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Che cos'è la Human Security?

Aggiornamento: 4 set 2021

Fonte: HCR/B. Diab

Il concetto di “sicurezza umanitaria” è stato utilizzato nei dibattiti delle organizzazioni internazionali e nei circoli accademici a partire dal 1994 per immaginare e quindi mettere in atto, nuovi modelli di intervento per risolvere situazioni di crisi umanitaria e insicurezza. Sebbene non ci sia un consenso univoco sulla definizione di questa espressione, la sicurezza umanitaria è un approccio sistemico, un metodo di intervento, che attraversa le tradizionali nozioni di sicurezza per porre l’accento su questioni come lo sviluppo e il rispetto dei diritti umani. Secondo alcuni autori ed esperti del settore questo concetto è molto attrattivo e possiede grandi capacità di sviluppo, per altri invece, è debole da un punto di vista analitico proprio perché i suoi confini non sono ben definiti.



1. Definizione dell’approccio


Nella letteratura dedicata alle relazioni internazionali e alle questioni relative allo sviluppo, ci si riferisce alla human security in vari termini: come una nuova teoria o concetto, un punto di partenza per l'analisi, una visione del mondo differente da un approccio più realista, un'agenda politica, come quadro politico di sviluppo. Anche se la definizione di sicurezza umanitaria rimane una questione aperta, ciò che accomuna il consenso dei suoi sostenitori, è che ci dovrebbe essere uno spostamento dell'attenzione da un approccio alla sicurezza focalizzato sul mantenimento dello status quo nella ripartizione del potere e dell’accesso alle risorse di ogni Paese, a un approccio alla sicurezza incentrato sulle persone. In quest’ottica, la preoccupazione per la sicurezza dei confini statali dovrebbe cedere il passo alla preoccupazione per la sicurezza delle persone che vivono all'interno di quei confini.


La definizione più semplice e generale di sicurezza è "assenza di insicurezza e di minacce". Essere sicuri significa essere liberi sia dalla paura (di abusi fisici, sessuali o psicologici, di violenza, di persecuzione o di morte) sia dal bisogno (di accesso ai beni primari, di salute). La sicurezza umanitaria, nello specifico, si occupa della capacità di identificare le minacce, di evitarle quando possibile e di mitigarne gli effetti quando si verificano. Essa si pone l’obiettivo di aiutare le vittime a far fronte alle conseguenze dell’insicurezza diffusa causata dai conflitti armati, dalle violazioni dei diritti umani e dal sottosviluppo economico e sociale. attraverso la "sicurezza sociale" contro le interruzioni improvvise.


2. Nascita e sviluppo


Il concetto di sicurezza umanitaria è stato elaborato sulla base di ricerche empiriche condotte alla fine della guerra fredda. Negli anni precedenti infatti, il rispetto della sovranità è stato scosso da troppi esempi in cui gli Stati stessi sono diventati perpetratori di insicurezze e abusi, non solo non adempiendo ai loro obblighi verso le loro comunità, ma minacciando la loro stessa esistenza. Allo stesso tempo, quest'epoca ha visto una varietà di nuovi e spesso deboli interventi internazionali in Bosnia, Kosovo, Timor Est e Afghanistan.


Mentre i conflitti sembravano essere risolti, le ragioni stesse che avevano scatenato i conflitti non furono affrontate attraverso una volontà di costruzione della pace a lungo termine. La fine della competizione bipolare condusse inoltre, alla presenza di nuovi attori sulla scena internazionale: organizzazioni internazionali, società di investimento private, ONG ed entità non statali che avevano il compito di giocare un ruolo attivo e, auspicabilmente, risolutivo delle controversie strutturali che fino a quel momento avevano dominato le crisi e i conflitti nel mondo. Allo stesso tempo, all’inizio degli anni Novanta, mentre i rischi di un confronto globale e i grandi conflitti interstatali diminuivano, la fine dell'era bipolare segnava nuova consapevolezza della prevalenza di nuove minacce: conflitti intra-statali, scontri etnici, terrorismo e spostamenti forzati, povertà estrema, HIV/AIDS, ecc. Minacce che erano senza confini, ma strettamente connesse e potenzialmente paralizzanti nei loro effetti sulle società in tutto il mondo.


