sociopolitico nordafricano sostituendosi talvolta allo Stato, laddove carente.


L’erosione del processo di democratizzazione legata a questi fattori prefigura scenari futuri incerti che potrebbero risultare in un’involuzione autoritaria o in un’ulteriore diffusione dell’estremismo violento nei Paesi in transizione, creando ripercussioni sulla sicurezza della regione e, più ampiamente, di tutto il bacino del Mediterraneo.


Il presente lavoro, dopo un’analisi delle cause dell'estrema fragilità del contesto nordafricano post-2011, si propone di delineare i più probabili sviluppi futuri nell'area.


2. Il post-rivolte arabe in Nord Africa: premesse


Le insurrezioni del 2011 nacquero in seno a una situazione di diffuso malcontento, derivante dalla pluridecennale oppressione popolare operata dagli autoritarismi che governavano in maniera disfunzionale la regione nordafricana. Insisteva in essa, infatti, una profonda e diffusa corruzione che, unitamente all’aumento delle disparità sociali e al generale peggioramento delle condizioni di vita, accrebbe l’insoddisfazione della popolazione sino a spingerla al rovesciamento di tali sistemi politici in favore della democratizzazione, di un miglioramento delle condizioni di vita e di un maggiore rispetto dei diritti e delle libertà.[2]


Quando le sommosse iniziarono a mostrare segni di successo, accanto a coloro che si battevano per la democrazia, un ruolo di spicco venne ricoperto dai gruppi islamisti che, pur non condividendo i valori rivoluzionari, si impegnarono per sostituire i governi che li avevano sino ad allora perseguitati relegandoli alla clandestinità.[3]

Figura 1: gli Stati delle rivolte arabe (Fonte: The Washington Post)[4]

3. Minacce ai processi di democratizzazione: l’Islam politico e l’estremismo violento


Dopo le rivolte, gli islamisti più moderati tentarono l’ascesa al potere attraverso la competizione democratica nei rispettivi Paesi formando partiti propri che concorsero alle elezioni.


Sin da principio, questa loro accettazione della democrazia destò molti sospetti tra le file dell’opposizione; in particolare, si dubitava riguardo a un loro concreto adeguamento ai precetti democratici in quanto questi stridevano con i valori fondanti della dottrina islamista.


Tuttavia, nonostante le discrepanze con le cause che mossero le insurrezioni, la repressione subita negli anni delle dittature, la ferma opposizione allo “Occidente oppressore” che le aveva a lungo sostenute e la partecipazione alle rivolte furono elementi sufficienti per permettere agli islamisti di collezionare successi politici in tutta la regione.[5]


Dopo lo slancio favorevole all'indomani delle rivolte, gli islamisti si sono trovati in un ambiente sempre più ostile e polarizzato a cui si è aggiunta la loro inesperienza governativa, che li portò in genere a prediligere scelte più orientate alla conservazione del potere più che alla formulazione di soluzioni politiche concrete.[6]


Tale contesto dominato da caos e dimostrata incapacità di governo ha favorito la diffusione di movimenti jihadisti internazionali come al-Qaeda e ISIS, che hanno trovato nella carenza istituzionale un’occasione per proliferare e radicarsi nel tessuto sociale nordafricano, talvolta sostituendosi allo Stato.[7]


4. L’involuzione autoritaria dell’Egitto


Le elezioni parlamentari tenutesi tra novembre 2011 e gennaio 2012 hanno visto la vittoria del Freedom and Justice Party (FJP), braccio politico della Fratellanza Musulmana egiziana. Il partito assunse sin da principio un atteggiamento intransigente, volto a sfruttare la posizione ricoperta per imporre le proprie linee guida.[8] Il manifesto interesse a preservare il potere acquisito piuttosto che a favorire il progresso del Paese è presto sfociato in sollevamenti popolari, che hanno posto le basi per il colpo di stato militare del 2013. Ciò determinò la destituzione dell’allora presidente islamista Mohamed Morsi e la presa di potere del generale Abdel Fattah al-Sisi, già capo di stato maggiore dell’esercito e ministro della difesa, nominato nel 2012 dallo stesso Morsi.[9]


