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Ascesa e declino dell’influenza cinese in Europa Centro-Orientale

Li Keqiang, China-CEEC
Fig.1: Il Premier Cinese Li Keqiang al China-CEEC Summit del 2015 a Suzhou, Cina. Fonte: Nikkei Asia

1. Introduzione


La proiezione esterna della Cina nell’ultimo decennio è aumentata esponenzialmente, grazie soprattutto alla nuova dimensione geopolitica e alla nuova postura in politica estera portata avanti durante i primi due mandati di Xi Jinping. La presente analisi si focalizza sul tentativo della Repubblica Popolare Cinese (RPC) di instaurare una cooperazione efficace con la regione dell’Europa Centro-Orientale, con cui storicamente non ha intrattenuto particolari rapporti ma che è diventata man mano sempre più rilevante, anche nel più ampio quadro delle relazioni Cina-Unione Europea.

Dal 2012 la collaborazione tra la Cina e i Paesi CEE [1] viene istituzionalizzata attraverso il gruppo dei “16+1”, chiamato anche Cooperation between China and Central and Eastern European Countries (China-CEEC), che ha come obiettivo quello di approfondire le relazioni economiche e politiche tra le due parti. Percepito come un tentativo di “divide et impera”, il forum è stato osteggiato sia dall’Unione Europea che dagli Stati Uniti, che vi hanno visto una possibile minaccia. Tuttavia, a distanza di dieci anni, la situazione rimane alquanto nebulosa e lo sperato miglioramento dei rapporti economici da parte dei paesi CEE non è avvenuto. Piuttosto, l’invasione dell’Ucraina ha gettato nuove ombre sul progetto di Pechino, che si trova con un numero di partner nell’area inferiore rispetto al passato.


2. Affinità e divergenze tra i CEE e la RPC durante la Guerra Fredda


Storicamente, i Paesi dell’Europa Centro-Orientale sono stata soggetti all’influenza e al dominio delle grandi potenze, dalla Francia e il Regno Unito, alla Germania Nazista durante la Seconda Guerra Mondiale. A seguito della conferenza di Yalta, eccezion fatta per la Grecia e per i Paesi confluiti nella Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, gli Stati dell’area entrano a far parte della sfera d’influenza dell’Unione Sovietica, divenendone satelliti.


Al contrario dei Paesi dell’Europa Occidentale e della Russia, la Cina si è affacciata nella regione in quanto grande potenza da poco tempo, e per questioni geografiche e storiche non ha mai intrattenuto relazioni salde con quest’aera. Gli Stati satelliti dell’URSS nell’Est Europa svilupparono diversi rapporti diplomatici con la Repubblica Popolare ma, a seguito della crisi sino-sovietica del 1969, questi vennero congelati; con alcune eccezioni, quali la Jugoslavia, la Romania e l’Albania, che godevano di una maggiore libertà di movimento da Mosca.


Nonostante negli anni ottanta - con l’avvento di Gorbačëv come segretario del PCUS (Partito Comunista dell’Unione Sovietica) - le relazioni ripresero, dal 1989 le due parti si trovarono a percorrere percorsi diametralmente opposti: il PCC (Partito Comunista Cinese) stabiliva un nuovo patto sociale con il popolo dopo le rivolte di piazza Tiananmen, rafforzando da un lato il controllo politico del partito ma garantendo, dall’altro, una maggiore autonomia economica; mentre i Paesi CEE cominciavano un lungo e complesso processo di democratizzazione, che ancora oggi presenta diverse problematicità.

