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Benedetto Craxi nel panorama politico degli Anni 80

Aggiornamento: 4 set 2021

Benedetto Craxi, detto Bettino, è uno dei più importanti, nonché controversi, personaggi della storia della nostra Repubblica, della quale è stato Presidente del Consiglio dei Ministri dal 4 agosto 1983, fino al 18 aprile 1987. Durante i due governi da lui presieduti, si assistette a una serie di avvenimenti, sia di politica interna che estera che, ancora oggi, contribuiscono quasi ad alimentare il mito che il suo nome porta.


1) Biografia ed attività politica


Craxi nasce a Milano nel 1934, da famiglia socialista, e muove i primi passi nella politica italiana durante gli anni universitari. Tesserato nel Partito Socialista Italiano dall’età di 17 anni, intraprende la carriera politica diventando dirigente della Federazione Giovanile. Fin dall’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956 esprime il suo dissenso nei confronti dell’URSS, manifestando quello che sarà uno dei temi principali della sua segreteria. Eletto per la prima volta deputato nel 1968, divenne leader del partito socialista in seguito al tonfo di questo alle elezioni politiche del 1976, quando il PSI cade sotto la soglia psicologica del 10%. La segreteria Craxiana, cominciata in circostanze piuttosto straordinarie, si distinse per il forte mutamento impresso alla natura dell’allora Partito Socialista. Un profondo revisionismo ideologico volto ad abbandonare l’idea marxista di un comunismo burocratico e totalitario, andando ad abbracciare un socialismo democratico e liberale.


Le differenze a livello ideologico si rifletterono anche sul pratico, come dimostrato dal comportamento tenuto durante il rapimento di Aldo Moro. Craxi, infatti, sposò una “soluzione umanitaria”, addossandosi le critiche del “partito della fermezza”[1], di cui faceva parte anche il PCI. Da un punto di vista comunicativo, Craxi demarcò una forte cesura dal vecchio stile comunicativo politico, andando a svecchiare il linguaggio con il quale la politica si esprimeva, e fu attivamente convolto in quel processo di commistione tra politica e spettacolo, noto come politainment. Craxi stravolse il paradigma comunicativo, portando avanti un processo di personalizzazione e mediatizzazione della politica. L’attivismo e la capacità di Craxi di sparigliare le carte in una politica immobile diedero al Partito Socialista un ruolo centrale nonostante le sue dimensioni ridotte. Ciò permise a Craxi, dopo il successo elettorale del 1983, di ottenere la presidenza del Consiglio alleandosi con la Democrazia Cristiana, diventando il primo socialista a ricoprire questo incarico. La coalizione che sosteneva il governo, formata dai cinque partiti maggiori esclusi i comunisti, divenne famosa come “Pentapartito”.


1.1 I governi Craxi


Craxi interpretò la Presidenza del Consiglio con un piglio nuovo e diverso rispetto al passato: durante il suo governo il numero di decreti aumentò considerevolmente, grande novità di quel periodo che non mancò di suscitare polemiche. Craxi cercò anche di riformare le istituzioni, fallendo, e chiese più volte di modificare le regole sul voto segreto per mettere al riparo la sua maggioranza dai cosiddetti “franchi tiratori”. Il suo fu, per certi versi, un modello accentratore e “presidenziale” che anticipò molto la tendenza dei decenni successivi, sia da parte del centrodestra che del centrosinistra. In politica estera Craxi confermò l’appartenenza al blocco occidentale e proseguì il tradizionale europeismo che aveva caratterizzato l’Italia fino a quel momento.