Segnando l’epilogo dell’esperienza democratica egiziana, il neocostituito regime diede il via a una nuova e cruenta ondata persecutoria nei confronti dell’islamismo.[10] In questa situazione, le azioni violente di esercito e polizia furono molte e portarono all’uccisione di centinaia di persone.[11] L’effetto della linea dura adottata da al-Sisi, che ai fini del rafforzamento del potere venne poi estesa verso chiunque si opponesse al regime[12], fu controproducente: infatti, a fronte della sopravvenuta impossibilità di partecipazione politica non violenta, si registrò l’incremento degli attacchi alle forze di sicurezza e alle minoranze cristiane da parte dei militanti islamisti.[13]


5. La fragile tenuta democratica della Tunisia


Sin dagli albori della democrazia tunisina il partito islamista Ennahda, guidato da Rachid Ghannouchi, è riuscito a far parte di tutte le coalizioni di governo succedutesi dal 2011 fino alla sospensione forzata delle attività parlamentari dello scorso luglio, per volontà del presidente Kais Saïed. Quest’ultimo, facendo appello ai propri poteri costituzionali, rispose alle richieste popolari di porre fine alla corruzione e all’adozione di provvedimenti governativi “di facciata”,[14] sostituendo il precedente esecutivo con una nuova squadra di tecnocrati, guidata da Nejla Bouden Romdhane, la prima premier donna del mondo arabo.[15]


Come in Egitto, anche in Tunisia gli islamisti assunsero posizioni controverse riguardo al perseguimento degli obiettivi delle sommosse[16] e questo diede credito alle accuse di chi sosteneva che essi mirassero esclusivamente alla conservazione della loro posizione di leadership. Ciò, unitamente alle ripercussioni del golpe militare egiziano e delle lotte intestine in Libia, portò a un progressivo declino del consenso popolare verso Ennahda.[17] Questo per una serie di motivi, che non sono da ricercarsi solamente nella mutevolezza del partito, ma anche e soprattutto nel peggioramento delle condizioni socioeconomiche, alle quali non si è mai risposto con efficaci politiche di risanamento.[18]


6. Il difficile percorso di riconciliazione in Libia


In Libia, nonostante le elezioni libere di luglio 2012 avessero sancito la vittoria della coalizione laica, una volta in parlamento, il Justice and Construction Party (JCP), braccio politico della Fratellanza Musulmana libica e primo partito dell’opposizione, strinse una serie di alleanze strategiche che gli permisero di diventare di fatto il gruppo più influente del Congresso.[19]


Anche in questo caso, la strategia chiaramente opportunistica del nuovo fronte islamista[20] e i suoi legami con alcune milizie armate[21] determinarono un calo di consensi. Molti libici, infatti, ritennero che le mire del gruppo fossero d’intralcio alla democratizzazione.[22] Ciò portò nel 2014 a manifestazioni di piazza in tutto il Paese, nelle quali si chiedevano lo scioglimento del Congresso ed elezioni anticipate. Dopo un iniziale diniego, furono indette le elezioni, che nel giugno 2014 sancirono una devastante sconfitta per gli islamisti.[23] Il Congresso - a maggioranza islamista - rifiutò di riconoscere il nuovo parlamento eletto, determinando la spaccatura del Paese in due amministrazioni distinte e rivali e dando il via alla lunga e sanguinosa guerra civile libica.[24]


Oggi, nonostante il lavoro del Libyan Political Dialogue Forum[25] a guida ONU, che ha permesso l’insediamento del Government of National Unity (GNU), la cui funzione dovrebbe essere quella di traghettare il Paese alle elezioni del prossimo 24 dicembre, il processo di transizione politica rimane delicato a causa di una lunga serie di circostanze ancora irrisolte.[26]


7. La minaccia jihadista


La tradizione jihadista in Nord Africa ha radici lontane e la fragilità legata alle transizioni democratiche ne ha permesso una recrudescenza. Per comprendere le attuali minacce nella regione bisogna necessariamente partire dal cuore del problema: la Libia. Essa è divenuta un connettore di gruppi terroristici a causa della persistenza di una serie di problematiche, tra le quali la presenza di mercenari stranieri, la frammentazione sociale, la debolezza istituzionale, e l’assenza di controlli specialmente lungo i confini, che risultano porosi.[27]


