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Dalla ricchezza della terra, la povertà dell'uomo. Le vene ancora aperte

Aggiornamento: 11 ott 2022

Fig. 1: C. CASTELLUCCI, Las venas abiertas de América Latina (Las Venas Abiertas de América Latina. Aquí se respira lucha! (caiocastellucci.blogspot.com)).

1. La colonia, madre di tutte le ingerenze


Così inizia "Le vene aperte dell'America Latina", una delle opere più celebri del giornalista e scrittore uruguaiano Eduardo Galeano, citando la proclamazione insurrezionale della Giunta Tuitiva nella città di La Paz (16 luglio 1809). Libro inizialmente vietato in Cile e in Uruguay e definito in Argentina, da televisioni e giornali, come "strumento di corruzione giovanile", il suo scopo primario è dare uno spaccato della storia latinoamericana dalla conquista alla contemporaneità, argomentando con fatti di cronaca e riflessioni il costante saccheggio delle risorse naturali da parte degli imperi coloniali e degli Stati imperialisti.


Tutto nasce da una domanda: perché una regione così ricca di materie prime è così povera in termini di denaro o capitale?

"Abbiamo mantenuto un silenzio abbastanza simile alla stupidità...".
A gamba tesa, Galeano inizia a parlare delle ingerenze straniere in America Latina e di come esse, spesso e volentieri, abbiano come unico obiettivo il massimo sfruttamento delle risorse presenti al minor costo possibile, noncuranti delle persone e dei luogi di cui abusano. Così racconta nelle pagine del libro:
"Nei poli di sviluppo privilegiati – San Paolo, Buenos Aires, Città del Messico – si installano nuove fabbriche: ciò che sovrabbonda è la gente. E la gente si riproduce. Si fa l'amore con entusiasmo e senza precauzioni. Sempre più gente rimane ai margini delle strade (...). Il sistema vomita uomini. Le missioni nordamericane sterilizzano in massa le donne, seminano pillole, diaframmi, spirali, preservativi e calendari opportunamente contrassegnati, ma raccolgono bambini; ostinatamente, i bambini latinoamericani continuano a nascere, rivendicando il loro diritto naturale a un posto al sole in queste terre splendide che potrebbero offrire a tutti ciò che negano quasi a tutti."
Fig. 2: Vignetta sulla Conquista dell'America (IL COLONIALISMO (epertutti.com)).

Tutto nasce, come spesso capita, ai tempi della Conquista, dell'incontro-scontro tra l'Occidente e le Americhe. Prima di concentrarci nello specifico sul Sud, però, vale la pena di riportare una precisazione; Galeano stesso si chiede infatti come mai il Nord (America) sia ricco e il Sud sia povero, e così lo spiega sempre nel testo sopracitato: "i pellegrini del Mayflower non erano soldati di ventura, ma pionieri; non venivano a conquistare, ma a colonizzare, e fondarono "colonie di popolamento". (...) Al contrario, la Spagna e il Portogallo in America Latina contavano su una gran quantità di manodopera servile. Alla schiavizzazione degli indigeni seguì il trapianto di massa degli schiavi africani." Oltre a ciò, aggiunge, "le tredici colonie del Nord ebbero, lo si può dire, la fortuna della disgrazia. La loro esperienza storica dimostra l'enorme importanza di non nascere importanti. Perché nel Nordamerica non c'erano né oro, né argento, né civiltà indigene con densa concentrazione di popolazione già organizzata per il lavoro, né terreni tropicali straordinariamente fertili."


Nel Sud, invece, la condanna sono stati proprio quei materiali preziosi e quelle terre fertili: dalla ricchezza della terra, la povertà dell'uomo.


2. E portarono in dono oro, caffè e ingerenze


Nel Codice fiorentino, contenente un testo náhuatl, gli spagnoli vengono paragonati a scimmie che sollevano l'oro e a porci che lo bramano, mentre il loro corpo si gonfia di questa fame furiosa. Un'esempio lampante di questa fame e dei rimasugli da essa lasciati è il caso del cerro di Potosí, in Bolivia.


