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Conseguenze dell’"Accordo UE-Turchia sulla" gestione dei flussi migratori nel Mediterraneo orientale

Aggiornamento: 14 dic 2020

1. Introduzione

La migrazione siriana rappresenta uno dei più grandi movimenti di massa di persone nella storia. Si stima che dallo scoppio della guerra in Siria nel marzo 2011 oltre 10 milioni di siriani si siano trovati costretti a fuggire dal proprio Paese, mentre circa 15 milioni di persone si sono ritrovate in condizioni di precarietà con urgente bisogno di assistenza umanitaria all’interno del Paese.

Secondo le stime dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), dall’inizio del conflitto oltre 5 milioni e mezzo di siriani sono fuggiti in Turchia, Libano, Giordania, Egitto e Iraq, mentre circa 6,6 milioni sono sfollati interni in Siria. I rifugiati siriani rappresentano oggi la prima popolazione rifugiata al mondo. Più di un milione di essi hanno presentato richiesta di protezione internazionale in Europa, mentre la Turchia ne ha ospitato la quota maggiore, che ammonta oggi a oltre 3 milioni.

Dopo lo spostamento di massa dei profughi siriani dalla Turchia all'Europa iniziato dopo l’estate del 2015 lungo la rotta del Mediterraneo orientale, a partire dal novembre 2015 l’Unione europea (UE) ha deciso di abbandonare gradualmente la politica delle “porte aperte” voluta in particolar modo della Germania. Dapprima, gli Stati membri dell’UE hanno deciso di limitare le possibilità di ingresso in Europa solamente ai rifugiati provenienti da Siria, Iraq e Afghanistan. Poi, dal febbraio 2016, anche gli afghani sono stati esclusi dal novero delle nazionalità ammesse. Per contenere ulteriormente l’afflusso di rifugiati e migranti in arrivo lungo la cosiddetta rotta balcanica, anche alla luce delle precarie condizioni di accoglienza sulle isole greche, l’UE ha avviato una collaborazione con la Turchia per controllare e ridurre drasticamente il flusso di rifugiati in ingresso sul territorio europeo.

A tal proposito, il 18 marzo 2016, dopo un lungo periodo di negoziati mantenuti segreti, i capi di Stato e di governo dell’UE e il governo turco hanno concluso un accordo allo scopo di contenere gli arrivi irregolari attraverso la Turchia.

Prima di procedere alla descrizione degli obiettivi dell’accordo e delle sue conseguenze pratiche sulla gestione dei flussi migratori lungo la rotta del Mediterraneo orientale, occorre precisare che l’accordo UE-Turchia si configura in realtà come una dichiarazione di intesa tra la Turchia e i singoli Stati membri dell’UE. Inoltre, benché la dichiarazione sia stata conclusa in seno al Consiglio europeo, la dichiarazione, proprio per la sua natura giuridica, non impegnerebbe di fatto l’UE bensì i singoli Stati membri. Tale configurazione ha suscitato una serie di critiche a livello europeo e internazionale. Di fatto, la stessa Corte di Giustizia dell’Unione europea ha escluso che si possa parlare di un vero e proprio accordo, poiché ai fini della sua conclusione non è stata seguita la procedura formale prevista dagli Articoli 79 e 80 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE) in materia di accordi di riammissione per con i Paesi terzi per la gestione dei flussi migratori e il contrasto all’immigrazione irregolare.


2. L’“Accordo UE-Turchia” del 18 marzo 2016

L’accordo UE-Turchia per la gestione dei flussi migratori lungo la rotta balcanica ha come obiettivo principale quello di contrastare l’immigrazione irregolare contenendo gli arrivi di migranti in partenza dalla Turchia e diretti verso le coste greche. L’accordo, basato sul principio "uno dentro, uno fuori”, stabilisce i seguenti due obiettivi:

a) tutti i nuovi migranti irregolari che arrivano sulle isole greche saranno rimpatriati in Turchia se non fanno domanda d'asilo o se la loro domanda è respinta;

b) per ogni siriano rimpatriato in Turchia dalle isole greche, un altro siriano sarà reinsediato nell'UE.