3. Nascita, definizione e critiche sul gruppo dei 16+1


La crisi del 2008 può essere considerata lo spartiacque che ha determinato un nuovo corso nei rapporti tra la Cina e i CEE. A causa della ristrutturazione delle economie nazionali di stampo socialista, i Paesi del gruppo sono diventati estremamente dipendenti dal commercio e dagli investimenti con l’Europa Occidentale, in particolare con la Germania. La crisi ha causato una diminuzione degli investimenti diretti esteri oltre che della domanda di beni da parte degli Stati occidentali, generando una stagnazione del PIL pro-capite. La necessità, quindi, di diversificare i partner economici della regione si combinava perfettamente con la “going out” policy che la Cina stava portando avanti, con l’ottica di favorire gli investimenti in uscita verso Paesi in via di sviluppo e garantire in questo modo l’approvvigionamento di materie prime.


È nel 2011 a Budapest che il primo ministro Wen Jiabao partecipa al primo China-Central and Eastern European Business Forum e pronuncia un discorso costruito su 5 punti fondamentali (commercio, investimenti, costruzione di infrastrutture, cooperazione finanziaria e fiscale, scambi civili e culturali) che pone le basi del forum dei “16+1”, inaugurato ufficialmente l’anno successivo a Varsavia.

Il maggiore obiettivo dell’iniziativa, stando alle dichiarazioni ufficiali, doveva essere quello di migliorare gli scambi commerciali. Inoltre, i rappresentati delle due parti hanno tenuto più volte a sottolineare come l’organizzazione non solo non fosse in contraddizione con le politiche comuni europee, ma avrebbe dovuto contribuire positivamente alle più ampie relazioni Cina-UE.


Tuttavia, diverse voci critiche hanno accusato la Cina di influenzare alcuni Paesi CEE, che fanno parte anche dell’Unione, in modo da favorire gli interessi della Repubblica Popolare all’interno delle istituzioni europee e ostacolare il raggiungimento del consensus necessario per le politiche esterne comunitarie. Questa narrativa si diffuse soprattutto a seguito di alcune dichiarazioni controverse dei leader CEE, e dopo che l’Ungheria bloccò un common statement dell’Unione sulla Cina. Questi esempi, però, sono stati utilizzati in maniera strumentale per demonizzare il forum 16+1 e non hanno rappresentato effettivamente caratteristiche strutturali dell’azione di opposizione dei Paesi CEE, ma sono state piuttosto singole iniziative. Infatti, nonostante i timori di Washington e Bruxelles dati dalla possibilità che Pechino avesse potuto esercitare attraverso il gruppo una strategia di “divide et impera” nell’Unione Europea, a distanza di dieci anni si può affermare che non era questo il fine ultimo e che non ci sono prove a supporto di questa tesi.

Cina-CEEC, Pechino
Fig.2: Cina-CEEC meeting a Pechino nel 2020. Fonte: http://www.china-ceec.org/

4. Struttura e obiettivi dell’iniziativa


Annualmente si tiene una riunione di alto livello, presieduta dai ministri degli esteri, capi di Stato o di governo, in uno dei Paesi membri del gruppo, che ha lo scopo di determinare i progressi raggiunti e definire gli obiettivi strategici da perseguire. Alla fine dei summit vengono rilasciate delle dichiarazioni conclusive e linee guida che mettono in luce i maggiori campi di cooperazione e le strategie da implementare per raggiungere gli obiettivi preposti. La prima dichiarazione ufficiale è stata pubblicata nel 2012 a seguito del summit di Varsavia, dal titolo “China’s 12 Measures for Promoting Friendly Cooperation with CEECs”. Questa venne proposta in maniera unilaterale dalla Cina, senza previa discussione con gli altri membri, mentre le linee guida successive sono frutto di maggiore cooperazione tra le parti. Le “12 Measures” hanno posto le basi dell’iniziativa, sia definendo il meccanismo istituzionale che i campi principali di collaborazione (economia, infrastrutture, tecnologia, scambi civili e culturali). La prima delle linee guida viene invece presentata nel 2013, dopo il summit di Bucarest, e costituisce un modello su cui verranno poi redatte anche le successive. In generale, all’interno di questi documenti viene indicato il miglioramento della cooperazione Cina - CEE, fissati i temi principali dell’incontro e stilata una lista con le manovre da implementare.


