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Il crescente ricorso ai corridoi umanitari nelle politiche migratorie

Aggiornamento: 18 mar 2023

Fig.1: Immagine di copertina della Conferenza “Corridoi umanitari: una pratica replicabile” (Fonte: www.mediterraneanhope.com)

1. Introduzione


Se è indubbia la visibilità delle politiche migratorie nei discorsi politici, sicuramente accentuata dall’alto grado di mediatizzazione dei suoi contenuti, è altresì constatabile l’assenza di un vero dialogo in questo ambito di studi: in altre parole, vi è un eccessivo specialismo e tecnicismo nel trattare le migrazioni e ciò a scapito di un dialogo sistemico e incentrato su un processo complesso di policy di un settore che, invece, vorrebbe superare tali limiti. Inoltre, se finora i tentativi meno specialistici volti a discutere i temi migratori hanno sempre distinto tra politiche di controllo (la client politics di Freeman e l’embedded liberalism di Hollifield) e politiche di integrazione (il neoistituzionalismo storico di Brubaker), si intende coniugare tali riflessioni con l’esigenza di proporre ipotesi alternative. Solo così – adottando un approccio maggiormente integrato e alternativo – si potrà familiarizzare con il perdurevole policy gap, ossia il divario tra intenzionalità e concrete (in)capacità di messa in opera: un elemento di complessità che richiede maggiore progettazione, come altresì di collegare in un equilibrio dimensione interna ed esterna, pubblica e privata, controllo e integrazione. Qui si colloca l’argomento dei canali d’accesso legale per i soggetti bisognosi di protezione internazionale, e in particolare i corridoi umanitari. Perché essi rappresentano la concretizzazione di questa esigenza – data dalla nostra contemporaneità neoliberale – di un equilibrio pubblico-privato e bidimensionale? E per quale motivo cresce il ricorso a questo tipo di progettazione? Nei prossimi paragrafi si tenterà di elaborare una breve evoluzione di questo tema per poi descrivere di cosa si tratta, illustrando peraltro alcuni casi pilota.


2. Un breve, necessario, stato dell’arte: un contesto con nuovi bisogni


Lo si incontra quasi sempre, e ha mosso moltissime riflessioni sulle politiche migratorie incentrate sul controllo: si tratta del policy gap, ovvero della contraddizione tra intenzioni politiche e risultati troppo deludenti in quest’ambito. Perché i migranti riescono ad arrivare nonostante i divieti di politiche sempre più restrittive e securitarie? Per chi come Freeman ha studiato le dinamiche clientelari, il policy gap è dovuto alle pressioni di gruppi di interesse (imprenditori del settore agricolo, associazioni di immigrati ecc.); per i neoistituzionalisti come Hollifield invece esso è il risultato dei vincoli internazionali, per cui è improbabile un’eccessiva azione repressiva da parte degli Stati.


Invece, ciò che emerge indistintamente quando si parla di politiche di integrazione sono due tendenze: la crescente politicizzazione (per cui l’approccio neoistituzionalista storico di Brubaker ha perso terreno) e il tentativo di superare la visione statocentrica: si parla sempre più di governance multilivello, cioè di equilibri pubblico-privati e di diversi livelli di governo. Così, per inquadrare il tema dei corridoi umanitari – nell’ambito dell’evoluzione della progettazione nelle politiche migratorie – è necessario enfatizzare come questo istituto si collochi nell’emergenza di nuovi bisogni: quello di integrare le dimensioni del controllo dell’integrazione, quello di rispondere all’esigenza di una governance multilivello, di depoliticizzare il tema dell’integrazione, di trovare un’altra ipotesi (come quella dello shock esterno, per cui eventi imprevedibili ed eccezionali innescano i flussi migratori) al perché del policy gap. Da cui la necessità di fare ricorso a nuovi strumenti di policy per rispondervi.

3. Cosa sono i corridoi umanitari?


I corridoi umanitari sono anzitutto un tipo di «private sponsorship», una tipo di reinsediamento[1] che, a sua volta, si colloca nel più ampio panorama dei canali della migrazione legale. La «private sponsorship» contempla per definizione l’esternalizzazione di azioni in favore di soggetti privati, che di per sé il pionieristico istituto dei corridoi umanitari persegue addentrandosi nella bidimensionalità (dimensione interna ed esterna) dell’equilibrio pubblico-privato: tale istituto cerca di innescare un circuito «virtuoso» di pressioni sia prima della partenza dal Paese d’origine, che all’arrivo nel Paese di destinazione.