Questa tendenza si era già palesata nel 1979 con la questione dei missili Cruise, che gli Stati Uniti volevano installare in Europa per rispondere a un ammodernamento dell’arsenale sovietico. L’evento che più influenzò il giudizio sulla politica estera di Craxi fu la crisi di Sigonella del 10 ottobre 1985 quando, a seguito del dirottamento dell’Achille Lauro, venne ucciso e gettato in mare un turista americano disabile. Relativamente alla politica economica, uno dei maggiori successi di Craxi fu la lotta all’inflazione, problema rilevante dell’economia italiana di quegli anni. Si riuscì a ottenere buoni risultati in parte grazie al decreto che tagliava la cosiddetta “scala mobile[2], con cui si disinnescò la spirale dell’inflazione. Questa riforma, benché concordata con i sindacati, fu criticata duramente dal PCI e causò un’intensa polemica. Poco dopo l’introduzione del decreto, al congresso socialista di Verona nel 1984, avvenne il famoso episodio dei fischi a Berlinguer: il segretario comunista era ospite con una delegazione del suo partito e al suo ingresso fu accolto con fischi e grida dai partecipanti. Craxi commentò il comportamento della platea prima dispiacendosi della mancanza di ospitalità, salvo poi attribuirgli un significato politico: “So bene che non ci si indirizzava a una persona, ma a una politica. E se i fischi erano un segnale politico, che manifestava contro questa politica, io non mi posso unire a questi fischi solo perché non so fischiare”.


Lo scontro sul taglio della scala mobile si risolse perché il PCI fece campagna per un referendum abrogativo, che però non passò: il decreto del governo rimase in vigore. Su altri fronti, come deficit e debito pubblico, il governo Craxi e in generale i governi degli anni Ottanta non ottennero altrettanti successi: tra il 1980 e il 1990 il rapporto debito/PIL passò dal 55 al 95%, mentre il deficit rimase quasi sempre al di sopra del 10% del PIL. Dopo la caduta del suo secondo governo, nel 1987, Craxi non avrebbe più ricoperto incarichi istituzionali e si concentrò soprattutto a mantenere le posizioni di potere che il PSI si era guadagnato. La percezione del PSI cominciò a cambiare: da partito riformista e attento ai cambiamenti della società, passò a essere visto come un partito organico al sistema di potere. Craxi, in particolare, non ebbe la lungimiranza di prevedere il rigetto collettivo verso la politica che stava avvicinandosi assieme alle prime inchieste giudiziarie di “Mani Pulite”.


1.2 Il processo Edimont e l’autoesilio


Quando nel 1991 ci fu il referendum abrogativo per ridurre le preferenze di voto da 3 a 1, gran parte dei politici si dichiararono contrari, e Craxi invitò gli elettori ad andare al mare (era una domenica di giugno). Al contrario, quel referendum si caricò di significati politici che andavano ben oltre ciò che il quesito proponeva, e passò con il 95 per cento di “sì”. Nel febbraio del 1992 venne arrestato Mario Chiesa, esponente milanese del PSI che Craxi definì “mariuolo”. Alle elezioni di aprile persero consensi tutti i partiti maggiori, compreso il Partito Democratico della Sinistra recentemente nato dallo scioglimento del PCI, mentre la Lega Lombarda prese quasi il 9 per cento. Nella società cresceva l’aspettativa sulle inchieste per corruzione avviate dalla procura di Milano, che si stavano estendendo sempre di più ed erano amplificate enormemente dalla costante copertura mediatica. I pubblici ministeri si accorsero di avere davanti un sistema corruttivo ampio, che non riguardava solo la politica. L’allora magistrato Antonio Di Pietro, nel descrivere i finanziamenti illeciti ai partiti, parlò di “dazione ambientale”[3]. In tutto questo Craxi, coerentemente con il suo carattere, fu uno dei pochi a esporsi[4]. Secondo la visione di Craxi, il problema era politico e in quanto tale necessitava di una soluzione politica.