Tra le guidelines più importanti, bisogna menzionare quella del 2016 – Riga Guidelines – che citava per la prima volta il progetto BRI nel contesto dei Paesi CEE, enfatizzando l’importanza dello sviluppo logistico e infrastrutturale. Gli Stati CEE sono tutti firmatari dei memoranda of understanding per la BRI, che hanno assunto piuttosto la natura di dichiarazioni politiche e diplomatiche. Inoltre, nel 2019 durante il summit di Dubrovnik, la Grecia entra ufficialmente a far parte del gruppo, che passa da 16 a 17, cambiando il proprio nome in “17+1”. Per Pechino l’area ha rilevanza strategica perché attraverso i progetti infrastrutturali collegati alla BRI può espandere le sue aree di interesse politico economico, costruire delle vie di trasporto alternative e raggiungere più facilmente i mercati Europei, oltre che smaltire parte delle sovraccapacità industriali accumulate negli anni.


5. Promesse non mantenute


Il miglioramento delle relazioni economiche è sempre stato il punto centrale del forum e il motivo principale che ha spinto i Paesi CEE a prendere parte all’iniziativa cinese. Tuttavia, dopo dieci anni non c’è stato nessun progresso lampante dal punto di vista commerciale o degli investimenti. Tra gli Stati CEE a presentare il livello maggiore di scambi commerciali sono soprattutto quelli del gruppo Visegrad (Polonia, Cechia, Ungheria e Slovacchia), seguiti da Romania, Slovenia, Serbia e Bulgaria. Una tendenza costante che viene rilevata è la crescita del deficit della bilancia commerciale tra i CEE e la Cina, che nel 2018 per il solo gruppo di Visegrad ammontava a 75 miliardi di dollari statunitensi.


Infatti, mentre c’è stato un aumento delle esportazioni verso la Cina, a loro volta sono aumentate in maniera vertiginosa anche le importazioni, causando l’aumento del deficit. In generale, le importazioni provenienti da Pechino sono costituite principalmente da macchinari, tessile e apparecchi elettronici, mentre le esportazioni dipendono principalmente dalla area di appartenenza dei CEE. Infatti, le esportazioni dei Paesi Visegrad sono per lo più gestite da grandi multinazionali, di solito dell’Europa Occidentale, e sono caratterizzate da prodotti ad alto valore aggiunto. Gli Stati della regione balcanica invece esportano principalmente prodotti a basso valore aggiunto e materie prime, mentre i Paesi del Baltico esportano sia prodotti elettronici e macchinari, che prodotti agricoli.


Per quanto riguarda gli Investimenti Diretti Esteri (IDE) verso i CEE, nonostante siano ancora relativamente pochi, sono aumentati costantemente negli ultimi anni. Tra i fattori principali il costo e la qualità del lavoro, visto che è possibile trovare forza lavoro specializzata, con costi minori rispetto alla media UE, in settori d’interesse per Pechino. In modo simile ai flussi commerciali, la maggior parte degli IDE è diretta verso i Visegrad, principalmente perché Paesi membri dell’UE, facilitando quindi l’accesso al mercato europeo delle aziende cinesi ed evitando barriere commerciali. Nel caso della Grecia, che appartiene alla regione balcanica, è più difficile determinare gli effetti che ha avuto l’entrata nel gruppo, visto che già precedentemente la Cina ha investito in maniera massiccia nel Paese, come nel caso del porto del Pireo attraverso la compagnia COSCO. L’unico risultato rilevante in termini commerciali per i Paesi CEE è stato l’aumento dei flussi turistici provenienti dalla Cina, dovuto sia all’espansione della classe media cinese che alla migliore visibilità che gli Stati sono riusciti a ottenere attraverso l’organizzazione.