L’accordo prevede dunque che per ogni migrante rimpatriato in Turchia dalle isole greche, un profugo siriano sarà reinsediato in uno degli Stati membri dell’UE tenendo conto di specifici criteri di vulnerabilità stabiliti dalle Nazioni Unite. In cambio, l’UE si impegna a garantire il raggiungimento dei seguenti obiettivi:

a) rilanciare l’adesione della Turchia all’UE attraverso un processo strutturato e un dialogo ad alto livello;

b) accelerare le procedure per l'abolizione dei visti di ingresso per i cittadini turchi nello spazio Schengen;

c) sostenere finanziariamente il governo turco, attraverso il pagamento di due tranches pari a tre miliardi di euro ciascuna, per meglio gestire la situazione dei rifugiati siriani in Turchia, nei confronti dei quali quest’ultima si impegna a garantire gli standard di protezione stabiliti a livello internazionale.

In breve, l’accordo stabilisce che la Turchia debba essere considerata dagli Stati membri dell’UE un Paese terzo sicuro, in grado di prendersi in carico la gestione dei rifugiati e migranti che transitano verso l’Europa passando attraverso il territorio turco e di fornire loro condizioni di accoglienza e protezione adeguate e in linea con gli standard internazionali di tutela dei diritti umani.


3. Gli impatti dell’“Accordo UE-Turchia” sulla gestione dei flussi migratori

Secondo quanto riportato dalla Commissione europea, l'impatto della dichiarazione UE-Turchia ha avuto risultati immediati e tangibili. A oltre tre anni dalla conclusione dell’intesa, gli arrivi sono diminuiti in modo significativo, con una riduzione del 97% rispetto al periodo precedente l'entrata in vigore della dichiarazione (le traversate giornaliere sono scese da 10.000 nell'ottobre 2015 a una media di 83 al giorno oggi), mentre la il numero di morti nel Mar Egeo risulta diminuito da 1.175 nei 20 mesi precedenti la dichiarazione a 310 oggi. Sempre secondo le valutazioni della Commissione europea, l’intesa con il governo turco ha permesso di regolarizzare gli ingressi, implementare un sistema di accesso all’Europa attraverso canali sicuri e legali per i rifugiati più vulnerabili e – non meno importante – smantellare il business model dei trafficanti che sfruttano le condizioni precarie dei migranti e dei rifugiati che tentano di fare ingresso in Europa lungo la rotta balcanica.

Per quanto riguarda il sostegno finanziario, l'UE continua a supportare i rifugiati in Turchia con i 6 miliardi di euro previsti per il periodo 2016-2019 attraverso la cosiddetta Facility for Refugees in Turkey. I 6 miliardi sono così suddivisi: 3 miliardi di euro provenienti dal bilancio dell'UE e 3 miliardi di euro derivanti da contributi degli Stati membri. L’erogazione della somma è prevista in due tranches separate. La Commissione europea chiarisce che i finanziamenti dello strumento sono destinati a progetti volti a soddisfare le esigenze dei rifugiati e delle comunità ospitanti, con un'attenzione particolare ai settori dell’assistenza umanitaria, dell’inserimento socio-economico, dell'istruzione e della sanità.

Nei documenti della Commissione europea relativi agli attuali sviluppi dell’accordo si legge inoltre che per proseguire nella direzione di un’efficace implementazione dell’accordo con la Turchia, gli Stati membri dell’UE continuano a fornire un sostegno costante alle autorità greche al fine di migliorare la gestione dell’immigrazione e le condizioni di accoglienza nel Paese, nel tentativo di alleviare la situazione di precarietà che si verifica sulle isole greche.


4. I limiti dell’“Accordo UE-Turchia” e il potere contrattuale offerto alla Turchia

Di fatto, l’implementazione dell’accordo UE-Turchia presenta una serie di limiti. In primo luogo, i finanziamenti offerti alla Turchia per contenere i flussi migratori da una parte e riprendersi i migranti che arrivano irregolarmente sulle isole greche dall’altra sono in realtà concentrati quasi interamente sul primo obiettivo, rendendo l’accordo il risultato di una mera strategia di esternalizzazione per il contenimento degli ingressi in Europa. Se è vero infatti che, stando ai dati riportati dalla Commissione europea ed evidenziati nel precedente paragrafo, gli effetti dell’accordo UE-Turchia sulla limitazione dei flussi lungo la rotta balcanica e sulla riduzione del numero di morti in mare appaiono molto positivi, i dati relativi al secondo obiettivo, quello di rimpatriare i migranti irregolari presenti sulle isole greche oppure i richiedenti asilo che abbiano fatto ingresso in Grecia passando per la Turchia dopo la conclusione dell’accordo in virtù del principio di Stato terzo sicuro, offrono un’immagine totalmente diversa.