È in questo contesto che, a partire dal 1994, il concetto di sicurezza umanitaria è stato adottato da un certo numero di Stati, così come da organizzazioni regionali e internazionali. Da un punto di vista temporale, possiamo stabilire tre grandi fasi che hanno portato alla creazione di questo paradigma.1) il debutto mondiale è avvenuto con la pubblicazione del Rapporto Globale sullo Sviluppo Umano dell'UNDP (United Nations Procurement Division, il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo) nel 1994, che cercò, allora, di cogliere l'opportunità di pace e sviluppo fornita dalla fine della guerra fredda, ma fu accolta con scetticismo da parte del G77[1] per paura che la sua futura azione portasse a violazioni della sovranità statale; 2) tra il 2001 e il 2003, il concetto è stato ripreso nel dibattito sulla "responsabilità di proteggere”(R2P), guidato dalla Commissione internazionale canadese sull'intervento e la Sovranità dello Stato (ICISS), e nelle discussioni sulla "responsabilità per lo sviluppo" avviate dalla Commissione giapponese sulla sicurezza umana (CHS), con i due governi - Canada e Giappone - che si proposero di fornire la necessaria leadership. e i finanziamenti necessari per includere la sicurezza umanitaria nell'agenda globale; 3) negli anni 2004-2005, quando la necessità di riadattarsi alle nuove realtà del XXI secolo e in particolare di trovare i mezzi per costruire risposte collettive alle nuove minacce globali, quello della sicurezza umanitaria, concepita come il collegamento tra sicurezza e sviluppo, è diventato un tema principali delle agende di riforma dell'ONU e di organizzazioni regionali come l'Unione Europea.


3. Attori coinvolti


Da un punto di vista operativo, la sicurezza umanitaria mira ad affrontare situazioni complesse di insicurezza attraverso misure collaborative, reattive e sostenibili che risultino, o abbiano l’ambizione di essere: incentrate sulle persone, multisettoriali, complete, specifiche per il contesto e orientate alla prevenzione di futuri e ulteriori crisi di sicurezza. Inoltre, la sicurezza umanitaria impiega un approccio esecutivo ibrido che riunisce questi elementi attraverso un quadro di protezione e quadro di sviluppo.


Questo approccio di ri-costruzione della sicurezza in situazioni di post-conflitto o in quelle che in linguaggio accademico sono definite situazioni di “trauma e post-trauma” (calamità naturali, migrazioni forzate, violazioni dei diritti umani, gravi e perpetrate condizioni di insicurezza alimentare e/o idrica), con la sua enfasi sull'interconnessione degli attori coinvolti, richiede lo sviluppo di una rete interconnessa di diverse parti interessate, attingendo alle competenze e alle risorse di un'ampia gamma di attori provenienti da differenti agenzie delle Nazioni Unite e dai settori pubblici e privati a livello locale, nazionale, regionale e internazionale.


L’idea alla base della sicurezza umanitaria è che gli attori internazionali e regionali, cooperino con le realtà locali del Paese di intervento per stabilire insieme le priorità e gli obiettivi che dovranno portare, nel lungo periodo, alla costruzione di pace e di sviluppo.


Questi attori, insieme, dovrebbero quindi, agire dapprima sui bisogni urgenti delle popolazioni in situazioni di insicurezza e cooperare poi nel medio e lungo periodo per mettere in atto piani strutturati di intervento per lo sviluppo di questi Paesi, così da eliminare alla base le cause che hanno scatenato la perdita di sicurezza e fare in modo che non si ripresentino.

Uno degli obiettivi della fase di attuazione è quello di assicurare l’indipendenza dei beneficiari e delle comunità locali attraverso lo sviluppo delle capacità e il partenariato con gli attori regionali e internazionali. I programmi di sicurezza umanitaria sono normalmente valutati infatti, in base al livello di appropriazione locale nella fase di attuazione e alla sostenibilità del programma, che dovrebbe essere aumentata a mano a mano, attraverso un’attuazione collaborativa. La partecipazione delle comunità locali è indispensabile per il successo e la sostenibilità di qualsiasi programma di sicurezza umana. I programmi di sicurezza umanitaria devono essere creati infatti, su input della stessa popolazione locale per essere considerati legittimi ed efficaci così che possano raggiungere gli obiettivi prefissati all’inizio dalle stesse comunità colpite.