6. Divergenze crescenti e attriti


Negli anni tra il 2017 e il 2019 sia la percezione delle relazioni Cina-Unione Europea sia le dinamiche che le sottendono cambiano. Dal 2019, infatti, la Cina viene definita quale rivale sistemico, e ad aprile dello stesso anno viene implementato un sistema di screening degli investimenti per evitare che asset strategici europei finissero in mano cinese. Inoltre, il blocco da parte di USA e UE di Huawei, e il posizionamento dei CEE nei riguardi della questione hanno ulteriormente contribuito ad avvelenare il clima.


Alcuni avvenimenti politicamente e socialmente rilevanti hanno portato i diversi leader politici dei CEE a un ripensamento dei rapporti con la Cina, che sfocerà in alcuni casi addirittura nell’uscita dal forum. In particolare, in Repubblica Ceca questioni riguardanti i diritti umani, Taiwan e il Tibet sono tornati rilevanti dopo il 2017, con l’entrata di un nuovo governo meno a favore della Cina rispetto al precedente. Nel 2014 e nel 2016 è la Slovacchia a provocare l’ira di Pechino, dopo gli incontri tra il Dalai Lama e il presidente Andrej Kiska e, sempre nel 2014, dopo aver accolto dei prigionieri Uiguri scarcerati da Guantanamo. Il caso più eclatante, tuttavia, risale al 2019 e ha determinato un netto cambio nella percezione della Repubblica Popolare negli Stati CEE. In quell’anno a Hong Kong scoppiano le proteste contro il governo di Pechino e risvegliano, in particolare nei paesi Baltici, in Cechia e Slovacchia, il ricordo delle “rivoluzioni di velluto”. Le commemorazioni relative al 1989 diventano un’occasione attraverso cui supportare le richieste di democrazia da parte degli abitanti di Hong Kong, e si trasformano in un caso diplomatico. Ad agosto dello stesso anno gli ufficiali cinesi presenti in Lituania, infatti, compiono un gesto decisamente impulsivo, attaccando un raduno organizzato dalla società civile per esprimere solidarietà con la lotta dei manifestanti hongkonghesi.


Oltre agli attriti causati da questioni legate ai diritti politici, l’escalation dello scontro tecnologico tra Cina e Stati Uniti ha portato i Paesi dell’area ad assumere posizioni più dure nei confronti di Pechino. È questo il caso di Polonia, Cechia, Romania ed Estonia che hanno deciso di bandire Huawei dalla costruzione della rete 5G nazionale. Non solo dinamiche internazionali, ma anche preoccupazioni per la sicurezza nazionale hanno portato i quattro Paesi a prendere questa decisione. A rendere ancor più tesa la situazione ha contribuito anche l’aumento dell’assertività diplomatica cinese, definita “wolf warrior diplomacy”, in risposta al supporto pro-Hong Kong nella regione.

Mercato, Ittico, Wuhan
Fig.3: Ingresso del mercato ittico di Wuhan dove si ritiene abbia avuto origine la pandemia da Covid-19. Fonte: Japantimes

7. L’arrivo della pandemia e il peggioramento dei rapporti


La situazione prima dello scoppio della pandemia era caratterizzata da un aumento del sospetto reciproco e da un parziale riposizionamento. Di conseguenza, la pandemia da Covid 19 ha contribuito a rendere alcuni Paesi CEE ancora più diffidenti nei confronti di Pechino. Mentre le reazioni iniziali sono state di generale sostegno per la popolazione di Wuhan e della provincia dell’Hubei, anche attraverso l’invio di aiuti, la situazione è andata deteriorandosi con il passare del tempo. Con l’arrivo della pandemia in Europa, Pechino ha immediatamente fornito ai Paesi della regione supporto attraverso il rifornimento di materiale e dispositivi medici, mentre la situazione emergenziale è stata anche sfruttata da Serbia e Ungheria per rafforzare il loro governo autoritario, sia sostenendo la loro autonomia rispetto alle richieste di Bruxelles di rispettare la rule of law, che rafforzando le relazioni con la Cina.