Fondata nel 1545 come città mineraria, dette presto grandi risultati. Infatti, se dalla conquista di Cuzco da parte di Pizarro il massimo elogio per persone e cose corrispondeva alla frase "Vale un Perù", dopo la scoperta del cerro boliviano, lo stesso don Chisciotte della Mancia dice a Sancho: "vale un Potosí". Proprio tra il 1503 e il 1660 arrivarono nel porto di Siviglia 185.000 chili d'oro e 16 milioni di chili d'argento.

Fig. 3: BLAS, Mita. (Una mirada al pasado histórico de Potosí y el Sumaj Orck'o (correodelsur.com)).

Va ricordato inoltre che gli indios, sfruttati in questo lavoro, morirono in massa per via delle condizioni estreme, dell'avvelenamento da mercurio e dell'inalazione di vapori tossici ("gli indigeni sono il combustibile del sistema produttivo coloniale"); va anche detto che, qualche secolo dopo, vennero scoperti grandi giacimenti minerari in Messico che lasciarono Potosí nell'ombra e in rovina. L'argento scarseggiava, le montagne continuavano e continuano a essere perforate e i minatori hanno un'aspettativa di vita di solo 40 anni: come in tanti altri casi di toccata e fuga, di multinazionali che usano e gettano, oggi Potosí non è che una città della povera Bolivia. Dice Galeano, riportando le parole di una vecchia signora potosina, che "è la città che più ha dato al mondo e che meno possiede."


Altro caso eclatante riguarda il cosiddetto re zucchero. Come capita attualmente nel caso della soja, lo zucchero invase a un certo punto le terre del Nuovo Mondo dissipandone la fertilità naturale e aumentando, a seconda della grande richiesta, lo sfruttamento della manodopera. Secondo Galeano non è stato un caso che Fidel Castro abbia reclutato tre quarti dei propri guerriglieri tra i contadini, uomini dello zucchero, e che la provincia di Oriente sia stata, insieme, la maggior fonte di zucchero e ribellione di tutta la storia di Cuba.


3. A sud di un ingombrante nord


Discorsi simili possono essere fatti riguardo ad altri prodotti quali il cotone, il cacao e il caffè. In quest'ultimo caso, va detto che sei imprese nordamericane controllano oltre un terzo del caffè che esce dal Brasile, mentre altre sei imprese, sempre nordamericane, dispongono di oltre un terzo del caffè che entra negli Stati Uniti. Lo stesso sistema di oligarchia e dipendenza economica vale anche per la Colombia, sempre più vessata dai centri di potere stranieri presenti nel proprio territorio; e se da un lato pochi ricchi – anche colombiani, in questo caso – si arricchiscono con la svendita delle terre, delle materie prime e della manodopera, c'è chi, più in basso e con le mani più sporche, paga il prezzo di questi accordi unilaterali: come scriveva Galeano, "il principale prodotto di esportazione dell'America Latina, venda ciò che venda, materie prime o artigianato, sono le sue braccia a buon mercato."


Diventa a questo punto evidente che le imprese multinazionali in questione – o le multinazionali di per sé – non riconoscono una nazione di appartenenza, bensì sono multinazionali solo nella misura in cui rastrellano ai quattro angoli del mondo un'enorme quantità di materie prime e di dollari a beneficio dei centri di potere del sistema capitalista: "sono le imprese che – matita alla mano sulla carta geografica del mondo – decidono quali debbano essere le zone di sfruttamento."


Per questo, sono sorte negli anni e nei secoli delle iniziative volte a tutelare sia i luoghi sia le persone di questa parte del mondo: per esempio, la riforma agraria del Plan Ayala – ideato da Emiliano Zapata – aveva come obiettivo quello di "distruggere alla radice e per sempre l'ingiusto monopolio della terra per realizzare uno stato sociale che garantisca a pieno il diritto naturale d'ogni uomo sull'estensione di terra necessaria alla sua sussistenza e a quella della sua famiglia."

Fig. 4: Caricatura a tema „Globalizzazione“ (La globalización en México | juego-de-politica (observatoriomaxei.wixsite.com)).

