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Afghanistan 2021: la fine della Guerra al Terrore

Fonte: Foreign Policy

1. Introduzione


Il rocambolesco ritiro delle forze armate statunitensi dall’Afghanistan ha generato molte polemiche nell’opinione pubblica americana e internazionale. La resa immediata delle forze afghane e la conseguente rapida occupazione del territorio da parte dei talebani hanno infatti, amplificato oltremodo l’immagine della sconfitta.


Inoltre, la tanto frettolosa quanto drammatica evacuazione del personale civile e militare dall’aeroporto di Kabul ha complicato ulteriormente la posizione dei decisori politici statunitensi.

Un elicottero americano Chinook sorvola l'ambasciata degli Stati Uniti a Kabul, 15 agosto 2021 (stripes.com).

La maggior parte delle critiche, politiche e da parte dell’opinione pubblica, ha riguardato la gestione organizzativa del ritiro, tempistiche e modalità, mentre una parte limitata è giunta a riconsiderare anche la decisione stessa di ritirarsi[1] da una guerra durata quasi vent’anni, la più lunga della Storia americana.[2]


Sebbene in un momento di forti sconvolgimenti l’orientamento dell’opinione pubblica risulti molto volatile, un sondaggio Ipsos del 16 agosto 2021 ha rilevato un forte calo del consenso nei confronti del Presidente Biden (46%), il più basso di sempre per il Presidente democratico dalla sua elezione. Tale diminuzione sembrerebbe essere stata provocata principalmente dalla diffusione delle notizie della resa delle forze armate militari dispiegate in difesa della città di Kabul e dal conseguente ingresso in città delle milizie talebane, un singolo episodio che agli occhi dei cittadini americani avrebbe nullificato vent’anni di enormi sacrifici.[3]

Il Presidente Joe R. Biden si commuove parlando alla nazione degli attentati di Kabul del 26 agosto 2021. (Il Messaggero)

Nonostante ciò, come già segnalato, la maggior parte degli elettori democratici e repubblicani concorderebbe nell’interpretare un risorgere così repentino del caos in Afghanistan, come un segnale inequivocabile della necessità di ritirarsi.[4]In questo senso, infatti, l’interpretazione di tale sentimento e una valutazione più razionale di una situazione in cui la vittoria appare impossibile, potrebbe aver spinto i decisori stessi a considerare non solo gli elevatissimi costi passati, ma anche come evitare ulteriori perdite in futuro.


In realtà, oltre a mere valutazioni di costi e benefici, il disimpegno dalle questioni internazionali rappresenta un concetto molto antico e profondamente radicato nella società americana.


2. America First e Pace Democratica


L’ingente attività internazionale a cui si sono dedicati gli Stati Uniti in seguito alla vittoria nel Secondo conflitto mondiale, è un’eccezione rispetto alla storica linea isolazionista statunitense, che affonda le proprie radici nella dottrina Monroe e prima ancora direttamente nel discorso di Commiato del Presidente Washington.


Lo stesso principio di America First, invocato da Trump nelle elezioni del 2016, rappresenta in realtà un concetto isolazionista classico e ricorrente nella politica americana, riproposto in diversi contesti storici da varie personalità.[5]


Sul fronte opposto, con il volgere al termine della Guerra Fredda, la linea interventista ha rinsaldato le proprie ragioni anche grazie al tentativo di attuazione della teoria della pace democratica, sintetizzabile in un’idea di promozione internazionale di modelli di sovranità democratica che storicamente tendono a non impiegare la forza armata nelle relazioni tra di essi.[6]


All’apice dell’egemonia statunitense, nei primi anni Duemila, tale teoria costituirà uno dei pilastri principali della dottrina Bush:

“Infine, gli Stati Uniti useranno questo momento di opportunità per estendere i benefici della libertà in tutto il mondo. Lavoreremo attivamente per portare la speranza di democrazia, sviluppo, libero mercato e libero scambio in ogni angolo del mondo.” [7]
Il Presidente George W. Bush annuncia i primi attacchi aerei in Afghanistan, 7 ottobre 2001. (Politico)

Dalla capitolazione dell’Unione Sovietica fino all’insediamento dell’amministrazione Trump, il modello democratico è stato infatti, generalmente sempre promosso dagli Stati Uniti nel contesto internazionale da tutte le amministrazioni che si sono susseguite (Bush Sr, Clinton, Bush Jr, Obama). Tuttavia, col passare degli anni, gli Stati Uniti hanno operato un ridimensionamento dei costi, non solo in termini di numero di soldati dislocati in Medio Oriente, ma anche prediligendo agli interventi militari (Afghanistan 2001, Iraq 2003), azioni più soft (es. sponsorizzazione delle primavere arabe 2010-2012[8]).


In seguito all’assunzione di grandi impegni internazionali da parte degli Stati Uniti negli anni ’90 e nei primi anni Duemila con le presidenze Clinton e Bush Jr, il Presidente Obama ha, invece, inaugurato la stagione del disimpegno con gli obiettivi congiunti di evitare il depauperamento della superpotenza statunitense e conservare il più a lungo possibile l’egemonia americana.


La delicata e realista[9] dottrina Obama ha quindi introdotto la necessità di risparmiare le “energie” in ambito internazionale in favore di azioni più concrete e meno ideologiche.[10] Lo stesso Obama - definendosi un realista - avrebbe pertanto affermato:

“Ci saranno momenti in cui i nostri interessi di sicurezza saranno in conflitto con le nostre preoccupazioni per i diritti umani. Ci saranno momenti in cui potremo fare qualcosa per l'uccisione di persone innocenti, ma ci saranno momenti in cui non potremo farlo”.[11]
La copertina del The Atlantic, contenente l’intervista del Presidente Barack H. Obama con Jeffrey Goldberg, aprile 2016. (The Atlantic)

3. The only winning move is not to play


Le posizioni interventiste e isolazioniste, quando non sono frutto unicamente di impulsi emotivi, possiedono entrambe molti elementi di ragionevolezza. Oltre alle considerazioni teoriche già espresse, occorre però sempre tenere presente la realtà dei fatti, dato che raramente le cose vanno esattamente come sono state immaginate.


