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La complessità del vicinato italo-turco. A che punto siamo tra Roma e Ankara

Aggiornamento: 16 gen 2022

1. Introduzione. Cosa ci ha detto il G20?


Al termine di due giornate di sessioni di lavoro e side events, si è concluso con la Dichiarazione di Roma l’anno di presidenza italiana del G20, foro internazionale che ha riunito le principali economie mondiali, culminato con il Vertice dei Leader. Tenutosi a Roma dal 30 al 31 ottobre, il Vertice ha ospitato i Capi di Stato e di Governo dei Paesi appartenenti al G20, con la presenza dei membri del G20, di alcuni Paesi invitati e dei rappresentanti di alcune delle principali organizzazioni internazionali e regionali. All’evento hanno partecipato anche i Ministri dell’Economia. L’incontro finale ha costituito il punto di arrivo del lavoro svolto durante l’anno nelle riunioni ministeriali, nei gruppi di lavoro e nelle riunioni degli Engagement Groups.


Rispetto al carattere prevalentemente cerimoniale del consesso, più ricchi in tema di contenuti si attestano di norma gli incontri a margine dei lavori del Vertice. In particolare, al termine del primo bilaterale che ha aperto il G20 di Roma tra il premier Mario Draghi e il premier del Regno Unito Boris Johnson, il presidente del Consiglio italiano ha accolto il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Stando ad una nota di Palazzo Chigi, il colloquio si è concentrato sulle sfide globali al centro della Presidenza italiana del G20, nonché sul partenariato bilaterale e le opportunità di suo ulteriore rafforzamento. Al centro anche le relazioni Unione Europea – Turchia, la crisi afghana e la stabilità nel Mediterraneo, con particolare attenzione per gli sviluppi del processo politico intra-libico. Infine, nel corso di una conferenza stampa a conclusione del summit G20, Erdoğan ha sottolineato possibili sviluppi positivi con l'Italia nell'industria della difesa e in ambito rapporti commerciali, ribadendo l'obiettivo di raggiungere un interscambio di almeno 30 miliardi di dollari. (Adnkronos)


L’incontro tra Draghi ed Erdoğan è rilevante nella misura in cui s’inscrive in un preciso momento storico durante il quale la traiettoria della politica estera italiana, quantomeno nella sua dimensione mediterranea, passa necessariamente da Ankara, che sembra avere ben chiari i suoi interessi strategici e le sue velleità post-imperiali. La Turchia tenta in tutti i modi di recuperare lo status di grande potenza, allargando al Mediterraneo i propri confini e, così facendo, scontrandosi con il raggio d’azione di Roma e instaurando un vicinato più o meno asimmetrico.


Ankara ha dato prova del suo attivismo nei Balcani – dove gode del supporto fornito alle comunità di fede musulmana presenti in Albania, Bosnia, Montenegro, Serbia Meridionale e Kosovo (Geopolitica.info) – e della sua proattività dal Nord Africa al Corno d’Africa e, non da ultimo, nel Mediterraneo Orientale. Dossier, segnati da elementi di convergenza e competizione, che si sovrappongono in molteplici teatri di proiezione internazionale e che hanno contribuito a trasformare le relazioni tra Italia e Turchia in un vero e proprio vicinato conflittuale.


2. Lo “stato dell’arte”: tra partnership economica e competizione strategica


Immersa negli instabili scenari regionali di un vicinato turbolento, la Turchia si distingue per una proattività che segna le sue relazioni economiche e diplomatiche. Attivismo frutto di una posizione geostrategica che la rende una sorta di ponte naturale tra Europa ed Asia ed una zona di transito cruciale per gli approvvigionamenti energetici e gli scambi verso i mercati limitrofi: dall’area del Mar Nero a quella del Mediterraneo, dal Medio Oriente alle Repubbliche dell’Asia Centrale. Quinto partner commerciale per l’Unione Europea, Ankara si rivela un interlocutore rilevante per Bruxelles anche sul piano politico, in particolare a seguito della crisi migratoria del 2015 e del successivo accordo, un anno più tardi, che prevede il blocco dei flussi di migranti diretti verso l’Europa in cambio di aiuti finanziari, stimati in 6 miliardi di euro, e la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi per entrare nell’UE.