Al momento presente, e già da un po' di tempo ormai, appare tuttavia evidente che i capitali nordamericani si concentrano in America Latina addirittura più che negli stessi Stati Uniti, e che un pugno di imprese controlla la stragrande maggioranza degli investimenti: stando così le cose, dunque, è chiaro che la sovranità territoriale per loro non sia altro che un ostacolo da superare. Citando nuovamente Galeano, "quando lo Stato diventa padrone della ricchezza principale di un Paese, bisogna chiedersi chi è il padrone dello Stato" e, per dare breve seguito a questo spunto di riflessione, vi è qui una sintesi di come alcune grandi potenze si fondino su equilibri da esse stesse stabilite:

"La Banca Mondiale e il FMI agiscono in stretta collaborazione e al servizio di obiettivi comuni; sono nati insieme, a Bretton Woods. Nella Banca Mondiale, gli Stati Uniti hanno un quarto dei voti; i ventidue Paesi dell'America Latina non ne hanno neppure un decimo. E la Banca Mondiale segue gli Stati Uniti come il tuono segue il lampo."

Al momento, aggiunge, per il mondo l'America sono solamente gli Stati Uniti, mentre noi ci troviamo dall'altra parte, nel dimenticatoio. E così diventa, l'America Latina, la regione delle vene aperte. La stessa America Latina, inoltre, riceve salari bassi e, nel grande mercato internazionale., offre le proprie materie prime a quotazioni bassissime che vanno a solo vantaggio dei consumatori dei Paesi ricchi. Un esempio concreto, preso proprio da questo libro:

"Capita con il petrolio ciò che capita con il caffè o con la carne: vale a dire che i Paesi ricchi guadagnano molto di più prendendosi il fastidio di consumarlo, di quanto i poveri non guadagnino nel produrlo. La differenza è di dieci a uno: degli undici dollari che costano i derivati di un barile di petrolio, i Paesi che esportano la materia prima più importante del mondo ne incamerano soltanto uno (che è la somma delle tasse e dei costi d'estrazione), mentre i Paesi dell'area sviluppata incassano dieci dollari."

4. Exempla


Verranno riportati di seguito alcuni casi di risorse presenti in territori latinoamericani e come tali risorse furono o vengono sfruttate o mal utilizzate.


4.1. Metalli e miniere – Perú e Brasile


Tía María viene presentato come un progetto minerario che processa ossido di rame nei giacimenti di La Tapada e Tía María, entrambi ubicati nel deserto La Joya; "grazie alle risorse generate in Tía María, le autorità locali potranno sviluppare opere di infrastruttura", si legge nel sito.


A due chilometri e mezzo da queste miniere si trova la valle del Tambo (regione di Arequipa), e proprio in questa valle e dai suoi abitanti è nato un documentario riguardante questa miniera, intitolato "Tía María no va", Tía María non funziona.


Nel documentario stesso si ascoltano frasi di abitanti della zona, tra esse "la miniera non mi lascia vivere in pace, dato che qui nella mia terra c'è oro." Oppure "Per l'oro, si sparge sangue. L'oro non si beve, l'oro non si mangia." E riguardo alle acque prosciugate, "Mamma Yaku (acqua in quechua), non capiscono che sei un essere vivente?". Come scriveva Galeano ne "Le vene aperte", "conseguenze peggiori del sangue e del fuoco della guerra le ha generate l'economia mineraria. Le miniere esigevano grandi spostamenti di popolazioni e sconnettevano le unità agricole comunitarie; non solo estinguevano innumerevoli vite attraverso il lavoro forzato, bensì, indirettamente, abbattevano il sistema collettivo di coltivazioni." È esattamente questa la quotidianità di un luogo che finisce nel mirino di un'impresa mineraria: popolazioni sfollate, agricolture sacrificate, territorio trivellato e sfruttamento delle risorse – umane e non.


Fig. 5: Foto di Erick Rodriguez nelle proteste contro il progetto "Tía María" (Post: Tía María: la represión policial continúa en el Valle de Tambo (lamula.pe)).

