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Buen vivir: un’alternativa andina allo sviluppo?

Aggiornamento: 2 nov 2021

Figura 1. Fonte Polemos, portal juridico interdisciplinario

1. Buen Vivir e postdesarrollo


La locuzione Buen Vivir o Vivir Bien raggruppa un insieme di concezioni e visioni sudamericane che condividono prospettive radicali sulla nozione di sviluppo e altre componenti della modernità, proponendosi, non come una forma alternativa di sviluppo, ma come un'alternativa allo sviluppo. In estrema sintesi il concetto rinvia ad una forma di vita armoniosa tra gli esseri umani e tra essi e il mondo naturale all’insegna della gratitudine[1].


Il Buen vivir non può essere paragonato alla nozione occidentale di “benessere” o di “buona vita”, né può essere descritta come un'ideologia o una cultura. Esso esprime un cambiamento più profondo nella conoscenza, nell'affettività e nella spiritualità, come apertura ontologica ad altre concezioni su ciò che la modernità chiama società e natura. Si tratta di una categoria plurale, al tempo stesso locale e universale[2], che include diverse versioni – specifiche per ogni contesto sociale, storico ed ecologico – come risultano dell’ibridazione di concetti che provengono sia dalla tradizione indigena che da posizioni critiche all'interno della modernità. Tra i primi ci sono la suma qamaña degli Aymara e la ñande reko dei Guarani della Bolivia; il sumak kawsay e le idee associate come allin kawsay dei Kichwa dell'Ecuador; e l'allin kawsay dei Quechua del Perù. Concetti simili sono gli shür waras degli Achuar dell'Ecuador e del Perù o il küme morgen dei Mapuche del Cile. Mentre tra i secondi ci sono critiche radicali allo sviluppo, compreso il post-sviluppo; il riconoscimento della colonialità del potere e della conoscenza; la critica femminista del patriarcato; un'etica alternativa che riconosca i propri valori nel non umano; posizioni ambientaliste come quelle dell'ecologia profonda[3].


Benché non esista un solo Buon Vivir, esistono delle componenti condivise che accomunano questo modello plurale, come la messa in discussione dello sviluppo, il consumismo, la mercificazione della natura, il differimento della centralità dell'uomo come unico soggetto e come fonte di ogni valutazione. La separazione tra società e natura della modernità non è accettata e si considera “comunità” quella composta da esseri umani e non umani (animali, piante, montagne, spiriti, ecc.). Si rifiuta ogni colonialismo e si difende una interculturalità che valorizza ogni tradizione di conoscenza, e per questo postula la rifondazione della politica che deve essere plurinazionale.


2. Buen vivir in Ecuador


Con la costituzione ecuadoregna del 2008, la cultura indigena entra per la prima volta in un testo costituzionale, che riconosce la Pachamamae il sumak kawsay come valori, principi costituzionali e regime di diritti. In questa costituzione innovativa i diritti classici vengono contaminati dal Buen Vivir: diritti quali l’acqua, il cibo, l’ambiente sano, la salute e l’educazione, sono posti sullo stesso piano dei diritti di libertà, di partecipazione, delle comunità e dei diritti della natura: il complesso dei diritti si inscrive in un orizzonte interculturale rispettoso delle diversità. A prevalere nella costituzione è la prospettiva comunitaria, che gioca un ruolo fondamentale nel modello economico del Paese. Infatti, nonostante lo stato resti l’ente predisposto a pianificare la politica economica del paese, le persone, la comunità, i popoli e le nazionalità sono chiamate a partecipare attivamente all’impresa attraverso l’esercizio delle loro responsabilità. L’articolo 283 della costituzione definisce il sistema economico come “sociale e solidale; riconosce l'essere umano come soggetto e fine; tende ad un rapporto dinamico ed equilibrato tra società, Stato e mercato, in armonia con la natura”. Qui il regime economico si arricchisce, rispetto alle forme di organizzazione tipiche del sistema liberale (pubblica, privata e mista), dell’economia popolare e solidale, riconoscendo in questo modo le forme di produzione e scambio tipiche della tradizione indigena[4].

Per la prima volta in Ecuador, i cittadini hanno accettato un nuovo contratto sociale che riconosce i diritti della Natura, generando un rovesciamento di prospettiva da antropocentrica a biocentrica[5]. La natura non è più tutelata in quanto finalizzata al benessere dell’uomo, ma in quanto portatrice di valori in sé.

Figura 2. Offerte alla Pachamama (Pin and Travel)

3. Buen vivir in Bolivia


In Bolivia per la seconda volta la cosmovisione andina trova spazio in un testo costituzionale, declinandosi però più in termini di valori che di diritti. Inserire il richiamo al vivir bien e alla Pacha Mama nella Costituzione ha significato dichiararsi a favore di una strada alternativa a quella dello “sviluppo sostenibile”, dominante nel contesto internazionale.