4. Tipologia di intervento


L’approccio della sicurezza umanitaria vorrebbe abbandonare il modus operandi di una ricostruzione che parte dall'alto, ideata e costruita a porte chiuse nei palazzi governativi di Paesi terzi, per mettere in atto invece, un’operatività “dal basso”[2], voluta e portata avanti dalle comunità civili locali, con l’aiuto di agenzie internazionali e regionali che non dovrebbero però essere gli attori protagonisti. L’ideale alla base di questo paradigma di ricostruzione della sicurezza è proprio quello di partire dal presupposto che coloro che non hanno vissuto una privazione di sicurezza (chi non è stato colpito in prima persona da un conflitto o da una calamità naturale), non possano comprendere quali siano i reali bisogni delle popolazioni e come lavorare affinché le cause strutturali che hanno condotto a quella situazione non si ripresentino, quantomeno in un primo periodo, non con la stessa intensità. Gli attori terzi, dunque, seppur necessari in forma di aiuto fisico e materiale soprattutto nelle prime fasi acute di emergenza, dovrebbero però lasciare poi spazio alle comunità locali di stabilire come e dove intervenire per riportare sicurezza, pace e sviluppo nel proprio Paese.


5. L’approccio del Triple Nexus


Come abbiamo finora esaminato, il concetto di sicurezza umanitaria, oltre che avere la volontà di garantire una nuova sicurezza interna ed esterna alle popolazioni che ne sono state private, immagina di stabilire nuovi percorsi di pace e di sviluppo a seguito di un conflitto o di una condizione di evento post traumatico. In questo quadro di risoluzione di situazione complessa, uno degli approcci di intervento è il cosiddetto Triple Nexus, il Triplice Nesso.


Come ci suggerisce la parola, questo metodo connette tra loro e quindi crea appunto un “nesso”, tra tre aree operative: l’azione umanitaria, il processo di sviluppo e la costruzione di pace e quindi, di governance del Paese. Il nesso che viene a crearsi tra queste aree è in primo luogo operativo, vale a dire che, nel momento in cui si pianifica il primo intervento di gestione dell’emergenza, si inizia contemporaneamente a coinvolgere quelli che vengono individuati come partner locali per creare percorsi sistematici di stabilizzazione del Paese.


L’esigenza di costruire questo tipo di percorso è nata in modo particolare all'inizio degli anni Duemila, quando le emergenze umanitarie scatenate da conflitti sempre più protratti nel tempo, hanno portato alcuni Paesi a vivere situazioni di emergenza che non hanno una fine, ma che, al contrario, normalizzano l’emergenza stessa. Il triplice nesso chiede agli attori umanitari, dello sviluppo e della pace di condurre il loro lavoro in modo più olistico l'uno con l'altro per consentire loro di agire più efficacemente sulla sofferenza globale, costruire capacità di ripresa più rapide e prevenire i conflitti o il loro ripetersi. Dal suo inizio, il modello del triplice nesso è diventato sempre più oggetto di attenzione per coloro che operano nelle comunità umanitarie, di sviluppo e di pace, compresi i donatori, che siano privati o pubblici.


Il metodo del triplice nesso non è una novità assoluta nei contesti di cooperazione allo sviluppo e umanitari. Esso può essere considerato infatti, come l’evoluzione del Link Relief and Rehabilitation to Development (LRRD), a cui il Triple Nexus aggiunge la messa in atto di percorsi di pace. Uno dei limiti del vecchio approccio LRRD infatti, era considerato da molti quello di non risolvere le cause che avevano determinato il conflitto o il disastro naturale, ma di concentrarsi solo sullo sviluppo, in un’ottica ritenuta troppo Stato-centrica, molto lontana dagli effettivi bisogni delle popolazioni.