Alcuni dati forniti nel corso di un podcast di Osservatorio Diritti Umani:

  • Il governo colombiano ha venduto il 90% dei municipi dell'Antioquia alle multinazionali;

  • In Honduras sono presenti 430 progetti minerari;

  • L'impossibilità, a causa del conflitto Russia-Ucraina, di accedere alle materie prime può causare una corsa verso le zone che ne hanno in abbondanza. Bolsonaro ha già affermato che la guerra è un'opportunità per le attività minerarie, e si sta adoperando per lo sfruttamento dei territori indigeni;

  • Uno dei principali esponenti della rete "Iglesias y Minería" è Monseñor Vicente Ferreira, vescovo ausiliare dell'arcidiocesi di Belo Horizonte e segretario della CEEM, che afferma di non opporsi all'estrazione mineraria in sé e per sé, bensì a questo modello che fa guadagnare pochi – non sicuramente il popolo;

  • Il comboniano Padre Dario Bossi, con riguardo a ricchezza, materie prime e opportunità, parla di maledizione delle risorse data quest'economia di estrattivismo tipica del modello coloniale e neocoloniale.

4.2. Acqua e petrolio – Bolivia e Perù


Emblematico, oltre ai casi reali e concreti, è il film "También la lluvia" (2010). Nel film, infatti, si intrecciano realtà e regia, e vi è una storia nella storia. Protagonisti sono il regista Sebastián e il produttore esecutivo Costa che, a Cochabamba (Bolivia), vogliono girare un film revisionista sulla conquista del Nuovo Mondo. Nel film, il produttore afferma di aver scelto la Bolivia, nonostante poco si addica allo sbarco di Colombo (dipinto come uomo ossessionato dall'oro e cacciatore di schiavi), perché in questo modo può coinvolgere molti attori pagandoli soltanto 2 dollari al giorno – riflettendo anche qui la realtà.

Fig. 6: Foto di un rifornimento d'acqua a Paita, Perù (Cuarentena: abastecen de agua potable a sectores de Paita Alta (walac.pe)).

Il film racconta il maltrattamento dei popoli indigeni nel XV secolo e si concentra su Bartolomé de Las Casas, frate domenicano che dedicò gran parte della sua vita a difendere i nativi dai colonialisti. Durante il periodo di riprese, a Cochabamba cresce il malcontento dei contadini contro le multinazionali che vogliono comprare la loro acqua, i loro pozzi, "anche la pioggia". In questo caso, viene ripresa la cosiddetta "Guerra dell'acqua" (fatto reale del 2000), iniziata dal popolo boliviano contro la multinazionale nordamericana Bechtel quando tentò di aumentare in maniera spropositata il prezzo dell'acqua: la dimensione della protesta fu tale che Bechtel abbandonò il mercato boliviano, il contratto dell'acqua venne cancellato e arrivò una nuova compagnia gestita pubblicamente. Nel 2005, la metà dei 60.000 abitanti di Cochabamba continuava a essere senz'acqua e altri ricevevano un servizio intermittente – circa tre ore al giorno. "Senza l'acqua non c'è vita, tu non capisci", dice il portavoce delle proteste nel film.

Proprio a proposito di acqua intermittente, caso altrettanto valido è quello di Paita, città portuale nel nord del Perù. Scrive Galeano:

"I Paesi latinoamericani continuano a identificarsi ciascuno con il proprio porto, negazione delle proprie radici e della propria identità reale, al punto che la quasi totalità dei prodotti di commercio intrarregionale viene trasportata per mare: i trasporti interni praticamente non esistono."

Tali righe potrebbero applicarsi alla città sopracitata e al suo porto, quasi del tutto spartito tra cinesi e portoghesi. Nonostante la sua ricchezza – Euroandinos, principale azienda portuale, dona il proprio 2%, ovvero milioni, al Fondo Sociale –, a Paita scarseggiano beni essenziali come l'acqua. Come racconta don Domingo García, da trentatrè anni missionario in Perù, Paita è un immenso deserto, quasi non c'è acqua negli asentamientos humanos, se non per circa due ore al giorno; quando ricorda il suo primo arrivo, parla di riunioni con comunità contadine in cui alla fine ci si chiedeva quale era la necessità più urgente: la risposta era "l'acqua". Tutt'oggi, continua a essere un problema presente in questa zona di per sé arida: infatti, anche nei paesini dell'entroterra vicini a Paita, a volte manca l'acqua perché viene indirizzata alle zone costiere in cui ci sono imprese petrolifere statunitensi – principalmente l'Olympic – che se ne impadroniscono per far fruttare al meglio, anche a discapito di altri, i propri interessi. Che assurdo, come cantava Marc Anthony in "Hipocresía", "morire di sete avendo così tanta acqua."