Tra la fine del 1992 e l’inizio del 1993 Craxi ricevette una serie di avvisi di garanzia. Il 29 aprile 1993 la Camera respinse quattro delle sei autorizzazioni a procedere contro di lui, causando una notevole indignazione che portò al famoso episodio del lancio delle monetine, il 30 aprile. Nel 1993 Craxi fu costretto a dimettersi dalla segreteria del partito. Nello stesso anno ebbe inizio il processo più importante nell’ambito delle inchieste di Mani Pulite, il processo Enimont, in cui l’unico imputato era Sergio Cusani, fondatore di una società finanziaria e accusato di aver fatto da intermediario nel versamento di una tangente da 150 miliardi di lire. In questo processo, furono ascoltati quasi tutti i maggiori dirigenti politici dell’epoca come testimoni e imputati in reati connessi, tra cui Forlani, Craxi, Gianni De Michelis e il repubblicano Giorgio La Malfa. Craxi diede la sua testimonianza denunciando il ruolo dei partiti di opposizione e il fatto che tutto il sistema politico era a conoscenza dei meccanismi corruttivi[5]. Nel 1994 Craxi non fu ricandidato e con l’inizio della nuova legislatura, il 15 aprile, cadde la sua immunità parlamentare. Il 5 maggio uscì dall’Italia, cercando rifugio in Francia. Andò, infine, in Tunisia, dove possedeva una casa e dove aveva un altro amico, il presidente Ben Ali, che gli garantì di non concedere mai l’estradizione all’Italia. Mentre si trovava lì ricevette due condanne, confermate dalla Cassazione, per finanziamento illecito e corruzione.


Craxi morì, a causa delle complicazioni del diabete di cui soffriva da anni e di un tumore, il 19 gennaio 2000 ad Hammamet.


2) La politica estera italiana nei governi Craxi


Nell’analizzare le scelte internazionali compiute negli anni Ottanta, è necessario sottolineare il carattere di transizione di quel decennio, vero e proprio momento di passaggio tra due sistemi internazionali molto diversi, ovvero tra l’ultima fase della guerra fredda e il periodo successivo alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. L’“eccezionale attivismo” espresso da Mammarella caratterizzò la politica estera italiana nella fase centrale del decennio, collegato soprattutto al primo governo italiano a guida socialista nella storia della Repubblica. Si ebbe, infine, un dualismo tra una tendenza volta a privilegiare la dimensione arabo-mediterranea da un lato e una più legata alla dimensione euro-atlantica dall’altro, tra le quali i governi Craxi trovò un non facile equilibrio.


Se si analizzano i vari momenti della politica estera italiana durante il decennio che va dall’invasione sovietica dell’Afghanistan e la decisione NATO del “doppio binario[6] nel dicembre 1979 fino alla dissoluzione dell’Unione Sovietica nel dicembre 1991 è evidente la presenza di elementi più legati alla Guerra Fredda, quanto di altri meno legati alla logica del confronto bipolare. È, tuttavia, tutt’altro che facile individuare un momento di separazione tra la fine di una impostazione e la definitiva affermazione dell’altra. I governi guidati da Craxi si trovarono a gestire proprio il momento in cui la transizione dall’una all’altra fase era in pieno sviluppo, e le contraddizioni più accentuate. Si stava assistendo a una radicale trasformazione del nesso tra sistema internazionale e sistema politico interno. La decisione di schierare gli euromissili a Comiso può essere interpretata seguendo il modello della guerra fredda. La scelta di schierare i Cruise è stata spesso ricondotta quasi esclusivamente al panorama interno. Sicuramente il tema della “solidarietà occidentale” e della necessità che l’Italia adempisse ai suoi ruoli di partner dell’Alleanza Atlantica fu senz’altro sfruttato dai politici della maggioranza pentapartitica per influire sul corso della politica nostrana. L’intento era quello di allontanare la possibilità di un ritorno alla logica del Compromesso Storico e mantenendo il Partito Comunista all’opposizione obbligandolo, di fatto, ad operare una scelta tra l’isolamento o completare il processo di trasformazione e sganciamento dall’Unione Sovietica. La stessa scelta può, però, avere una chiave di lettura diversa, ovvero la necessità di dimostrare la rinnovata vitalità della politica estera italiana, che aveva attraversato una fase di stagnazione nel corso della quale il “peso specifico” nostrano si ridusse considerevolmente. La decisione del dicembre del 1979 serviva al duplice scopo di affermare il ritrovato dinamismo e di mettere in difficoltà il PCI[7].