La base normativa europea dei corridoi umanitari – seppur troppo specifica poiché rileva solo per il profilo dei visti in ingresso – risiede nell’art. 25 del Regolamento CE n.810/2009 (anche detto «Codice dei Visti»). Tale regolamento prevede che uno Stato membro possa eccezionalmente rilasciare un visto di ingresso a un cittadino di un Paese terzo se lo ritiene necessario per motivi umanitari, di interesse nazionale o derivanti da obblighi internazionali. Vi sono poi diversi protocolli d’intesa firmati tra Pubblica Amministrazione e Terzo settore, che hanno istituito i vari canali d’accesso legale.


I corridoi umanitari rappresentano un esempio di sinergia virtuosa tra la società civile e le istituzioni. Quali sono gli obiettivi di questo modello di coprogettazione? I più importanti sono concedere a persone in «condizioni di particolare vulnerabilità»[2] un ingresso legale sul territorio, prevenire il traffico di esseri umani; gestire gli ingressi in modo sicuro sul territorio italiano, sviluppare il concetto di accoglienza diffusa.

I corridoi umanitari costituiscono poi quell’approccio integrato tra integrazione e controllo, tra pubblico e privato e tra i vari livelli di governo: essi mirano a favorire il diritto d’asilo e una gestione regolata dei flussi migratori, promuovendo al tempo stesso fiducia istituzionale, consapevolezza e accettazione delle tematiche migratorie tra la popolazione. È insito nella coprogettazione, inoltre, che per mezzo del coinvolgimento della società civile e del tentativo di trasformare i beneficiari in protagonisti, si possa parlare peraltro di una cittadinanza partecipata, tentando così di superare il problema dell’eccessiva politicizzazione dell’integrazione: i cittadini hanno l’opportunità di diventare figure attive di processi decisionali, e l’istituto di divenire un laboratorio privilegiato del passaggio da una democrazia matura ad una moderna (alti gradi di rappresentatività e di partecipazione).

Corridoi umanitari
Fig.3: Carta sui corridoi umanitari, 2021 (Fonte: Caritas Italia)

4. Prospettive e caso studio


Sebbene l’istituto sia di recente creazione, l’Italia costituisce un esempio virtuoso: il primo progetto-pilota di corridoi umanitari è in effetti stato anche il primo realizzato in Europa, e ha permesso in due anni a 1.000 profughi siriani fuggiti in Libano di raggiungere l’Italia in maniera legale e sicura. Quali sono gli attori coinvolti nei casi italiani? Quali risultati sono stati raggiunti in termini di integrazione e controllo? Anzitutto, i casi pilota sono quelli realizzati nei bienni 2016-2017 e 2017-2019 sulla base dei primi Protocolli d’intesa tra la Pubblica Amministrazione (Ministero dell’Interno e degli Esteri) ed enti del Terzo settore. Di seguito, a partire dalla banca dati «Human Corridors», si elencano i principali progetti:

  • Il corridoio umanitario Libano – Italia (il primo tra tutti i progetti-pilota). Venne attivato a seguito del Protocollo d’intesa del 15 dicembre 2015 denominato «Apertura di Corridoi Umanitari». I suoi promotori furono il Ministero degli Affari Esteri e il Ministero dell’Interno italiani, la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, la Tavola Valdese. Venne istituito a favore dei profughi siriani sfuggiti alla guerra civile scoppiata nel 2011 in Siria e permise l’arrivo in sicurezza di 1.011 profughi siriani dal Libano.

  • Il corridoio umanitario Etiopia – Italia. Venne attivato a seguito del Protocollo d’intesa del 12 gennaio 2017. I suoi promotori furono la Conferenza Episcopale Italiana, Caritas italiana, Fondazione Migrantes, Comunità di Sant’Egidio. I beneficiari della sua istituzione furono i profughi eritrei, somali e sud-sudanesi stanziati in Etiopia, e permise l’arrivo in sicurezza di 500 profughi.

  • Il corridoio umanitario Libano – Francia. Venne attivato a seguito del Protocollo «per l’apertura dei Corridoi Umanitari in Francia». I suoi promotori furono la Comunità di Sant’Egidio, la Conferenza Episcopale Francese, la Caritas Francia, la Federazione Protestante di Francia e la Federazione di Mutua Assistenza Protestante. Ha permesso l’arrivo in sicurezza di 500 profughi.

  • Il corridoio umanitario Etiopia, Niger, Giordania – Italia. Venne attivato a seguito del «Protocollo per l’arrivo in Italia di richiedenti asilo». I suoi promotori furono la Conferenza Episcopale Italiana, Caritas, Fondazione Migrantes, la Comunità di Sant’Egidio; assieme alle Autorità italiane. Ha permesso l’arrivo in sicurezza di 600 profughi.