4.3. Terra e popolo mapuche – Argentina


Un terzo e ultimo esempio di abuso del territorio e delle risorse – oltre che di maltrattamento e sparizione di persone – riguarda la Patagonia invasa da Benetton.


Benetton possiede più di 900.000 ettari nell'intera Argentina, un terzo dei quali è ubicato specificamente nella provincia del Chubut; lì Benetton opera sotto il nome di "Compañía de Tierras Sud Argentina SA (CTSA)" con centro a Leleque, nel nord-est della provincia: lì si sono succeduti i fatti che, nel 2017, hanno portato alla sparizione di Santiago Maldonado.


In questa regione, Benetton è presente dall'inizio degli anni '90 e, anche se nel 2006 ha riconosciuto in parte i diritti costituzionali del popolo mapuche – vero proprietario del territorio in questione –, i rapporti tra nativi e stranieri sono sempre stati connotati da scontri. Nel 2015, infatti, una comunità mapuche si è installata proprio a Leleque («Pu Lof en Resistencia»), e negli anni successivi ha subìto incursioni e repressioni violente da parte delle forze armate, portando ferite e morti tra le persone lì presenti. Nell'agosto del 2017, il fatto più clamoroso: durante un pesante attacco della gendarmeria, un giovane mochilero fugge verso il fiume Chubut e mesi dopo, in ottobre, viene ritrovato morto. Da agosto in poi, le ricerche su Santiago Maldonado si sono susseguite nel caos più totale, tra informazioni mancanti o continuamente modificate, tra giudici corrotti e mancata giustizia: ad oggi, infatti, non si ha ancora la verità, nonostante la famiglia del giovane non cessi di ricostruire eventi e testimoniare fatti in maniera più che dettagliata tramite la pagina web "Justicia por Santiago Maldonado". Al riguardo, è stato realizzato anche un documentario intitolato "El camino de Santiago".

Fig. 7: Foto di giovane con la bandiera mapuche (Grupo mapuche ocupa violentamente otra estancia de la familia Benetton en Argentina – Noticias a la Hora).

Lungi dall'accusare di questa morte persone che non siano già state imputate a suo tempo, questo evento porta a una riflessione: all'origine di questa repressione c'è un conflitto, il conflitto avviene tra mapuches e Benetton – affiancato dallo Stato o quantomeno dalle sue forze armate –, il motivo del conflitto è la terra, che per gli uni è madre e patria e per gli altri è luogo in cui concretizzare i propri profitti a basso costo.


5. Conclusioni


Quali le soluzioni, o quantomeno le conclusioni? Dopo questi esempi di territori abusati e di persone compromesse, viene da pensare in primis a stabilire dei limiti all'ingerenza estera e, in secundis, a promuovere una sovranità economica.


In un modo globalizzato come il nostro, è quasi utopico pensare che non vi siano spostamenti o confluenze in posti di per sé lontani, tuttavia è doveroso capire fino a che punto una persona o un'impresa possano esercitare un diritto su qualcosa che non è loro. I nativi direbbero che la terra non ci appartiene, bensì noi apparteniamo ad essa e ad essa torneremo, tuttavia nel progredito Nord globale prevale un antropocentrismo in cui l'uomo e i suoi interessi vengono prima di ogni altra cosa: a pagare il prezzo di questa divergenza di visioni sono i popoli e la terra a sud dell'Equatore.


Andrebbe infine garantito – non solo a parole, bensì con i fatti – che ogni Paese possa usufruire delle proprie risorse evitando dunque di dipendere da Paesi terzi che finiscono per sfruttarlo e impoverirlo. Poiché, citando Galeano un'ultima volta, "il sottosviluppo latinoamericano è una conseguenza dello sviluppo altrui, noi latinoamericani siamo poveri perché è ricca la terra che calpestiamo e i luoghi privilegiati dalla natura sono stati maledetti dalla storia."

Fig. 8: Dettaglio di un'opera del pittore messicano Diego Rivera (De América para el mundo: alimentos de origen americano (aboutespanol.com)).

(scarica l'analisi)

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