6. Critiche e sviluppi futuri


Il triplice nesso è un approccio emergente che aspira a trasformare il modo in cui le attività umanitarie, di sviluppo e di pace sono pianificate, attuate e finanziate per soddisfare in modo più efficace e coerente i bisogni, ridurre i rischi e costruire la capacità di ripresa. Per mettere in atto questo, è richiesto il cambiamento di un sistema di aiuti in cui molto spesso i ruoli delle agenzie ONU, dell’Unione europea e di differenti ONG si accavallano creando competizione e disorientamento nelle popolazioni locali. Queste realtà infatti, agiscono normalmente in tempi diversi durante il primo periodo di emergenza e il post. Se gli interventi umanitari agiscono durante e subito dopo il disastro, le agenzie governative o le ONG che si occupano di sviluppo e di cooperazione per arrivare alla pace hanno l’ambizione di incidere invece, su diseguaglianze strutturali. L’avanzamento dell'approccio del triplice nesso deve anche affrontare le valide preoccupazioni circa il potenziale impatto sui principi umanitari (neutralità, imparzialità, indipendenza). Secondo alcuni operatori infatti, l’adozione di sistemi integrati di sicurezza umanitaria in situazioni di conflitto, che aspirano da subito a creare condizioni di pace, rischia di suddividere il teatro emergenziale in due blocchi contrapposti: i “buoni” e i “cattivi”.


Questo può produrre una narrativa e quindi una volontà di fornire aiuto in emergenza che favorisce l’aiuto umanitario di una sola delle parti in conflitto. In questo modo, non solo una parte della popolazione può rimanere in situazione di grave insicurezza, ma le cause che hanno portato allo scoppio del conflitto, potrebbero non essere mai risolte. Secondo alcuni operatori del settore umanitario, questo potrebbe essere una delle maggiori criticità dell’utilizzo del Triple Nexus in condizioni di scarsa sicurezza, cioè che gli aiuti siano politicizzati e quindi, venga meno il principio di neutralità dell’intervento. Le due aree che agiscono sullo sviluppo e sulla costruzione di pace, scegliendo di collaborare soltanto con alcuni gruppi locali, potrebbero infatti, mancare di neutralità agli occhi degli attori locali e ciò potrebbe ridurre la possibilità di avere accesso da parte degli attori umanitari a zone in emergenza.


Due problemi, in particolare, limitano, poi, la comprensione dell’utilità del concetto di sicurezza umana per gli studiosi e i professionisti della politica internazionale. In primo luogo, il concetto manca di una definizione precisa. La sicurezza umanitaria diviene così, come il concetto di "sviluppo sostenibile” ad esempio, qualcosa per cui tutti sono a favore, ma pochi hanno un'idea chiara del suo significato. Le definizioni esistenti di sicurezza umanitaria tendono ad essere espansive e abbastanza vaghe, comprendendo tutto, dalla sicurezza fisica al benessere psicologico.


L'idea di sicurezza umanitaria inoltre, tiene insieme una coalizione di attori dai confini porosi: Stati di media potenza, agenzie di sviluppo e ONG. Come concetto unificante di questa coalizione, la sicurezza umanitaria è utile proprio perché manca di precisione e quindi comprende le diverse prospettive e obiettivi di tutti i membri della coalizione stessa. Tuttavia, quella che per alcuni è un'ambiguità sistemica, renderebbe la sicurezza umanitaria un efficace slogan elettorale e ne diminuirebbe l'utilità del concetto come guida strategica alla risoluzione di crisi di sicurezza.


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Note


[1] Il G77 è un'organizzazione intergovernativa delle Nazioni Unite, costituita da centotrentaquattro Paesi nel mondo. Fu fondata nel 1964 da un gruppo di settantasette Paesi (da qui il nome) che sottoscrissero la “Dichiarazione congiunta dei 77 Paesi in via di sviluppo”, a seguito della prima sessione della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e sullo Sviluppo (UNCTAD) a Ginevra. [2] Uno degli esempi su cui si basa questo approccio “dal basso” è il cosiddetto cash assistance, che prevede che l'assistenza economica sia rivolta direttamente alla popolazione, tramite l’erogazione di somme di denaro senza intermediazioni tra i donatori e le persone


Bibliografia

  • M. Caparini e A. Reagan, Connecting the dots on the triple nexus, Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), 29 novembre 2019

  • R. Iodice, R. Sansone, S. Argenziano, M. Lalovic, Aiuti e basta?, webinar a cura di Medici Senza Frontiere Italia, 4 marzo 2021.

  • Office for the Coordination of Humanitarian Affairs, Human Security in theory and practice, United Nations, 2009.

  • R. Paris, Human Security: Paradigm shift or Hot air?, The Mit Press, autunno 2001, vol. 26, n. 2, pp. 87-102.

  • S. Tadjbakhsh, Human Security: Concept and Implications, Les études du Centre de recherches internationales (CERI), Sciences Po, n. 117-118, settembre 2005.


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