Negli altri Paesi CEE, la narrazione mediatica, dopo un primo momento di esaltazione del supporto cinese, si è presto trasformata in accesa critica. Infatti, in Bosnia Erzegovina si scoprì che le apparecchiature di ventilazione erano inutilizzabili per curare i pazienti Covid. In altri casi viene riportato come la condizione di base per la vendita e l’invio della strumentazione nei CEE fosse il supporto pubblico da parte dei rappresentati governativi nei confronti di Pechino. Questi casi, oltre che la risposta tardiva e i vari errori e insabbiamenti delle autorità cinesi commessi nella prima fase della pandemia, hanno contribuito a un ulteriore peggioramento dei rapporti.


All’opposto, invece, venivano esaltati sui media l’operato di altri Paesi nel contenimento della pandemia e nel supporto fornito, tra i quali figura anche Taiwan. A questo riguardo, il Ministro degli affari esteri della Lituania, esaltando gli sforzi concreti e i risultati eccezionali raggiunti da Taipei nel contenimento della pandemia, propose all’interno dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di permetterne la partecipazione in qualità di osservatore nell’assemblea del maggio 2020. Il rinnovato supporto per Taiwan da parte di Paesi Baltici, Cechia e Slovacchia, il cancellamento di alcuni investimenti chiave (si veda ad esempio la Romania che, nel maggio 2020, ha rescisso un contratto con una compagnia cinese per la costruzione di un reattore nucleare), e le proposte venute da più Stati, come Bulgaria, Polonia, Romania, Paesi Baltici, Slovacchia e Cechia, di costruire una “small EU China” dove ricollocare industrie mediche critiche, sono un chiaro esempio di come la pandemia abbia effettivamente contribuito ad accentuare la spaccatura esistente tra alcuni Stati CEE e la Cina.

Putin, Xi Jinping
Fig.4: Incontro tra Xi Jinping e Putin a febbraio 2022. Fonte: BBC

8. Un’ “amicizia senza limiti” fa scappare i baltici


Nonostante le roboanti premesse, nel 2021 il forum subisce la prima perdita rilevante: la Lituania decide di abbandonare l’organizzazione. Stando a quanto dichiarato dall’Ambasciatrice lituana in Cina, l’uscita dai 17+1 è stata principalmente dovuta ai risultati economici molto scarsi rispetto a quanto annunciato in precedenza, rimarcando il fatto che non ci fosse nessuna volontà anticinese dietro il gesto. Tuttavia, il Ministro degli esteri lituano ha evidenziato la natura a suo dire “divisiva” del forum, mettendo


in luce come, nonostante ci sia stata una lieve crescita delle esportazioni, le importazioni dalla Cina siano aumentate in maniera più rapida, non portando nessun beneficio al deficit della bilancia commerciale. Gli scontri diplomatici con la Lituania si sono riaccesi nel dicembre dello stesso anno, quando Pechino ha preso la decisione di bloccare le importazioni di beni dal Paese, visto il tentativo del governo lituano di approfondire i legami diplomatici con Taiwan, che aveva inviato con questo scopo una delegazione guidata dal viceministro dei trasporti e delle comunicazioni e permesso l’apertura sul territorio nazionale di un ufficio di rappresentanza taiwanese.


L’uscita della Lituania, inoltre, dimostrava il peggioramento delle relazioni anche con l’Unione Europea. Infatti, pochi giorni prima il Parlamento Europeo aveva approvato il congelamento del processo legislativo per la ratificazione del CAI – Comprehensive Agreement on Investment – dovuta alle contro-sanzioni imposte da Pechino ad alcuni parlamentari e think tank europei, dopo che i 27 Stati Membri avevano imposto delle sanzioni contro quattro ufficiali governativi della Repubblica Popolare, accusati di essere coinvolti nelle incarcerazioni di massa contro il popolo Uiguro nello Xinjiang.