In questo scenario, considerata anche la precarietà socioeconomica aggravata dal conflitto e dalla crisi umanitaria, è facile comprendere come i gruppi terroristici abbiano trovato terreno fertile per reclutare nuove unità, addestrarle in appositi campi e riempire le proprie casse con ogni sorta di attività illecita.[28]

Il problema rischia di estendersi agli Stati vicini. In Egitto, il fallimento dell’islamismo moderato e la linea dura adottata dal regime che ha represso islamisti e avversari politici hanno provocato un aumento degli attacchi terroristici e alimentato l’attrattività della narrativa jihadista.[29] Inoltre, i 1200 km di confine condiviso con l’ex Jamahiriyya contribuiscono ad aumentare il rischio di infiltrazioni terroristiche.[30] Per arginare la minaccia, l’Egitto ha armato le forze antiislamiste di Haftar, operando una scelta piuttosto controversa, in quanto potrebbe concorrere ad alimentare il caos libico.[31]


Anche la Tunisia condivide confini con la Libia, oltre a ospitare una vasta comunità libica al suo interno.[32] Inoltre, similmente al caso egiziano, con l’esclusione forzata delle fazioni islamiste dalla leadership, il rischio di involuzioni violente aumenta, soprattutto se si considera che la Tunisia, Paese con il più alto rapporto pro capite al mondo di foreign fighters affiliati all’ISIS,[33] deve fare i conti con il loro ritorno in patria, che sembra stia avvenendo per lo più proprio attraverso il confine con la Libia.[34]


8. Scenari futuri


Nonostante la complessità del quadro sopra descritto non permetta di configurare con chiarezza possibili scenari futuri per i tre Paesi, di seguito si presenteranno le ipotesi ad oggi più plausibili.


Per quanto riguarda l’Egitto, nonostante non insista la medesima instabilità dei contesti libico e tunisino, il rischio di scontri e violenti sconvolgimenti interni non è da escludere. Secondo alcuni, la linea dura adottata da al-Sisi risulta controproducente, perché dà credito alla narrativa jihadista secondo cui la strada della violenza rimane l’unica percorribile, specie dopo l’estromissione dell’islamismo moderato dalla scena e la chiusura della partecipazione politica agli avversari del regime.[35]


In Tunisia, dopo gli ultimi avvenimenti risulta azzardato definire uno scenario futuro preciso. Considerate l’instabilità politica e le gravi condizioni sociali ed economiche in cui versa il Paese, l’azione di Saïed è stata salutata tanto con sollievo quanto con sospetto dalla popolazione. La recente nomina del nuovo governo sembra in qualche modo allontanare il timore di una deriva autoritaria e personalistica, ma il riacquisto dei diritti politici da parte dell’elettorato tunisino al momento risulta ancora estremamente incerto.[36]


L’analisi dello scenario libico è ancora meno incoraggiante. Il caos politico, la povertà e la presenza capillare di gruppi armati complicano la riuscita della tanto agognata soluzione diplomatica. Il successo delle elezioni sarà fondamentale per ricostruire la fiducia popolare e indebolire le retoriche delle milizie jihadiste, ancora libere di agire indisturbate nel Paese.[37]


Interessante sarà infine esaminare la gestione del rimpatrio dei foreign fighters in tutta la regione: la loro esperienza acquisita in merito a tattiche e narrativa potrebbe aggiungere nuove minacce a un teatro già profondamente instabile.


Alla luce di quanto osservato, l’estrema fragilità della transizione democratica e l’inesperienza dei partiti al potere hanno forse determinato il fallimento dei processi innescati da quelle che nel 2011 furono ingenuamente chiamate “primavere arabe”.


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Analisi Area Terrorismo_Sara Senno e Davide Lauretta_26102021 DEF
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Note

