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Una battaglia in nome di Najiba: un racconto per le donne afgane

Aggiornamento: 26 apr 2022

Hussain Rezai, fondatore e direttore della Fondazione Najiba, è stato un attivista a fianco delle donne afghane per anni. Due anni dopo la perdita di Najiba - la sua fidanzata uccisa brutalmente in un attacco suicida da parte dei talebani - fondò la Fondazione Najiba nella provincia di Daykundi, la città natale della sua fidanzata. La fondazione gestiva la Najiba Public Library, il Najiba Computer Lab, il Najiba Library Girls Volleyball Team e stava anche implementando programmi culturali ed educativi dal luglio 2019 fino alla caduta del governo dell'Afghanistan da parte dei Talebani il 15 agosto 2021.


In seguito al crollo del governo afgano, anche la Fondazione Najiba è stata attaccata dai talebani. In questo attacco, la biblioteca è stata parzialmente distrutta e l'attrezzatura del laboratorio informatico saccheggiata. Da allora, la Fondazione non è più accessibile.


Adesso in Italia, Hussain non ha però perso la speranza e racconta la sua storia in cerca di giustizia e difesa del gruppo etnico più perseguitato nella storia dell'Afghanistan, gli Hazara.


Puoi raccontarci la tua storia?


Vorrei partire da un punto fondamentale della mia vita: la Fondazione Najiba. Abbiamo fondato la Fondazione nel luglio 2019 per mantenere viva la memoria di Najiba, la mia compagna. È un ricordo tragico: è stata brutalmente uccisa in un attentato suicida compiuto dai talebani il 24 luglio 2017. Questo attacco ha causato la morte di 36 persone, tra cui 16 dipendenti del Ministero delle Miniere e del Petrolio in Afghanistan.


Najiba Bahar, la mia fidanzata, che era tornata dal Giappone negli ultimi mesi, era tra loro. Stavano andando al loro ufficio la mattina presto e il loro autobus è stato preso di mira dall'attentatore suicida dei talebani. È stata una notizia scioccante non solo per me, ma anche per la sua famiglia, per i suoi amici e per tutta la nostra comunità.


Questa non è solo la mia storia. Ci sono centinaia e migliaia di storie simili in Afghanistan.


Ci sono stati attacchi suicidi, al mattino o al pomeriggio, ogni giorno. Molte persone in Afghanistan hanno vissuto queste terribili tragedie e in particolare il popolo Hazara le sta ancora vivendo.


La maggior parte delle famiglie hanno perso almeno uno dei loro cari e ora lottano con troppi traumi e dolori. Abbiamo avuto momenti molto difficili negli ultimi anni in Afghanistan e purtroppo li abbiamo ancora. La paura di essere uccisi in attacchi suicidi o di essere un bersaglio ha sopraffatto la gente, in particolare quando si tratta del popolo Hazara.


La maggior parte degli attacchi avviene nella parte occidentale di Kabul, che è un'area popolata da Hazara. I gruppi terroristici attaccano gli Hazara e li uccidono solo per la loro etnia e per la loro religione.

L'idea di fondare la Fondazione Najiba è il risultato di un dolore e di un trauma che ci hanno accompagnato per anni. Così, abbiamo istituito la Fondazione per documentare il costo della guerra, mantenere viva la memoria di Najiba, e offrire opportunità educative per ragazze e ragazzi a Daykundi, che è una delle province più sotto servite e private dell'Afghanistan.


La cultura quindi come arma contro il fondamentalismo e l’estremismo dei talebani.


Per combattere contro i talebani, non abbiamo preso le armi. Abbiamo scelto la via dell'istruzione come via di uscita per lottare contro la violenza, contro i talebani e contro altri gruppi terroristici.


Crediamo che l'istruzione e la cultura siano le armi più potenti per cambiare il mondo e per combattere la violenza e l'estremismo. Come ho detto prima, abbiamo istituito la Fondazione per educare la nostra comunità, lottare contro i talebani e delegittimarli.


Vorrei anche cogliere questa opportunità per parlare di come abbiamo fondato la Biblioteca Najiba/Fondazione Najiba. Inizialmente abbiamo lanciato una campagna per la raccolta di libri, attrezzature e supporto finanziario tramite social media. La nostra campagna è continuata per quasi quattro mesi. In questo arco temporale ci siamo concentrati sulla nostra campagna online, su Facebook, Twitter e grazie alle altre piattaforme social.