A questi dati si deve poi aggiungere una fitta rete di accoglienza – detta diffusa – incentrata anche su attività di integrazione e collegata ai progetti summenzionati. Ad esempio, i 1.011 profughi dal Libano sono stati accolti in 80 diverse città italiane, di 18 regioni italiane, grazie alla collaborazione con una rete di associazioni e cittadini privati che hanno permesso l’integrazione dei rifugiati nelle diverse realtà locali. A questi casi pilota, non si aggiungono per motivi di sintesi quelli tuttora in via di sviluppo, ed attivabili a seguito dell’ultima intesa siglata a novembre 2021: i corridoi umanitari Afghanistan-Italia e quello Ucraina-Italia.

Emerge così in modo chiaro come il ruolo di promotore sia di fatto sempre proveniente da attori del Terzo Settore, “invitati” dalla Pubblica Amministrazione – che ne sancisce peraltro la decisione – tramite un Protocollo d’Intesa.


5. Conclusioni


Le politiche migratorie testimoniano in Italia – e non solo – un accresciuto mutamento quanto ai bisogni che, in quanto serie di azioni politiche e programmate, intendono risolvere. La necessità di superare quella scomoda linea di demarcazione tra politiche di controllo e di integrazione, assieme al tentativo di rendere meno gravoso il divario tra intenzioni politiche e messa in opera, passando da un equilibrio al tempo stesso interno/esterno (o bidimensionale), pubblico/privato, e comunque meno statocentrico, fa emergere l’importanza di una progettazione di policy più innovativa. Questa innovazione è espressa da un tipo di strumento flessibile che – come i corridoi umanitari – inizia ad agire sin dalla stabilizzazione dell’area di crisi, per poi agire anche sulla riduzione degli accessi irregolari e intervenire sull’accoglienza (che sempre più traina l’attenzione di chi riflette sul tema delle politiche migratorie). Parlare del crescente ricorso ai corridoi umanitari, dunque, al di là della loro effettiva implementazione, significa trattare dell’evoluzione e del mutamento di una policy particolarmente difficile da sistematizzare.


Pare infine evidente come il maggior limite di questo tipo di istituto sia il fatto di non trasformare i migranti da beneficiari di un servizio in attori protagonisti di una dinamica partecipata: un tema molto complesso che riguarda il rapporto tra il ruolo attivo del migrante (non-cittadino) e quello non passivo della cittadinanza accogliente; ma questa, è un’ulteriore riflessione.


(scarica l'analisi)

Articolo Alessandro Vitiello Corridoi umanitari nelle politiche migratorie_final
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Note

[1] Uno strumento attraverso il quale un rifugiato, fuggito dal suo Paese d’origine e temporaneamente rifugiatosi in un altro Paese, è ulteriormente trasferito – “re”insediato – in un Paese terzo [2] Esempio: vittime di persecuzioni, torture e violenze, famiglie con bambini, donne sole, malati, persone con disabilità


Bibliografia


  • Bond J., Kwadrans A., Resettling Refugees through Community Sponsorship: A Revolutionary Operational Approach Built on Traditional Legal Infrastructure, in Refuge: Canada’s Journal on Refugees, 35(2), 87–109, 2019

  • Brubaker W.R., Immigration, Citizenship and the Nation-State in France and Germany: a Comparative Historical Analysis, in International Sociology, Vol. 5, n.4, pp. 379-407, 1990

  • Caponio T., Scholten P., Zapata-Barrero R., The Routledge Handbook of the Governance of Migration and Diversity in Cities, Abington, Routledge, 2019

  • Freeman G.P., Modes of Immigration Politics in Liberal Democratic State, in International Migration Review, Vol. 29, n. 4, pp. 881-902, 1995

  • Hollifield J.F., Migration and the New International Order: The Missing Regime, in B. Ghosh, Managing Migration: Time for a New International Regime?, Oxford, Oxford University Press, pp. 75-109, 2000

  • Kumin J., Welcoming Engagement: How Private Sponsorship Can Strengthen Refugee Resettlement in the European Union, Migration Policy Institute, December 2015

  • Marozzo della Rocca P., I due Protocolli d’intesa sui “corridoi umanitari” tra alcuni enti di ispirazione religiosa ed il Governo ed il loro possibile impatto sulle politiche di asilo e immigrazione, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, Fascicolo n. 1/2017


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