Craxi mostrò una grande abilità in questa partita, andando a sfruttare la vicenda degli Euromissili per mostrare all’alleato americano che, dal punto di vista della affidabilità, la sua leadership valeva quanto quella di un democristiano, usando così la sua fermezza in ambito atlantico sia contro il PCI che contro la DC stessa. È doveroso sottolineare che scelte analoghe, fatte sulla base di una combinazione di considerazioni di politica interna ed estera, erano state prese per quasi tutto il corso della storia dell’Italia repubblicana. Gli altri temi centrali nell’evoluzione della politica estera degli anni Ottanta, come la questione europea, confermarono il crescente allargamento del consenso interno nei confronti delle scelte di politica internazionale e, di conseguenza, la progressiva riduzione dell’elemento conflittuale legato agli schemi tipici della Guerra Fredda.


2.1 Un nuovo sguardo all’Europa, all’URSS e al Medio Oriente


L’europeismo, in particolare, si avviava a divenire un elemento comune di tutte le forze politiche, e sul quale il dialogo tra forze di governo e opposizione si svolse con relativa semplicità. La spinta impressa dal Governo al processo di costruzione dell’Europa con l’utilizzo del voto a maggioranza al Consiglio Europeo di Milano del 1985, per indire una conferenza intergovernativa atta a lavorare a un progetto di unione politica, costituì un passaggio chiave verso la condivisione decisionale[8].


Verso la metà degli Ottanta si completò il processo di allineamento del PCI sulla base di un europeismo improntato all’ispirazione federalista sostenuta dal Governo, in pieno accordo con il progetto di sviluppo lanciato dal Parlamento Europeo e da Altiero Spinelli negli anni precedenti[9]. Analogo ragionamento è possibile relativamente al sostegno dato alla Perestrojka del nuovo segretario del Partito Comunista Sovietico Michail Gorbaciov, la cui ricerca di una politica di distensione con l’Occidente trovò in Italia ampio sostegno[10]. In aggiunta, la politica in Medioriente perpetrata dai governi Craxi e Andreotti, in particolare la considerazione rivolta alle ragioni del movimento guidato da Yasser Arafat, fu un ulteriore momento di elaborazione di una politica estera slegata dai parametri della Guerra Fredda. Questo processo richiese un periodo di adattamento lungo perché, secondo l’ambasciatore Ferraris, “la sinistra non riesce a liberarsi delle perduranti diffidenze, fino all’ostilità, verso ogni decisione atlantica o “occidentale”: il condizionamento sovietico continua a stendere la sua ombra[11].


Se la ricerca di una collaborazione tra Partito Comunista con la DC e le altre forze rendeva necessario iniziare a porre delle basi per una politica estera di sicurezza che potesse derivare dalle preoccupazioni del “fronte interno”, contando anche sul sostegno degli stessi comunisti, non era facile, per questi, accettare una nuova visione della tutela della sicurezza nazionale che implicasse una politica di difesa posta su di un piano più alto rispetto al passato. L’Europa, il dialogo con il mondo arabo e il sostegno per la Perestrojka erano scelte sulle quali era fattibile trovare una piattaforma comune, mentre molte scelte di politica di difesa continuarono a costituire una discriminante tra governo e opposizione per quasi tutti gli anni Ottanta. Si sarebbe arrivati a una vera e propria sintesi solamente negli anni Novanta.


3) Sigonella e la crisi con l’alleato americano


L’episodio di Sigonella è interessante non solo perché portò a uno “scontro” diretto tra l’Italia e il suo principale alleato dell’epoca, ma anche perché è possibile osservare, all’atto pratico, gli elementi caratterizzanti della dottrina politica italiana degli anni Ottanta.

La crisi di Sigonella, successiva al dirottamento dell’Achille Lauro, fu l’episodio che più incarna l’azione di politica internazionale che il primo governo Craxi, con Andreotti come ministro degli esteri, promosse soprattutto nell’area mediterranea[12]. Craxi aveva ben presente il timore di una mancata risoluzione della questione palestinese, e riteneva che né gli Stati Uniti né l’Europa si fossero resi conto che la situazione si stava facendo sempre più pesante e rischiosa per la stabilità e la sicurezza del bacino.