Attraverso questa campagna, abbiamo raccolto circa 12.000 libri, alcune attrezzature usate ma anche donazioni da parte delle persone all'interno del Paese e da parte dalla diaspora Hazara fuori dell'Afghanistan.

Di conseguenza, nel luglio 2019, esattamente due anni dopo l'attentato suicida che ha ucciso Najiba, abbiamo aperto ufficialmente la Biblioteca Najiba nella sua città natale, nella provincia di Daykundi, nell'Afghanistan centrale.

Durante il primo anno di attività, ci siamo resi conto che più della metà dei visitatori e dei beneficiari della Biblioteca Najiba erano ragazze e donne. La biblioteca è stata accolta calorosamente dalla comunità locale in quanto non c'era una biblioteca in tutta la città prima di allora.


Poi abbiamo implementato numerosi programmi educativi e culturali tra cui programmi di capacity building, programmi di empowerment femminile, sessioni di lettura che hanno trasformato la Biblioteca Najiba in un centro culturale ed educativo nella provincia.


Pensando alla mia fidanzata, che si era laureata in Giappone nel campo dell'informatica, abbiamo anche creato un laboratorio di informatica. Il Najiba Computer Lab ha messo in piedi programmi informatici rivolti a studenti e funzionari della comunità locale.


Gradualmente abbiamo anche avviato sessioni online nel laboratorio di computer e collegato questo e la biblioteca con studenti oltre i confini geografici nazionali per permettere uno scambio con gli studiosi in Europa, Stati Uniti d'America, Australia e altre parti del mondo.


Non vorrei dimenticare di dirti che abbiamo fondato anche la squadra di pallavolo femminile Najiba Library per promuovere il ruolo delle donne nello spazio pubblico, la lotta contro la discriminazione di genere e contro le barriere culturali nella comunità locale.


Parlare di sport e donne in Europa non sarà sicuramente una sorpresa ma, in una società conservatrice come quella afghana, non sarà certo stato semplice.


In un primo momento, ricordo un atteggiamento di resistenza da parte delle famiglie nel permettere alle loro ragazze di far parte della squadra di pallavolo femminile ma abbiamo negoziato con loro e, alla fine, le abbiamo convinte.


Abbiamo fondato la prima squadra di pallavolo femminile nella provincia, ma più tardi c'erano più di 12 squadre di pallavolo femminile in città. Questa iniziativa è stata accettata anche dalla società.


La squadra di pallavolo femminile ha praticato la pallavolo dal 2019 fino al crollo del governo dell'Afghanistan da parte dei talebani, il 15 agosto 2021. Da quando questi hanno preso il potere, l'istruzione e lo sport sono vietati per le ragazze e le donne in Afghanistan.


Il 18 agosto, a soli tre giorni dal crollo del governo dell'Afghanistan, la Fondazione Najiba è stata attaccata dai talebani. La biblioteca è stata parzialmente distrutta e le attrezzature del laboratorio informatico sono state saccheggiate.


Da allora, i programmi della Fondazione Najiba, tra cui la biblioteca, il laboratorio informatico, la squadra di pallavolo femminile e altri programmi educativi e culturali sono stati tutti interrotti. Ho così deciso di lasciare il mio Paese quando ho saputo dell’attacco dei talebani alla Fondazione.

A proposito dei talebani, prima della loro ripresa del potere lo scorso agosto, chi era Hussain Rezai?


Ho lavorato in organizzazioni anticorruzione, nazionali e internazionali, negli ultimi 10 anni a Kabul. Allo stesso modo, dal luglio 2019, ho gestito volontariamente anche la Fondazione Najiba. La situazione prima della caduta del governo era allarmante e preoccupante.


Mi ricordo che il giorno della caduta del governo sono andato a casa per raccogliere e nascondere tutti i miei documenti relativi al lavoro, comprese le mie carte d'identità, i contratti e i certificati che potevano mettere a rischio la mia vita. Avrei anche voluto fare qualcosa per la mia piccola biblioteca personale, sapendo che i talebani sono contro l'istruzione e contro il libro in generale. Ma quando ho guardato nella mia biblioteca, c'erano troppi libri. Non era possibile seppellirli tutti e nasconderli da qualche parte. Ho deciso di lasciarli così com'erano. Poi ho lavorato sui miei dati sensibili. Ho pulito il mio computer e il mio telefono da tutti quei dati che avrebbero potuto rappresentare una minaccia per la mia vita. Ho copiato tutti i miei dati in un disco rigido, che ho poi dato alla moglie di uno dei miei amici per nasconderlo in un posto sicuro. Allo stesso modo, ho guardato i messaggi di Facebook, Whatsapp e quelli delle altre applicazioni e cancellato tutte le chat per far sì che i talebani non capissero il mio livello d’istruzione e il mio lavoro con il governo e con la comunità internazionale. Quando ho fatto tutte queste cose, sono andato a casa di uno dei miei amici in un angolo della città di Kabul. Mi sono nascosto lì per più di una settimana.