[1] Redazione, “Across the Arab world, Islamists’ brief stints in power have failed”, in The Economist, 28 agosto 2021. https://www.economist.com/special-report/2021/08/24/across-the-arab-world-islamists-brief-stints-in-power-have-failed. [2] Sara Brzuszkiewicz, L’evoluzione dello scenario geopolitico nordafricano e il suo impatto sui mercati dell’energia, Fondazione Eni Enrico Mattei (FEEM), 2016, pp. 12 e ss. https://www.feem.it/m/publications_pages/20169131843642016-05-brzuszkiewicz-ita-completo.pdf; Redazione, “Dieci anni dopo le primavere arabe, cosa è cambiato? Intervista ad Alessia Melcangi”, in Europatlantica, 23 dicembre 2020. https://europaatlantica.it/focus-geopolitico/mediterraneo/2020/12/dieci-anni-dopo-le-primavere-arabe-cosa-e-cambiato-intervista-ad-alessia-melcangi/. [3] Abdullah Al-Arian, “Arab Spring: The End of Political Islam as We Know It”, in Jadaliyya, 15 febbraio 2021. https://www.jadaliyya.com/Details/42363. [4] Liz Sly, “The unfinished business of the Arab Spring”, in The Washington Post, 24 gennaio 2021. https://www.washingtonpost.com/world/interactive/2021/arab-spring-10-year-anniversary-lost-decade/. [5] Il FJP egiziano guadagnò il 37% dei voti alle parlamentari del 2011, Ennahda vinse 89 seggi su 217 nel governo di transizione e il JCP libico nel 2012 fu il gruppo dominante nell’opposizione. Fonte: Adel Abdel Ghafar & Bill Hess, Islamist Parties in North Africa: A Comparative Analysis of Morocco, Tunisia and Egypt, Brookings Doha Center Analysis Paper, Number 22, July 2018. https://www.brookings.edu/wp-content/uploads/2018/07/Islamist-parties-in-North-Africa-analysis-paper.pdf; Cameron Glenn, “Libya’s Islamists: Who They Are - And What They Want”, in Wilson Center, 8 agosto 2017, https://www.wilsoncenter.org/article/libyas-islamists-who-they-are-and-what-they-want ; Mohamed Eljarh, “The Libyan Crisis: Internal Barriers to Conflict Resolution and the Role of Multilateral Cooperation”, in Andrea Dessì and Ettore Greco (a cura di), The search for stability in Libya. OSCE’s Role between Internal Obstacles and External Challenges, IAI research studies (pp. 49-66), 2018, p. 52. https://www.iai.it/sites/default/files/iairs_1.pdf . [6] Giulia Cimini & Beatriz Tomé-Alonso, Rethinking Islamist politics in North Africa: a multi-level analysis of domestic, regional and international dynamics, Contemporary Politics, 27:2, 2021, pp. 125-140. [7] Andrea Dessì, Dario Cristiani, Wolfgang Mühlberger, Giorgio Musso, Africa and the Mediterranean Evolving Security Dynamics After the Arab Uprisings, Mediterranean Paper Series 2014, IAI, 2014, p. III. https://www.iai.it/sites/default/files/Mediterranean-paper_25.pdf. [8] Daniela Pioppi, “Playing with Fire. The Muslim Brotherhood and the Egyptian Leviathan”, in The International Spectator, 48:4, 51-68, 2013. [9] Mauro Indelicato, “Chi è Abdel Fattah al Sisi”, in Insideover, 21 aprile 2020. https://it.insideover.com/schede/politica/chi-e-abdel-fattah-al-sisi.html. [10] Bárbara Azaola Piazza, “The Consolidation of Authoritarianism in al-Sisi’s Egypt”, in Geographical Overview | Middle East and Turkey (pp. 216-219), 2018, p. 218. https://www.iemed.org/wp-content/uploads/2021/01/The-Consolidation-of-Authoritarianism-in-al-Sisis-Egypt.pdf. [11] Andrea Dessì, Dario Cristiani, Wolfgang Mühlberger, Giorgio Musso, Africa and the Mediterranean Evolving Security Dynamics After the Arab Uprisings, Mediterranean Paper Series 2014, IAI, 2014, p. 66. https://www.iai.it/sites/default/files/Mediterranean-paper_25.pdf. [12] Daniela Pioppi, “Playing with Fire. The Muslim Brotherhood and the Egyptian Leviathan”, in The International Spectator, 48:4, 51-68, 2013, p. 219. [13] Shadi Hamid, “Sisi’s regime is a gift to the Islamic