D’altra parte, i rapporti bilaterali fra Roma e Ankara affondano le proprie radici non soltanto in una complementarietà economica che fa dell’Italia il secondo Paese europeo in termini di interscambi commerciali con la Turchia, ma anche in un legame storico-culturale, figlio della comune identità mediterranea; fino ad arrivare a un costante coordinamento multilaterale attraverso la centralità di NATO e UE.


Nel 2020, sulla base dei dati Turkstat, l’interscambio commerciale ha raggiunto 17,3 miliardi di dollari, con 9,2 miliardi di esportazioni italiane verso la Turchia e 8,1 miliardi di export turco verso l’Italia. Nonostante le difficoltà per le attività produttive ed il commercio internazionale dovute alla pandemia nel corso del 2020, si è registrato un saldo positivo per l’Italia di 1.114 milioni di dollari.


La collaborazione economica con la Turchia si sviluppa lungo tre direttrici principali: la tradizionale e consolidata presenza di grandi gruppi dell’industria manifatturiera con impianti produttivi nei principali cluster industriali turchi; l’importante ruolo delle banche italiane e la partecipazione allo sviluppo infrastrutturale del Paese. Eppure, una serie di fattori congiunturali – fra cui il contraccolpo economico a seguito della crisi pandemica da Covid-19, la grave crisi in cui versa l’economia turca che registrato un elevato tasso di inflazione e alti livelli di volatilità della valuta – potrebbero inficiare il margine di crescita del partenariato commerciale italo-turco. (Osservatorio Economico)


Da contrappeso alla dimensione economica si propone il quadro geopolitico, dotato di un peso specifico maggiore, che segnala la prevalenza di dinamiche competitive piuttosto che cooperative. Ne è un caso paradigmatico la Libia – uno degli snodi cruciali dei flussi migratori diretti verso l’Italia via mare e via terra – in cui dal 2019 Ankara ha assunto il ruolo di interlocutrice privilegiata al fianco di al-Sarraj, a detrimento della storica sfera d’influenza italiana.


3. Alleati in Libia?


Per via della sua posizione naturale, l’Italia ha storicamente rivolto le sue ambizioni di media potenza verso il Mediterraneo, teatro in cui si consolidano priorità strategiche legate all’approvvigionamento energetico, alla gestione dei flussi migratori e all’interdipendenza economica con gli attori del Mare Nostrum. Primo fra tutti la Libia, uno dei principali fornitori di gas e petrolio italiani. Sul piano geopolitico, a seguito dello scoppio delle Primavere Arabe nel 2011, il ruolo di secondo piano assunto dall’Italia nel mondo arabo ha favorito forti penetrazioni estere, configurazioni di posture nazionali assertive, fra cui quella di Ankara.


A seguito della caduta dell’ex regime di Muammar Gheddafi e dell’intervento esterno a guida NATO del marzo 2011, pochi sono stati i passi in avanti verso la stabilizzazione del territorio libico, a lungo soggetto alla partizione tra i due blocchi instauratisi a Tripoli e Tobruk. La transizione post-Gheddafi mise in luce la polarizzazione delle forze politiche tra un fronte “laico” e un fronte “rivoluzionario-islamista”, favorita da una crescente tensione nel contesto internazionale tra i sostenitori dell’islam politico – Turchia e Qatar – e le forze conservatrici – Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto. Il conflitto è stato altresì esacerbato dalla divisione interna tra il Governo di Accordo Nazionale (GNA), guidato da Fayez al-Sarraj, e il Parlamento e l’esecutivo di Tobruk, che facevano capo alle milizie del generale dell’Esercito Nazionale Libico (LNA), Khalifa Haftar, in controllo della Cirenaica (regione libica orientale), in opposizione alle milizie associate di Misurata e Tripoli nell’Ovest del Paese.