È stato un incubo non solo per me, per tutta la città.


E la tua famiglia?


Per una settimana ho vissuto nascosto nella casa di un amico e anche alla mia famiglia ho omesso informazioni sul mio soggiorno. Nessuno sapeva dove stavo vivendo. Nessuno osava uscire per vedere cosa accadeva a Kabul.


È meglio dire che la gente di Kabul è stata messa in quarantena dai talebani. Tutti erano a casa loro.

Dopo una settimana, o meglio dopo pochi giorni dal 15 agosto, ho appreso da uno dei miei colleghi della Fondazione che questa è stata attaccata dai talebani. Da allora, non abbiamo avuto accesso al nostro ufficio né alla biblioteca né al laboratorio informatico. La Fondazione non funzionava più. Ecco perché ho lasciato il Paese.


In passato, ho avuto l'opportunità di rimanere in Europa. Sono passato da Vienna nel 2018 ma non ci sono rimasto. Sono stato in altri Paesi europei in passato, ma non sono rimasto perché ho preferito contribuire in Afghanistan e far parte del cambiamento del mio Paese.


Quando ho deciso di lasciare il Paese ho sentito che non c’era più nulla da combattere. Nulla era rimasto per combattere né tanto meno per resistere. Quella decisione è stata presa in un momento in cui ero completamente sotto shock. Non potevo guardare ai talebani che hanno commesso troppe atrocità e troppi attentati suicidi nel Paese. Ho lasciato la mia terra anche sotto la pressione della mia numerosa famiglia mentre la stavo sostenendo in Afghanistan.


Vuoi raccontarci come sei arrivato in Italia?


Sono stato incluso nel piano di evacuazione italiano da uno dei miei parenti che vive a Venezia e da uno dei miei amici italiani con cui ho lavorato per tre settimane in Afghanistan nel 2012. Credo che gestisca la difesa online. Entrambi hanno cercato di includermi, inserendo nella lista anche mia sorella, mia madre, mio fratello, e i due nipoti che ho accudito per quasi 8 anni.


Nel giro di mezza giornata io e mia sorella siamo riusciti ad arrivare all'aeroporto di Kabul. Potreste aver visto attraverso i media italiani che c'era un'enorme folla di disperati fuori dall'aeroporto in quei giorni. Ho perso i miei due nipoti in quella folla, ma io e mia sorella siamo riusciti ad arrivare all'aeroporto.


Era il 23 agosto 2021 quando ho lasciato Kabul per il Qatar con un aereo militare americano. Abbiamo soggiornato due giorni in Qatar in un campo militare degli Stati Uniti e il 26 agosto siamo atterrati all'aeroporto internazionale di Roma. Dopo aver soggiornato qualche settimana a Roma, io e mia sorella ci siamo trasferiti a Perugia.

Qui, nel corso delle prime settimane, abbiamo avuto un problema di comunicazione. I funzionari non comunicavano chiaramente. Nessuno sapeva dirci quale fosse il programma per noi, né per le prossime settimane né per i prossimi due o tre mesi. Alla mancanza di comunicazioni sul fronte tecnico-giuridico, si aggiungevano le difficoltà di comprensione linguistica non conoscendo la lingua italiana. Ci aspettavamo di essere informati circa i regolamenti e le procedure per i rifugiati.


“Se abbiamo un reclamo, dove dobbiamo andare? Quali diritti abbiamo in questa situazione?” Sono molte le domande che volevamo porre. Nonostante queste difficoltà oggi però vorrei ringraziare l’Italia per il suo sostegno e per averci trasferito qui da Kabul. Ora siamo al sicuro.


Grazie Italia!


Secondo te, pensando a un’Italia che ti ha accolto, che ruolo ha oggi l’Unione Europea? Quale invece i Paesi vicini all'Afghanistan quindi Pakistan o Iran?


Credo che ci sia già da tempo una crisi di rifugiati in Afghanistan. Le persone vivono nella paura e sono anche preoccupate per il futuro del Paese. La gente ha perso la speranza. Tutti cercano di lasciare il Paese perché il popolo vive da anni nella guerra e nell'incertezza.