State”, in Brookings, 7 agosto 2015. https://www.brookings.edu/blog/markaz/2015/08/07/sisis-regime-is-a-gift-to-the-islamic-state/ ; Samy Magdy, “Egypt officials: 9 men executed for 2013 attack on police”, in AP News, 26 aprile 2021. https://apnews.com/article/africa-middle-east-egypt-religion-4bdf7f4981761b10c80e1767068cd075. [14] Vivian Yee, “In Tunisia, Some Wonder if the Revolution Was Worth It”, in The New York Times, 27 luglio 2021. https://www.nytimes.com/2021/01/19/world/middleeast/tunisia-protests-arab-spring-anniversary.html; Aya Burweila, “Tunisian democracy was destroyed by corruption long before President Saied’s actions”, in Al Arabiya News, 3 agosto 2021. https://english.alarabiya.net/views/news/africa/2021/08/03/Tunisian-democracy-was-destroyed-by-corruption-long-before-President-Saied-s-actions. [15] Marina Ottaway, “Political Parties and Democracy in Crisis”, in Wilson Center, 2 aprile 2021. https://www.wilsoncenter.org/article/tunisia-political-parties-and-democracy-crisis; Bethan McKernan and Simon Speakman Cordall, “Tunisia president accused of staging coup after suspending parliament”, in The Guardian, 26 luglio 2021. https://www.theguardian.com/world/2021/jul/26/tunisian-president-dismisses-government-sparking-street-celebrations ; Chiara Gentili, “Tunisia: nominato il nuovo governo”, in Sicurezza Internazionale, 11 ottobre 2021. https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2021/10/11/tunisia-nominato-governo/. [16] Per approfondimenti: Monica Marks, “Speaking on the Unspeakable: Blasphemy & the Tunisian Constitution”, in Carnegie Endowment, 4 settembre 2012. https://carnegieendowment.org/sada/49259; Giulia Cimini, “Tunisia and Ennahda’s Post-Revolutionary Trajectory”, in ISPI, 14 gennaio 2021. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/tunisia-and-ennahdas-post-revolutionary-trajectory-28867. [17] Hamza Meddeb, Ennahda’s Uneasy Exit From Political Islam, Carnegie Endowment for International Peace, Settembre 2019. https://carnegieendowment.org/files/WP_Meddeb_Ennahda1.pdf. [18] Giulia Cimini, “Via il governo e stop al Parlamento: Tunisia in bilico dopo l’annuncio di Saïed”, in Affarinternazionali, 28 luglio 2021. https://www.affarinternazionali.it/2021/07/via-il-governo-e-stop-al-parlamento-tunisia-in-bilico-dopo-lannuncio-di-saied/. [19] Cameron Glenn, “Libya’s Islamists: Who They Are - And What They Want”, in Wilson Center, 8 agosto 2017, https://www.wilsoncenter.org/article/libyas-islamists-who-they-are-and-what-they-want. [20] Esemplare in questo senso fu la Political Isolation Law del 2013. Per approfondimenti: Mark Kersten, “Libya's Political Isolation Law: Politics and Justice or the Politics of Justice?”, in Middle East Institute, 5 febbraio 2014. https://www.mei.edu/publications/libyas-political-isolation-law-politics-and-justice-or-politics-justice. [21] “Muslim Brotherhood in Libya”, in Counter Extremism Project. https://www.counterextremism.com/content/muslim-brotherhood-libya. [22] Inga Kristina Trauthig, “Gaining Legitimacy in Post-Qaddafi Libya: Analysing Attempts of the Muslim Brotherhood”, in Societies, 2019, 9, 65 (pp. 1-18), p. 8. https://www.mdpi.com/2075-4698/9/3/65/pdf. [23] Mohamed Eljarh, “Struggling to Advance in Post-Spring Libya”, in Beyond Islamists and Autocrats Essay Series, January 2017. https://www.washingtoninstitute.org/media/1905?disposition=inline. [24] Mohamed Eljarh, “The Libyan Crisis: Internal Barriers to Conflict Resolution and the Role of Multilateral Cooperation”, in Andrea Dessì & Ettore Greco (a cura di), Search For Stability in Libya. OSCE’s Role between Internal Obstacles and External Challenges, IAI Research Studies, 2018, p. 52 e ss. https://www.iai.it/sites/default/files/iairs_1.pdf [25] Per approfondimenti: Libyan Political Dialogue Forum, UNSMIL. https://unsmil.unmissions.org/libyan-political-dialogue-forum. [26] Alla luce dei recenti sviluppi, per approfondimenti sulle circostanze: Amedeo Guarino, Davide Lauretta, Sara Senno, COVID-19: un’opportunità di rinascita per il Califfato. L’importanza dell’adattamento dei metodi di contrasto della narrativa jihadista. Il caso della Libia, Centro Alti Studi Difesa (CASD), 2021. [27] Konrad-Adenauer-Stiftung (KAS), Inside Libya, Regional Program Political Dialogue South Mediterranean, Agosto 2021, n. 13. https://www.kas.de/documents/282499/282548/Inside+Libya+-+August+Edition.pdf/e62b6a80-079b-c038-e50b-418d5aa39267?version=1.0&t=1627981924727; “A Make-or-Break Moment for Libya’s Transition”, in ISPI, 30 Settembre 2021. https://www.ispionline.it/en/pubblicazione/make-or-break-moment-libyas-transition-31861. [28] “Libya: a growing hub for Criminal Economies and Terrorist Financing in the Trans-Sahara”, in The Global Initiative against Transnational Organized Crime, Policy Brief, 11 maggio 2015. https://globalinitiative.net/wp-content/uploads/2015/05/TGIATOC-Libya_-a-growing-hub-for-Criminal-Economies-and-Terrorist-Financing-in-the-Trans-Sahara-web.pdf. [29] Shadi Hamid, “Sisi’s regime is a gift to the Islamic State”, in Brookings, 7 agosto 2015. https://www.brookings.edu/blog/markaz/2015/08/07/sisis-regime-is-a-gift-to-the-islamic-state/; Valentina Ricco, “Terrorismo in Egitto: un’arma di distrazione di massa”, in Il Caffè Geopolitico, 22 gennaio 2020. https://ilcaffegeopolitico.net/115099. [30] Nisan Ahmado, “Fear of Instability Behind Egypt's Readiness to Send Troops to Libya, Experts Say”, in VOA News, 02 agosto 2020. https://www.voanews.com/a/extremism-watch_fear-instability-behind-egypts-readiness-send-troops-libya-experts-say/6193825.html. [31] Ibidem. [32] Omer Karasapan, “The impact of Libyan middle-class refugees in Tunisia”, in Brookings, 17 marzo 2015. https://www.brookings.edu/blog/future-development/2015/03/17/the-impact-of-libyan-middle-class-refugees-in-tunisia/. [33] Richard Florida, “The Geography of Foreign ISIS Fighters”, in Bloomberg, 10 agosto 2016. https://www.bloomberg.com/news/articles/2016-08-10/the-geography-of-foreign-isis-fighters. [34] Brian Dodwell, Daniel Milton, Don Rassler, The Caliphate’s Global Workforce: An Inside Look at the Islamic State’s Foreign Fighter Paper Trail, Combating Terrorism Center at West Point, 18 April 2016. https://ctc.usma.edu/wp-content/uploads/2016/11/Caliphates-Global-Workforce1.pdf; Emna Ben Mustapha Ben Arab, “Returning Foreign Fighters: understanding the new threat landscape in Tunisia”, in Thomas Renard (a cura di), Returnees in the Maghreb: comparing policies on returning Foreign Terrorist Fighters in Egypt, Morocco and Tunisia, EGMONT paper 107, aprile 2019 (36-59), p.37. http://www.egmontinstitute.be/content/uploads/2019/04/EP107-returnees-in-the-Maghreb.pdf. [35] Shadi Hamid, "Sisi’s Regime Is a Gift to the Islamic State", in Foreign Policy, August 6, 2015. https://foreignpolicy.com/2015/08/06/sisi-is-the-best-gift-the-islamic-state-ever-got/. [36] Claudia Annovi, “La fine dell’eccezione tunisina?”, in Centro Studi Internazionali (Ce.S.I.), 29 luglio 2021. http://www.cesi-italia.org/articoli/1418/la-fine-delleccezione-tunisina. [37] Konrad-Adenauer-Stiftung (KAS), Inside Libya, Regional Program Political Dialogue South Mediterranean, Agosto 2021, n. 13. https://www.kas.de/documents/282499/282548/Inside+Libya+-+August+Edition.pdf/e62b6a80-079b-c038-e50b-418d5aa39267?version=1.0&t=1627981924727.


Bibliografia

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Sitografia

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