Inoltre, la Libia veniva a riprodurre il terreno di scontro in cui si riverberavano, e si riverberano ancora, le proiezioni mediorientale e mediterranea di Russia, a sostegno di Haftar, e Turchia, principale alleato del GNA – come testimonia l’Accordo di Tripoli, firmato il 17 agosto 2020, per la cooperazione trilaterale in campo militare tra Libia, Turchia e Qatar. Un accordo che prevedeva la concessione da parte di Tripoli ad Ankara del porto di Misurata come base militare per le navi militari operanti nel Mediterraneo Orientale e l’uso, da parte dell’aviazione militare turca, della base aerea di Al-Watiya, nella Tripolitania Occidentale. Era stato proprio l’appoggio militare della Turchia ad impedire ad Haftar di conquistare Tripoli, a seguito della sua offensiva lanciata nell’aprile 2019. Fino ad arrivare all’accordo per il cessate il fuoco firmato a Ginevra nell’ottobre 2020 tra le delegazioni libiche rivali, nel quadro del Comitato militare congiunto 5+5.

Il timido approccio di Roma, ufficialmente al fianco del governo di Tripoli ma alla ricerca allo stesso tempo di canali di dialogo tra al-Sarraj e Haftar, è stata interpretato a livello internazionale come sintomo di esitazione e ha ceduto il passo all’intervento militare turco.


Il 25 marzo scorso i Ministri degli Esteri di Italia, Francia e Germania hanno incontrato a Tripoli gli esponenti del nuovo governo di unità nazionale, tra cui il Primo Ministro ad interim Abdulhamid Dbeibeh, membro dell’esecutivo sostenuto dal voto di fiducia del Parlamento riunificato, che avrebbe il compito di condurre il Paese verso le elezioni parlamentari e presidenziali fissate per il prossimo 24 dicembre. Nel corso della missione congiunta, i capi dei dicasteri degli esteri di Roma, Parigi e Berlino hanno espresso il pieno supporto al nuovo governo di unità nazionale e ribadito la volontà da parte dell’Unione di ritornare in Libia e sostenere Tripoli in un complesso processo di stabilizzazione i cui presupposti avrebbero poggiato sul rispetto dei diritti umani, sul ritiro dei mercenari e delle forze straniere presenti all’interno del Paese e sul rilancio delle attività economiche, in particolare produzione ed esportazione di gas e petrolio.

A circa un mese dalle elezioni, la Turchia continua ad essere presente a Tripoli, dove sono operativi decine di alti funzionari militari turchi che operano fianco a fianco con i loro colleghi libici, oltre a centinaia di miliziani provenienti da Siria e Iraq e ingaggiati dalla Turchia al fine di respingere l’attacco di Haftar contro la capitale libica (Formiche.net). Se l’Italia dunque cerca di rilanciare il suo ruolo attraverso un piano di investimenti di concerto con Parigi e Berlino, la permanenza militare turca è un chiaro segnale che Tripoli rappresenta uno dei perni della strategia mediterranea a lungo termine da parte di Ankara. Una strategia che passa in primis dalla stabilizzazione politica della Libia.

Fonte: https://www.limesonline.com/carta-libia-spartizione-turchia-russia-wagner-tripoli-cirenaica-sirte/122612

4. La battaglia navale dell’EastMed


La cooperazione fra Ankara e Tripoli si realizza non soltanto sul fronte interno libico ma si proietta nel più ampio teatro geostrategico del Mediterraneo Orientale, hub regionale energetico i cui vasti giacimenti di gas naturale, portati alla luce da esplorazioni effettuate nel corso dell’ultimo decennio, hanno acceso la competizione tra zone economiche esclusive (ZEE), ossia quelle aree marittime adiacenti alle acque territoriali in cui uno Stato è titolare di diritti esclusivi di sovranità. Alla luce della sua posizione mediana fra Europa, Asia ed Africa, il Mediterraneo orientale rappresenta un crocevia strategico per il commercio globale, così come la rotta marittima più breve tra Asia e mercati europei, in virtù del Canale di Suez che collega l'Oceano Indiano e il Mar Mediterraneo.


Nel novembre 2019 Libia e Turchia hanno siglato un accordo che definiva i loro confini marittimi e che avrebbe esteso la piattaforma continentale di Ankara nel Mediterraneo Orientale, in cambio di assistenza militare turca al governo libico. Tuttavia, Francia, Grecia, Israele, Cipro ed Egitto hanno prontamente condannato tale accordo, definendolo come un’indebita ingerenza in chiara violazione della Convenzione ONU sul diritto del mare (UNCLOS, 1982), in quanto il patto fra Tripoli e Ankara includerebbe nell’area marittima turca una zona rivendicata da Atene, ignorando la presenza dell’isola di Creta.