Il nuovo testo costituzionale, culmine di un processo nato con l’elezione di Evo Morales, viene adottato in seguito al referendum del 25 gennaio 2009. L’art. 8, in particolare, afferma che lo Stato assume e promuove come principi etico-morali della società plurale ama qhilla, ama llulla, ama suwa (non essere pigro, non mentire, non rubare), suma qamaña (buen vivir), ñandereko (promuovere la vita armoniosa), teko kavi (vivere la vita buona), ivi maraei (preservare una terra senza il male) e qhapaj ñan (procedere per un cammino di vita degna e nobile).


Questi principi si integrano in una celebrazione di una soddisfazione condivisa delle necessità umane della popolazione tutta, all’insegna dell’armonia non solo con l’intera collettività, ma con la natura.


Lo stesso articolo prosegue elencando i valori fondanti dello Stato finalizzati al vivir bien: «unità, uguaglianza, inclusione, dignità, libertà, solidarietà, reciprocità, rispetto, complementarità, armonia, trasparenza, equilibrio, uguaglianza di opportunità, equità sociale e di genere nella partecipazione, benessere comune, responsabilità, giustizia sociale, distribuzione e redistribuzione dei prodotti e dei beni sociali».

Figura 3. Miniera di San Cristobal, la più grande della Bolivia (Mineria Pan-Americana)

4. Buen vivir in Perù


A differenza di Bolivia ed Ecuador, il Perù non ha incorporato concetti propri del Buen Vivir o Sumac kawsay in quechua, a livello politico-istituzionale, ma diversi gruppi indigeni hanno cominciato ad utilizzarlo all’interno del loro progetto politico di auto-determinazione e protezione del loro territorio e dei propri diritti culturali. Nelle parole di R. Merino[6]: “il Buen Vivir diventa uno strumento culturale utile alla formulazione di politiche indigene”, un mezzo utilizzato dalle comunità per negoziare con lo Stato e con il mercato.


Col tempo si è andata configurando una vera e propria piattaforma politica che fa del Buen vivir la sua bandiera, in opposizione all’approccio dominante delle classi politiche peruviane secondo il quale la crescita del Paese e il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, quello che chiamiamo “politiche di sviluppo” possono originarsi solo attraverso l’estrattivismo, ovvero lo sfruttamento delle immense risorse naturali presenti.


Le comunità native disconoscono questo concetto di sviluppo, considerato troppo vincolato ad una mera redistribuzione di denaro che dovrebbe portare maggiori opportunità ai singoli individui. Si tratta di un individualismo estraneo allo stile di vita delle comunità, che danno invece molta più importanza ai loro collettivi di appartenenza e al rapporto con la natura.


Un’iniziativa “particolare” legata al termine è il progetto di un marchio o “sello del buen vivir” dovrebbe contraddistinguere in futuro quei prodotti che rispettano alti standard ambientali e sociali, contribuendo a proteggere la biodiversità e a rispettare l’integrità dei territori indigeni e della loro cultura[7].


Non mancano azioni da parte di istituzioni locali, che sebbene abbiano una portata limitata, assumono una forte valenza simbolica. L’8 settembre di quest’anno il sindaco di Ocuviri, nella regione Puno, ha riconosciuto la Madre Agua come essere vivente soggetto di diritto, attraverso ordinanza municipale. L’obiettivo è rafforzare le politiche di protezione che non possono più limitarsi a puntare ad un “miglior sfruttamento delle risorse naturali”, ma devono riconoscere e dare nuova vitalità alla cosmovisione andina in ottica di relazioni tra l’acqua e gli altri esseri viventi.

Figura 4. Fonte Perù Travel

5. Buen Vivir e politiche economiche


Se Ecuador e Bolivia hanno portato il concetto di Buen Vivir fino ai testi costituzionali, le politiche economiche di questi due Paesi non sono state però pienamente coerenti.


Nel caso dell’Ecuador, ad esempio, la rappresentazione della natura come soggetto di diritto, oltre a simboleggiare la principale innovazione giuridica della Costituzione, è stata anche la causa di numerosi scontri interni allo stato tra il governo, da una parte, e la sinistra più radicale e parte del movimento indigeno, inizialmente alleato di Correa, dall’altra. Infatti, sin dalla pubblicazione del Plan nacional de desarrollo 2013-2017 era chiaro come la ricetta proposta per lo sviluppo si basasse ancora sull’investimento nell’industria mineraria («se plantea usar el ex- tractivismo para salir de l’extractivismo»), facendo così emergere le difficoltà del passaggio da un patto sociale in armonia con la natura, approvato dalla maggioranza della sua popolazione nella Costituzione del 2008, verso la profonda trasformazione che comporta dare vita al Sumak Kawsay con il nuovo regime di sviluppo sociale e solidale che sostiene e garantisce la promozione del pieno esercizio dei diritti con giustizia intergenerazionale.


In Bolivia, Morales pur facendo dichiarazioni pubbliche sull’importanza del Buen Vivir e della distruzione del capitalismo predatorio, ha proposto un modello economico industriale, fondato sulla nazionalizzazione delle materie prime del Paese. Ha così intensificato i grandi progetti minerari nel Paese, deludendo le aspettative di quei movimenti indigeni-popolari che avevano trovato espressione nell’Assemblea costituente.