Quando il 7 ottobre 1985 si ebbe la notizia del dirottamento della nave da crociera italiana, diretta in Israele, questa venne accolta con molta preoccupazione. La situazione degenerò immediatamente quando i terroristi, armati, uccisero e gettarono in mare Leon Klinghoffer, cittadino americano di fede ebraica. Nelle ore che seguirono la trattativa coi dirottatori, il Governo italiano approntò una strategia atta ad isolare i terroristi da un punto di vista politico, coinvolgendo direttamente Arafat e tutto il vertice palestinese, oltre ad Abu Abbas, capo della fazione di cui facevano parte i terroristi[13].


Parallelamente all’avvio dell’operazione Margherita, intervento militare volto a liberare l’Achille Lauro, vennero avviate delle trattative coinvolgendo sia la Siria che l’Egitto. Soprattutto la collaborazione con Il Cairo si rivelò determinante, giacché permise all’Achille Lauro di attraccare presso Porto Said[14], garantendo anche un salvacondotto che avrebbe consentito ai terroristi di essere trasferiti a Tunisi per essere processati dall’OLP. La notizia dell’uccisione del passeggero americano fece mutare totalmente la situazione, e l’aereo egiziano che trasportava i quattro miliziani del Fronte di Liberazione della Palestina, il mediatore Abu Abbas e il gruppo di militari egiziani di scorta venne fatto atterrare alla base di Sigonella da due F-14 statunitensi che lo avevano intercettato.


L’azione del Governo, incalzato dalla pressione americana condotta sia da Reagan che dall’ambasciatore Maxwell Rabb, il quale chiedeva l’estradizione dei terroristi e di Abu Abbas, fu dettata dalla necessità di salvaguardare gli obiettivi di sicurezza italiana primari nel Mediterraneo unendo, al contempo, la “fedeltà atlantica”. Il fatto che gli uomini della Delta Force vennero richiamati, mentre circondavano l’aereo atterrato a Sigonella, dimostra la coerenza italiana nel voler accertare i fatti, giudicare i terroristi e tutelare la sovranità egiziana, linea peraltro successivamente appoggiata anche dallo stesso Reagan, a prescindere dal fatto che richieste differenti fossero poste dall’alleato americano. Craxi e Andreotti, così facendo, ritagliarono all’Italia un ruolo di collegamento fra civiltà atlantica e il mondo arabo, guadagnando la fiducia di diversi settori di quest’ultimo e, allo stesso tempo, mantenendo un rapporto saldo anche dopo l’incidente con l’alleato americano, dato che il nuovo attivismo nostrano era stato reso possibile proprio perché in sintonia con Washington[15].


Conclusioni


Nell’analizzare la politica estera dei governi a guida socialista durante gli anni Ottanta, è necessario ricordare un elemento fondamentale. Le scelte di Craxi di accettare gli Euromissili, di spingere il Consiglio Europeo di Milano verso una determinata scelta, di lavorare per facilitare il dialogo con Gorbaciov o la distensione nel Mediterraneo, non devono essere ricondotte tutte a una logica di attivismo personalista, elemento tipico di Craxi, ma vanno inquadrate in un contesto più ampio che consenta di spiegare perché quell’attivismo fu possibile, passando dalle caratteristiche empiriche del secolo, alla politica interna (vera e propria parte integrante del processo) agli episodi in politica estera, su tutti Sigonella, gli Euromissili e il processo di integrazione europeo.


Una volta ribadita fermamente l’appartenenza italiana al blocco occidentale, tramite importanti garanzie all’alleato americano nonostante un governo a guida Socialista, i governi Craxi poterono sfruttare le due tendenze parallele del maggior dialogo tra le forze politiche interne e della ricerca di una politica estera “nazionale” e, quindi, a muoversi sulla scena internazionale con maggiore autonomia e dinamicità.