Fino alle tensioni dell’agosto 2020 fra Grecia e Turchia, a seguito dello scontro tra una nave da guerra greca ed una nave da ricognizione turca che stava scortando la Oruc Reis, nave da ricerca sismica, al largo di Kastellorizo, isola greca a circa due chilometri dalla costa turca. Mentre la coalizione dei paesi sopracitati ha costruito un’alleanza politica e militare in chiave anti-turca, l’Italia ha mantenuto la linea della prudenza, apparentemente orientata a sostenere il leitmotiv della diplomazia, in un approccio di flessibilità strategica, piuttosto che procedere nella direzione di un netto schieramento da una o dall’altra parte.


Tuttavia, il rafforzamento di Ankara come crocevia del gas naturale tra Mar Caspio, Mediterraneo orientale ed Europa – già corroborato dalla presenza del gasdotto Trans-Anatolico (TANAP), che dall’Azerbaigian arriva in Europa – potrebbe scontrarsi con le ambizioni energetiche dell’Italia, individuata come il terminale logistico della Trans-Adriatic Pipeline (TAP) e di EastMed.

L’influenza turca, infatti, rischia di inibire la realizzazione del gasdotto EastMed, progetto sostenuto da Bruxelles che dovrebbe bypassare la Turchia – non inclusa nell’East Mediterranean Gas Forum (EMGF, 2019) – e collegare il Mediterraneo Orientale con l’Europa continentale attraverso gli attracchi in Italia e in Grecia, allo scopo di ridurre la dipendenza energetica europea dalla Russia (AMIStaDeS).


Se, da un lato, Ankara punta ad allargare il proprio perimetro di attività a Cipro e Dodecaneso e, nel lungo periodo, ad estendere la propria influenza sul Canale di Suez per assicurarsi un accesso agevolato all’Oceano Indiano, la linea della cautela sposata da Roma è dettata piuttosto dal timore che iniziative ostili alla Turchia abbiano delle ricadute negative sul piano economico e geopolitico. A ciò si aggiunge la necessità di trovare un accordo con Ankara sulla questione libica, che avrebbe spinto Roma all’equidistanza nell’Egeo e nel Mediterraneo.

Fonte: https://it.insideover.com/politica/guerra-mediterraneo-orientale-potenze.html

5. Quanto contano i Balcani?


Un’ulteriore punto di frizione in cui si sovrappongono le agende estere di Roma e Ankara sono i Balcani occidentali, area verso cui l’Italia ha esteso la sua proiezione politica, economica e culturale già a partire dal processo di unificazione alla fine del XIX secolo, per ragioni di ordine storico, geografico e strategico, legate fra loro. Nello specifico, l’azione italiana è stata orientata alla promozione del processo di stabilizzazione dell’area – basti pensare alle missioni in Bosnia, Kosovo e Albania sotto egida NATO – , al consolidamento delle istituzioni democratiche, al bilancio dell’economia locale e alla lotta al crimine organizzato.


In ottica securitaria, gli eventi che si verificano nelle regioni a ridosso dell’Adriatico hanno un immediato riflesso sia sul panorama interno che sulle relazioni con l’estero dell’Italia; dal punto di vista economico, lo sviluppo dei Balcani ha rappresentato una sostanziale possibilità per Roma, offrendo ampi margini di rafforzamento commerciale ed industriale, in particolare nei settori strategici dell’energia, delle telecomunicazioni, delle infrastrutture e del sistema bancario.


Pertanto, la contiguità geografica, gli aspetti legati alla sicurezza, la penetrazione economico – commerciale per gli imprenditori italiani, il contestuale sviluppo di una crescente concorrenza da parte di altri partners europei e il sorgere di forme di cooperazione regionale a geometria variabile contro le disgregazioni territoriali hanno posto l’area balcanica al centro della riflessione strategica e geopolitica del nostro paese.


Tuttavia, proprio il progressivo allineamento da parte dell’Italia alle azioni di tipo comunitario e la convinzione che tali azioni coincidessero con gli interessi nazionali hanno favorito l’ampliamento del raggio di azione di altri paesi, Turchia fra tutti.