Alle critiche mosse in tal senso, Morales e i suoi alleati hanno risposto con un argomento chiave che si può riassumere come: “no habrà Buen Vivir sin sobrevivir” ovvero “non ci sarà Buen Vivir senza la sopravvivenza”[8], intesa come sopravvivenza economica. La giustificazione di Morales è che senza prima garantire un alto rendimento economico del Paese, non si può rispondere alle istanze dei movimenti sociali, in primis delle rivendicazioni dei gruppi indigeni. Al contrario, scenari di crisi economica favoriscono spesso l’emergere delle destre, tradizionalmente poco sensibili a queste istanze.

Figura 5. Evo Morales e Rafael Correa, Asamblea General de la OEA, Cochabamba, Bolivia, 4 de Junio 2012 (Cancilleria Ecuador)

6. Conclusioni


In Ecuador e Bolivia, nonostante le loro Costituzioni celebrino il Buen Vivir, e in Perù, dove sono stati movimenti indigeni, ONG e altri movimenti sociali di base a farsene portavoce, si continua a adottare misure economiche di tipo neocapitalista. La stessa sinistra che si dichiara “progressista”, in tutto il continente sudamericano, si è spesso giustificata definendole misure temporali ma necessarie per affrontare le disuguaglianze sociali. Ma così facendo, sembra finora rimandare ad un futuro remoto politiche concrete coerenti con i principi del Buen Vivir.


L’estrattivismo come “male necessario” viene rigettato da chi crede che un’alternativa allo sviluppo, così come queste aree lo hanno conosciuto finora sia non solo auspicabile, ma urgente. Rovesciando la logica di Morales: “non è possibile sopravvivere senza il Buen Vivir”.


Il problema del concetto del Buen Vivir è il suo carattere finora prevalentemente teorico, quasi “romantico” nel suo richiamo a realtà comunitarie indigene. Comunità che rischiano di essere idealizzate e ridotte a folclore, invece che prese davvero come spunto e modello per costruire alternative concrete ai sistemi dominanti.


Ci aiuta a comprendere queste manifestazioni apparentemente contraddittorie del Buen Vivir Eduardo Gudynas[9] che distingue tra: i) il suo uso sostanziale, come proposta di superamento dello sviluppo convenzionale: ii) l’uso limitato come critica verso alcuni tipi di sviluppo per difenderne altri, come nel caso della Bolivia in difesa di uno sviluppo definibile come “comunitario-comunista” versus lo sviluppo capitalista e iii) l’uso generico in cui il concetto è ridotto a mera etichetta pubblicitaria o di propaganda.


Nonostante tutto ciò, in più occasioni i movimenti indigeni hanno stimolato o guidato una urgente richiesta pubblica di cambiamento all’interno degli Stati. Richiesta che ha come denominatore comune l’opposizione al sistema neocapitalista dominante, che relega queste aree a fornitori di materie prime o monoculture, ormai da secoli, “mercantilizzando” la natura e celebrando l’individualismo a danno del senso di comunità.


Oggi le crisi economiche, la crisi del Covid, e la crisi climatica rendono evidente che siamo di fronte a una fase di rottura, si apre quindi anche un’opportunità globale di disegnare alternative nuove rispetto alle strategie convenzionali, spesso fallimentari, di sviluppo. Le idee che sostengono il concetto di Buen Vivir possono offrire una guida a questo sforzo creativo di alternative allo sviluppo, come lo abbiamo conosciuto finora.


(scarica l'analisi)


Buen Vivir alternativa andina allo sviluppo - Rondoni e Forlenza
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Note

[1] Serena Baldi e Moreno Zago, Le sfide della sostenibilità. Il buen vivir andino dalla prospettiva europea, Filodirittoeditore, 2014 [2] Serena Baldi e Moreno Zago, Le sfide della sostenibilità. Il buen vivir andino dalla prospettiva europea, cit. [3] Ashish KothAri, Ariel sAlleh, Arturo escobAr, Federico demAriA y Alberto AcostA (coords.), Pluriverso. Un diccionario del posderarrollo, Icaria editorial, 2019 [4] Serena Baldi e Moreno Zago, Le sfide della sostenibilità. Il buen vivir andino dalla prospettiva europea, Filodirittoeditore, 2014 [5] Eduardo Gudynas, Derecho de la Naturaleza. Ética biocéntrica y políticas ambientales, Abya Yala 2016. [6] Roger Merino (2016) An alternative to ‘alternative development’?: Buen vivir and human development in Andean countries, Oxford Development Studies, 44:3, 271-286. [7] Si tratta di un’iniziativa portata avanti dalla Camera di commercio dei popoli indigeni del Perù (CCPIP), il Grupo Impulsor de Bionegocios Amazónicos (GIBA), la Associazione per la ricerca e lo sviluppo integrale (Aider) e di altre organizzazioni del settore privato. [8] Makaran, Gaya (2013). Entre el buen vivir y el sobrevivir, modelos de desarrollo en la Bolivia de Evo Morales. Centro de Investigaciones sobre América Latina y el Caribe, UNAM. [9] Fernando García-Quero, Jorge Guardiola, (2016). El Buen Vivir como paradigma societal alternativo. Economistas sin fronteras.


Bibliografia/Sitografia

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