Alcune persone in Afghanistan dicono che "Siamo nati in guerra, cresciuti in guerra e moriremo in guerra" e questo è vero. L'Afghanistan è in guerra da quattro decenni. La gente è stanca della guerra. I genitori sono preoccupati per il futuro dei loro figli.


Negli ultimi 20 anni, anche in presenza della comunità internazionale, la popolazione ha sofferto di guerre, attacchi suicidi e uccisioni, in particolare per quanto riguarda il gruppo etnico Hazara, che ha una lunga storia di procedimenti penali, discriminazione e genocidio in Afghanistan.


Sono stati uccisi nelle autostrade, nelle scuole, nelle moschee, nei club sportivi, nella sala di nozze, nel reparto della maternità, nelle dimostrazioni e in altri luoghi proprio a causa della loro etnia e della loro religione.


Così ora, il popolo non vuole il regime dei talebani. Vogliono andare in Pakistan, in Iran o in Turchia e da lì in Europa. Il processo di evacuazione da parte degli Stati Uniti e dei Paesi europei era nel caos e senza successo. Tante persone da inserire nelle liste (o inserite), che sono davvero a rischio, sono rimasti in Afghanistan. Penso che sarebbe meglio portare alcune di quelle persone altamente a rischio, come giornalisti, attivisti per i diritti civili, funzionari governativi, attiviste femminili e squadre sportive femminili dall'Afghanistan in un posto sicuro. Chiedo ai Paesi europei di prendere una decisione su questo punto per garantire sicurezza alla vita di così tante persone.


Riguardo ad altre parti della tua domanda che riguardano l'Iran e il Pakistan, penso che questi abbiano una forte influenza in Afghanistan. I talebani sono appoggiati dal Pakistan. I talebani sono sotto il controllo del Pakistan. Alcuni studiosi ritengono che, questa volta, l'Afghanistan sia occupato dal Pakistan attraverso i talebani. È il Paese che sostiene, addestra ed equipaggia i talebani e muove anche pressioni per il loro riconoscimento a livello internazionale.


Anche l’Iran ha una forte influenza tra i talebani. Purtroppo, l'Afghanistan è diventato un campo di gioco e di battaglia per gli interessi dei Paesi regionali e per le superpotenze mondiali.


Grazie per le tue utili intuizioni, e per aver menzionato gli Hazara.

Per capire il presente, dobbiamo conoscere e comprendere il passato.


Vorrei approfondire adesso la storia degli Hazara, tenendo conto di alcuni dati che ci informano che più della metà fu massacrata nel 1893.


Uno dei principali fattori di discriminazione e persecuzione contro gli Hazara è la loro fede religiosa. Ci sono anche ragioni politico-economiche?


Gli Hazara sono uno dei principali gruppi etnici dell'Afghanistan. Dal punto di vista religioso, loro sono una minoranza sciita che ha subito molte pressioni, persecuzioni, discriminazioni nel passato secolo e mezzo. Hanno sperimentato il genocidio in diversi periodi della loro storia in Afghanistan.


Per capire meglio il passato e la situazione attuale degli Hazara, dovremmo iniziare dal 1880, quando l'Afghanistan era gestito da Amir Abdur Rahman, il quale mirava a stabilire un sistema molto centralizzato. A quel tempo c'erano diverse monarchie in Afghanistan e una di loro era Hazara.


Ci sono molti libri accademici che ricordano che quando Amir Abdur Rahman attaccò gli Hazara, più del 65% di questi furono uccisi in quel momento. Abdur Rahman Khan costrinse gli studiosi religiosi a emettere un decreto secondo il quale coloro che combattevano contro gli Hazara godevano del diritto di ucciderli e di prendere le loro terre. Questo è quello che è successo.


Le terre degli Hazara furono usurpate dai sostenitori pashtun del governo. Molti degli Hazara fuggirono in Paesi europei e anche in altri Paesi occidentali in quel momento. Molti di loro furono venduti come schiavi ai Paesi vicini. Tuttavia, altri hanno anche nascosto la loro identità o l’hanno cambiata rinnegando la loro fede religiosa a causa degli alti livelli di discriminazione, intimidazione e persecuzione in Afghanistan. In aggiunta a ciò, una campagna d'odio contro la gente Hazara iniziò in questo periodo e continuò in forme diverse fino ad ora. Così, c'era una Jihad contro il popolo Hazara. E sta accadendo da più di un secolo in Afghanistan.