Dal surrettizio supporto diplomatico e militare durante le guerre balcaniche di fine secolo fornendo munizioni ed armamenti ai bosniaci musulmani di Alija Izetbegović durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina (1992-1995), si è passati alla figura di Ahmet Davutoğlu tra i consiglieri di Erdoğan fin dal 2003. Davutoğlu è stato capace di imprimere una nuova dinamicità alla proiezione internazionale turca e fare della profondità strategica – ovvero del neo-ottomanesimo – la linea guida dell’espansionismo turco, in base alla quale la cultura, la diplomazia e l’economia nazionale avrebbero dovuto espandersi nelle regioni guidate in passato da Istanbul e in quelle aventi legami culturali e storici con il ceppo ottomano (Limes).


La Sublime Porta rivendica dunque una crescente sfera di influenza in quei territori un tempo inglobati nell’Impero Ottomano, in ragione della cospicua presenza di musulmani nella regione: a titolo esemplificativo, l’Islam è la religione maggioritaria in Albania, Bosnia e Kosovo e i turchi costituiscono il secondo gruppo etnico in Bulgaria (InsideOver). Di contro, l’Italia sembra essere esclusa dalle dinamiche di influenza nei Balcani, lasciando che perfino Tirana, considerata da Ankara come avamposto strategico nell’area e supportata da quest’ultima nel corso della pandemia, tornasse verso Oriente.

Fonte: https://www.limesonline.com/carta-assi-espansione-turchia/119420

6. Conclusione. Ambizioni e limiti di un ex impero


Nel Mediterraneo la Turchia vuole tornare ad essere grande, al pari Russia e Cina – potenze che da tempo hanno esteso le loro mire al Mediterraneo allargato –, anelito di un passato imperiale radicato nel cuore della nazione. La permanenza in Libia, l’avanzata nei Balcani e l’interpretazione geopolitica del diritto internazionale nel Mediterraneo Orientale dimostrano l’ambizione e l’assertività del disegno turco, i cui obiettivi strategici collidono in larga parte con le storiche direttrici dell’agenda estera di Roma, il cui allineamento inerziale a concerti comunitari in tema Libia e Balcani e la linea della cautela nel Mediterraneo Orientale hanno dato spazio alla progressione turca.


Il Mediterraneo è difatti il teatro in cui la Sublime Porta esibisce la dottrina marittima attraverso la quale punta ad estendere la sua sfera di influenza, ossia il concetto di Mavi Vatan (“Patria Blu”), cioè il complesso degli spazi acquatici all’interno dei quali intende affermare una sovranità analoga a quella esercitata sul territorio anatolico (Limes). Inizialmente attraverso: 1) il controllo dei traffici; 2) l’impiego dei giacimenti presenti nel Mediterraneo per lo sviluppo regionale e la cooperazione tra i Paesi rivieraschi; 3) la creazione di interdipendenza economica, Ankara intende sfruttare la componente marittima per perseguire i suoi interessi strategici.


Tuttavia, il successo della configurazione neo-imperiale di Ankara non dipende soltanto dalle velleità e dal pragmatismo della sua collettività, ma si scontra ad oggi con una serie di limiti esistenti nei vari teatri operativi. In Libia, ad esempio, a fronte della competizione con Mosca, le ambizioni turche dovranno essere accompagnate dal sostegno degli Stati Uniti, che nel lungo periodo potrebbero non tollerare una nuova grande potenza tra Europa e Asia. Nel Mediterraneo orientale, un’esacerbazione della competizione, generata dalla volontà di Ankara di garantirsi l’accesso alle forniture di gas naturale per soddisfare la sua domanda interna e diversificare le sue fonti di approvvigionamento, potrebbe richiamare l’attenzione di Washington in questo quadrante, sollecitare il rafforzamento dell’esercito ed eventualmente una militarizzazione dell’area da parte di Atene e incontrare i malumori di attori regionali, quali Francia, Egitto ed Israele. Infine, nei Balcani, Ankara difficilmente rappresenta un valido sostituto in materia economico – sociale dell’Unione Europea, che rimane primo investitore e partner dell’area. E, per imporre definitivamente la sua influenza nella regione, la Turchia sarebbe inoltre costretta a far fronte alla presenza geopolitica di Russia e Stati Uniti. Una missione ardua perfino per un ex impero.


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La complessità del vicinato italo-turco
. A che punto siamo tra Roma e Ankara - Lorenzo Gio
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