L’Afghanistan è un territorio geograficamente impervio ed estremamente difficile da controllare, inserito in una regione altamente instabile e dilaniato da decenni di guerre interne ed esterne (Unione Sovietica e Stati Uniti). Il ritiro dal Paese era stato preventivato da tempo, rimaneva solo da stabilire il momento più propizio. Per gli Stati Uniti


È possibile che Biden abbia pensato bene di spendere i “crediti politici” guadagnati con la ripresa dell’economia e il miglioramento della situazione pandemica per liberarsi di un fardello che era ormai passato attraverso diverse amministrazioni.


Del resto, in uno scenario molto instabile come quello afghano, qualsiasi mossa può provocare grandi sconvolgimenti, procrastinare nuovamente il ritiro, avrebbe, invece, rappresentato la scelta più conveniente nel breve termine. La distanza dalle elezioni di medio-termine del novembre 2022 potrebbe aver rassicurato i democratici sulle ripercussioni politiche conseguenti al ritiro.


Riguardo alle modalità e alla gestione delle operazioni le polemiche appaiono ancora più accese. Le scelte di far coincidere il ritiro con l’anniversario dell’attacco alle torri gemelle[12] e poi di anticiparlo ulteriormente in corso d’opera[13] sono state preferite rispetto ad attendere la stagione invernale che avrebbe potuto rallentare i talebani.[14] Si può ipotizzare però che l’arrivo dell’inverno potrebbe anche portare a una risalita dei contagi negli Stati Uniti e a ulteriori difficoltà per il governo.


4. Conclusioni


La situazione al momento appare ancora troppo incerta per poter stilare un bilancio definitivo delle operazioni. Ultimata l’evacuazione dal Paese e insediatosi un nuovo regime, in Afghanistan le speranze di vedere concretizzati i benefici della libertà e del rispetto dei diritti umani si spegneranno definitivamente sotto l’assurda applicazione della legge islamica da parte dei talebani.


Anche se in assenza di una controprova, in vent’anni e a un costo elevatissimo, l’obiettivo di evitare nuovi attentati catastrofici come quello al World Trade Center era stato raggiunto e almeno fino ad oggi la rete attiva nel Paese sotto la protezione dei talebani era stata in un certo senso relativamente ridimensionata. Resta quindi da vedere come si comporterà il nuovo regime talebano, ma indubbiamente esiste un’alta probabilità che determinati gruppi tornino a proliferare.


Senza dubbio la vicenda avrà un impatto rilevante anche sulla credibilità internazionale degli Stati Uniti d’America agli occhi dei partner, dei competitor e degli altri attori presenti nella regione. Forse qualche altro attore regionale o internazionale interverrà in qualche modo per difendere determinati interessi, ma sembra improbabile che questo possa accadere per tutelare in qualche misura i diritti umani.


Esistono ancora speranze per la teoria della pace democratica? Forse i tempi non erano ancora maturi o il momento non è stato propizio.

(scarica l'analisi)

Afghanistan 2021. La fine della Guerra al Terrore - Giacomo Forges
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Note

[1] Katrina Manson, Lauren Fedor, Benjamin Parkin, Critics round on Joe Biden as US pulls out of Afghanistan, Financial Times, 14 agosto 2021. [2] Con 19 anni e 10 mesi la Guerra in Afghanistan è la prima per durata, superando – anche se di poco – la Guerra del Vietnam (19 anni e 5 mesi). Zeke Miller e Aamer Madhani, “Overdue”: Biden sets Aug. 31 for US exit from Afghanistan, AP News, 8 luglio 2021. Niall McCarthy, America’s Longest Foreign Wars, Statista, 15 aprile, 2021. [3] Chris Kahn, Biden approval drops to lowest of 7- month presidency after Taliban takeover, Reuters, 18 agosto 2021. [4] Ibidem. [5] Paolo Magliocco, Chi ha inventato l’espressione “America first”?, La Stampa, 27 gennaio 2018. [6] Laura Santilli, La teoria della pace democratica: se vuoi la pace, prepara la guerra, AMIStaDeS, 27 giugno 2019. [7] Cit. The National Security Strategy of the United States of America, 17 settembre 2002. [8] Ian Black, Barack Obama, the Arab spring and a series of unforeseen events, The Guardian, 21 ottobre, 2012. Barack Obama, Cairo University Speech, 4 giugno 2009. [9] F. Kaplan, The Realist: Barack Obama’s a cold warrior indeed, Politico, Aprile 2014. [10] Jeffrey Goldberg, The Obama Doctrine, The Atlantic, aprile 2016. [11] Cit. Jeffrey Goldberg, The Obama Doctrine, The Atlantic, aprile 2016. [12] Helene Cooper, Thomas Gibbons-Neff e Eric Schmitt, Biden to Withdraw All Combat Troops From Afghanistan by Sept. 11, The New York Times, 13 aprile 2021. [13] Zeke Miller e Aamer Madhani, “Overdue”: Biden sets Aug. 31 for US exit from Afghanistan, AP News, 8 luglio 2021. [14] Friederich W. Kagan, Biden Could Have Stopped the Taliban. He chose Not To., The New York Times, 12 agosto 2021.


Bibliografia

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