Da marzo 2016 a oggi, risultano trasferiti dalle isole alla Turchia solo 2.441 migranti e il peso che le isole greche devono sopportare per far fronte all’afflusso di migranti, anche in considerazione degli spazi limitati e delle capacità di accoglienza inadeguate, risulta ancora piuttosto significativo. I dati dimostrano inoltre che i programmi di Rimpatrio Volontario Assistito e Reintegrazione (RVA&R), realizzati al di fuori del piano di finanziamento concesso alla Turchia nell’ambito dell’accordo, hanno maggiore presa sui migranti. Dal giugno 2016, sono 3.421 i migranti che hanno deciso di ritornare volontariamente dalle isole greche verso i propri Paesi di origine nell’ambito dei programmi di Rimpatrio Volontario Assistito e Reintegrazione.

Al di là delle numerose critiche manifestate da parte di organizzazioni della società civile in merito, da un lato, alle violazioni dei diritti umani per mano del governo di Ankara e, dall’altro, alle precarie condizioni di vita e ai carenti livelli di protezione per i rifugiati, in particolar modo le categorie più vulnerabili, ciò che oggi desta grande preoccupazione è la posizione che il presidente turco Erdoğan è riuscito ad assicurarsi grazie all’accordo sui migranti, tale da consentirgli di negoziare condizioni sempre più favorevoli per il suo Paese e soprattutto di utilizzare i rifugiati, in particolare i siriani, come “merce di scambio”, minacciando di aprire i confini del suo Paese e lasciare passare i migranti verso l’Europa qualora le condizioni stabilite all’interno dell’accordo sui migranti non vengano rispettate. Questa posizione ha spinto il governo di Ankara a minacciare, a più riprese, la sospensione dell’intesa, soprattutto in quei casi in cui sono verificate situazioni di stallo nell’erogazione dei finanziamenti promessi dall’UE oppure con riferimento alla liberalizzazione dei visti di ingresso per i cittadini turchi all’interno dell’area Schengen, che era stata promessa entro giugno 2016 ma che ad oggi non risulta ancora realizzata.

Dal punto di vista del potere negoziale che Erdoğan è riuscito ad assicurarsi, la situazione appare oggi molto critica, anche alla luce degli sviluppi geopolitici che si stanno verificando nel corso degli ultimi mesi all’interno della regione. A partire dallo scorso settembre si sono registrati consistenti aumenti nel numero di migranti giunti sulle isole greche dalla Turchia, con cifre che non si toccavano dal 2016, proprio quando l’accordo di intesa tra l’UE e la Turchia è entrato in vigore. L’attenzione verso la ripresa degli attraversamenti lungo la rotta del Mediterraneo orientale è diventata ancora più urgente a seguito della recente offensiva militare lanciata da parte delle truppe militari turche nella regione del Nord-Est della Siria ai danni delle popolazioni del Kurdistan siriano. In uno scenario regionale in constante mutamento si teme che le nuove tensioni possano spingere, da qui ai prossimi mesi, molti rifugiati siriani attualmente accolti in Turchia a fuggire verso l’Europa attraverso il Mar Egeo. Ciò potrebbe mettere in discussione le intese tra il governo turco e gli Stati membri dell’UE, con il presidente turco sempre più incline a manipolare l’accordo a suo vantaggio, utilizzando le condizioni in esso contenute come ricatto per garantirsi il via libera sul Nord-Est della Siria con le minacce di aprire i confini verso l’Europa a numerosi rifugiati siriani presenti in territorio turco qualora l’UE decidesse di intervenire in Siria per bloccare l’offensiva militare turca.

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