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Crimini contro l'umanità in Burundi: l'Africa subsahariana è ancora più calda

Aggiornamento: 2 feb 2022


Il 29 settembre di quest’anno la Commissione d’inchiesta per il Burundi, istituita nell’ambito delle Nazioni Unite, ha chiesto con insistenza al governo burundese di cessare le violenze in corso nel Paese ormai dall’aprile 2015, quando il presidente Nkurunziza (etnia Hutu) ha deciso di candidarsi per il terzo mandato consecutivo contravvenendo alle legislazioni interne. Da allora sia la minoranza Tutsi sia gli Hutu moderati (che non vedono di buon occhio la repressione compiuta dal governo nei confronti dei primi) sono stati vittime di diversi crimini (come evidenziato dal rapporto che la Commissione stessa ha rilasciato lo scorso 11 agosto e disponibile a questo link). Oltre 400.000 persone si sono rifugiate all’estero (ad esempio, nel vicino Ruanda dove la medesima composizione etnica ha generato il genocidio del 1994) e altre 200.000 hanno dovuto trasferirsi altrove all’interno dello stesso Burundi.

Il 4 settembre la Commissione ha chiesto alla Corte penale internazionale di avviare investigazioni sulla situazione in Burundi, dove in base al rapporto sono stati commessi crimini qualificabili come crimini contro l’umanità (soprattutto esecuzioni stragiudiziali, arresti arbitrari e detenzione, tortura, violenza sessuale, trattamenti crudeli, inumani o degradanti e sparizioni forzate). I principali responsabili sarebbero membri dei servizi di intelligence nazionali (inclusi alti ufficiali) e della forza di polizia, ufficiali militari e membri della componente giovanile del partito al governo (Imbonerakure).


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