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Note

[1] https://rep.repubblica.it/pwa/longform/2018/04/19/news/sequestro_moro_ezio_mauro-194324892/ [2] Era un sistema per cui gli stipendi erano indicizzati automaticamente all’aumento dei prezzi, cioè all’inflazione. Quando i prezzi aumentavano, aumentavano anche i salari, il che portava ad un nuovo aumento dei prezzi, lasciando invariato il potere d’acquisto. [3] Un sistema talmente rodato e automatico che gli inquirenti facevano fatica a distinguere se si trattasse di imprenditori corruttori o politici concussori [4] Dal suo discorso alla Camera, durante la cerimonia di giuramento del governo Amato del 3 luglio 1992 “E tuttavia, d’altra parte, ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale. I partiti, specie quelli che contano su apparati grandi, medi o piccoli, giornali, attività propagandistiche, promozionali e associative, e con essi molte e varie strutture politiche operative, hanno ricorso e ricorrono all’uso di risorse aggiuntive in forma irregolare od illegale. Se gran parte di questa materia dovesse essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest’aula, responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro [5] Alcune udienze del processo furono trasmesse in diretta televisiva, e venne definito dai giornali «il padre di tutti i processi», o anche «il processo alla Prima Repubblica». [6] Ovvero l’offrire al Patto di Varsavia una limitazione reciproca di missili balistici a medio raggio con la minaccia che, in caso di disaccordo, la NATO avrebbe dispiegato più armi nucleari a medio raggio nell'Europa occidentale. [7] Il quale giocò la carta dell’“opposizione leale”, con lo scopo di rivendicare il diritto a contestare la scelta di schierare i missili, pur rimanendo fedele alla NATO. Per quei partiti che miravano a impossibilitare il ritorno del PCI nella maggioranza, fu facile accusare il Partito Comunista di doppiezza e mantenerlo ai margini. [8] Nello specifico, il cancelliere Helmut Kohl annunciò al Bundestag la presentazione di un progetto franco-tedesco di Trattato europeo orientato all’istituzione di un'area di "sicurezza comune". La delegazione britannica presentò un documento atto a ribadire le idee già espresse nel memorandum "L'Europa: l'avvenire", qui espresso in 9 articoli che non modificavano sostanzialmente i meccanismi comunitari, e sottolineavano l'obiettivo di impedire un rafforzamento politico della CEE. Presa alla sprovvista dalla proposta franco-tedesca, la delegazione britannica tentò di giungere a un accordo con Francia e Germania per impedire l'ipotesi di una riforma dei Trattati. I Paesi del Benelux, assieme all’Italia che con Andreotti, l’allora Ministro degli Esteri e presidente della CEE di turno, dichiararono che non avrebbero mai accettato un accordo al ribasso. Successivamente, Kohl presentò un documento atto a chiedere la convocazione di una Conferenza intergovernativa per la riforma dei Trattati, rapidamente approvato da Mitterrand, che trasformò così l’ala di minoranza del Benelux in maggioranza. L'Italia forzò la mano proponendo di votare la proposta tedesca, poi accolta a maggioranza, con i voti contrari di Gran Bretagna, Danimarca e Grecia. [9] Il 14 febbraio del 1984 venne discusso ed approvato, in seno al Parlamento Europeo, il “Progetto di trattato che istituisce l'Unione europea”, anche conosciuto come “Progetto Spinelli”. [10] Si vedano: https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/11/18/viaggio-lampo-roma-del-capo-del-cremlino.html & https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/11/28/italia-puo-avere-fiducia-in-noi.html. [11] L.V. Ferraris, Intervento, in E. Di Nolfo, La politica estera italiana negli anni Ottanta, p. 322 [12] All’epoca teatro di numerose tensioni fra i paesi arabi ed Israele [13] Il quale, peraltro, rivendicava la liberazione di alcuni prigionieri dalle carceri israeliane [14] Che permise di salvare equipaggio e passeggeri [15] Diodato E., Il vincolo esterno. Le ragioni della debolezza italiana, pp.90-91


Bibliografia cartacea


Diodato E., Il vincolo esterno. Le ragioni della debolezza italiana

L.V. Ferraris, Intervento, in E. Di Nolfo, La politica estera italiana negli anni Ottanta

R. Aron, Gli ultimi anni del secolo

B. Craxi, “La notte di Sigonella. Documenti e discorsi sull’evento che restituì orgoglio all’Italia”.


Bibliografia digitale


https://sites.google.com/view/spistoriapoliticainformazione/storie-della-repubblica/il-sequestro-dellachille-lauro

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