In breve, vorrei anche dirti che se volete conoscere l'Afghanistan, dovreste conoscere la politica etnica o la dimensione etnica della politica in Afghanistan. Il potere è stato dominato dai politici pashtun negli ultimi secoli e per tanto tempo agli Hazara non è stato permesso di andare a scuola né di lavorare nel governo.


Questa situazione è continuata, con poche eccezioni, fino a quando gli Stati Uniti e la NATO hanno rovesciato il primo regime talebano nel 2001. Gli Hazara hanno subìto il secondo genocidio durante il primo regime talebano. I talebani hanno ucciso circa 200 persone in un giorno nella provincia di Bamyan. Hanno anche ucciso più di duemila civili a Mazar Sharif solo perché erano Hazara.


È possibile controllare il rapporto di Human Rights Watch per una verifica.


Data la storia nera, il 2001 è stato come un'alba per gli Hazara in Afghanistan. Dal punto di vista giuridico, la Costituzione dell'Afghanistan del 2004 ha concesso pari diritti a tutti i gruppi etnici in Afghanistan, ma la realtà racconta una storia completamente diversa. In altre parole, la discriminazione come problema storico nei confronti degli Hazara in Afghanistan non è ancora cessata. Ad esempio, la presenza nel governo è stata comunque molto limitata e per certi versi simbolica, anche a causa della presenza della comunità internazionale in Afghanistan. Negli ultimi vent'anni, agli Hazara non è stato permesso di lavorare nei ministeri chiave in Afghanistan. Se si parla di ministeri chiave in Afghanistan, ci sono quattro o cinque ministeri come il Ministero della Difesa, il Ministero degli Interni, il Ministero degli Affari Esteri e il Ministero delle Finanze.


Permettetemi di citare una frase di George Orwell che può spiegare meglio la situazione: "Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri". Nonostante queste sfide, abbiamo ottenuto molto. Per la prima volta, abbiamo avuto uno spazio libero e democratico nel quale abbiamo potuto protestare e gridare contro la discriminazione e contro altri problemi che avevamo in Afghanistan. Le ragazze e i ragazzi Hazara hanno avuto la possibilità di andare a scuola e all'università.


Oltre le donne, le categorie più vulnerabili o a rischio, a fare oggi le spese del ritiro delle truppe straniere rischiano quindi soprattutto gli Hazara. Il tuo appello?


So che tutte le persone in Afghanistan hanno sofferto per la guerra. Ciò che differenzia la sofferenza degli Hazara dalla situazione generale dell'Afghanistan è che gli Hazara soffrono a causa della loro etnia e religione.


Negli ultimi anni, i gruppi terroristici talebani hanno ucciso tantissimi civili Hazara in luoghi non militari come scuole, ospedali, sale nuziali, moschee e hanno preso di mira le alte sfere della loro vita personale solo a causa del loro gruppo etnico e religioso. Questo è un genocidio.


Il governo dell'Afghanistan ha resistito per riconoscerlo come genocidio. Mi chiedo “Perché la comunità internazionale tace sulla situazione degli Hazara in Afghanistan e non la riconosce come genocidio?” Penso che sia perché coloro che erano al potere in Afghanistan hanno ingannato la comunità internazionale nel Paese.


Fin dai secoli passati, si son purtroppo fabbricate o create spesso narrazioni diverse dalla realtà, diffondendo visioni stereotipate o falsate. È il caso, ad esempio, dei numeri relativi alle diverse etnie che popolano l’Afghanistan. Lascia che ti faccia un esempio.


Nel 2012 ho lavorato con un giornalista freelance italiano in Afghanistan per un breve periodo di tempo. Mi ha detto che c'era una mappa demografica nell'ambasciata italiana a Kabul che mostrava la composizione della popolazione afghana basata su gruppi etnici e su quella mappa gli Hazara erano solo il 2 o 3%. In occasione della Conferenza di Bon, che si è svolta in Germania, è stato invece concordato che il 20% del potere dovrebbe essere dato agli Hazara, in quanto approssimativamente si stimava che la popolazione Hazara rappresentasse allora circa il 20% in Afghanistan.


Il problema è che non ci sono indagini né statistiche valide. Coloro che erano al potere, ingannavano la comunità internazionale ed è per questo che la comunità internazionale tace sulla situazione del popolo Hazara in Afghanistan.


Il mio è un modo per combattere.

Aggiornamento del 19 aprile 2022

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