L’invasione dell’Ucraina e le dichiarazioni di Pechino riguardo a un’“amicizia senza limiti” con il governo russo, hanno portato nell’agosto 2022 anche Estonia e Lettonia ad abbandonare il forum, visti i profondi attriti con la Russia e la minaccia posta alla loro sicurezza nazionale. Gli ufficiali di entrambi i Paesi hanno dichiarato che soprattutto motivazioni di politica estera e commerciale li hanno spinti ad abbandonare la piattaforma, ma che tuttavia continueranno a portare avanti relazioni “pragmatiche e costruttive” con la Cina, sia a livello bilaterale che comunitario.


Le paure dovute alla minaccia russa e i pochi risultati concreti in termini economici stanno portando molti Paesi, soprattutto i più fedeli a Washington in termini di sicurezza, a ripensare il proprio rapporto con la Repubblica Popolare. Il tentativo cinese, quindi, di separare questioni securitarie e politiche da quelle economiche potrebbe non essere la strada più efficace per riuscire a mantenere rapporti stabili e proficui con i Paesi CEE.


9. Conclusioni


Le iniziali preoccupazioni relative a una possibile strategia “divide et impera” che si temeva la Cina potesse attuare, per portare allo scontro gli Stati dell’area con l’Unione Europea in modo da favorire i propri interessi, sono state man mano smentite. Infatti, mentre dieci anni fa i Paesi CEE vedevano nel forum dei 16+1 una possibilità per l’espansione delle relazioni economiche con la Repubblica Popolare, la situazione è cambiata ora che i benefici commerciali non si sono concretizzati e piuttosto sono emersi diversi rischi politici e di sicurezza. Durante la loro storia, i Paesi dell’area sono stati soggetti prima all’espansionismo della Germania Nazista e dell’Unione Sovietica, e questo li porta ad avere un atteggiamento estremamente assertivo in termini di sicurezza, anche a discapito delle relazioni economiche.


La cooperazione con la Cina, quindi, vista la sua relazione con la Russia e la decisione di non ostacolare il tentativo di quest’ultima di ridisegnare l’architettura della sicurezza europea, viene percepita come un pericolo e ha spinto alcuni dei Paesi CEE a ripensare la natura dei rapporti con la Repubblica Popolare. Per concludere, nonostante le promesse e gli incontri istituzionali, il forum dei 16, poi 17, e ora 14+1, sembra non aver adempiuto le aspettative di entrambe le parti e non aver portato quegli investimenti e risorse che i Paesi dell’area si aspettavano di riuscire ad attrarre per poter rilanciare le proprie economie.


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Note


[1] Con l’acronimo CEE vengono indicati i paesi appartenenti grossomodo all’area dell’Europa Centro-Orientale, che si estende dai tre Paesi Baltici (Estonia, Lituania, Lettonia), al gruppo Visegrad (Polonia, Ungheria, Cechia, Slovacchia) e la regione dei Balcani Albania, Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Macedonia del Nord, Montenegro, Romania, Serbia, Slovenia) fino alla Grecia.


Bibliografia

  • CMS, Belt and Road Initiative – The view from Central and Eastern Europe, 2020

  • E. Kavalski, China in Central and Eastern Europe: the unintended effects of identity narratives, Asia Europe Journal 17, 403-4019, 2019

  • E. Kavalski, Quo Vadis Cooperation between China and Eastern Europe in the Era of Covid 19?, World Affairs, 184(1), 33–56, 2021

  • Karásková, A. Bachulska, Á. Szunomàr, et al., Empty Shell No More: China’s Growing Footprint in Central and Eastern Europe, China Observers in Central and Eastern Europe (CHOICE), 2020

  • R. Q. Turcsányi, China and the Frustrated Region: Central and Eastern Europe’s Repeating Troubles with Great Powers, China Report 56 : 1, 60 -77, 2020

Sitografia

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