top of page

Adattarsi a un contesto complesso: tra responsabilità e obblighi delle milizie libiche

Aggiornamento: 28 ago 2021

(di Laura Santilli)

Fonte: Reuters

Dopo la fine di quarantadue anni di dittatura, la primavera araba del 2011, la guerra civile scoppiata nel 2014 e l’attuale guerra dichiarata dal generale Haftar lo scorso mese di aprile, sono molteplici gli attori che hanno provato a imporsi nel vuoto di potere successivo al crollo del regime di Gheddafi in Libia. Questa analisi vuole cercare di raccontare i diversi ruoli che le milizie libiche interpretano nel Paese dal 2011.


1. Il contesto libico


Per provare a restituire un racconto il più possibile vicino alla realtà delle milizie libiche, è prioritario capire l’ambiente in cui esse operano a partire dal 2011, anno dello scoppio della primavera araba in Libia. La Libia è la nona riserva petrolifera al mondo e vive tuttavia, del duplice potere ricattatorio del petrolio: esterno, nei confronti dell’Europa ad esempio, ma anche interno, senza la vendita di petrolio e gas infatti, il paese non può sopravvivere, dato che il settore agricolo e quello manifatturiero non sono sviluppati. Dallo scoppio della primavera araba nel 2011, la Libia sta vivendo la quarta guerra in otto anni. E’ un Paese che vive di violenza, di traffici: quello del petrolio, del gas e quello di uomini e donne migranti. La corruzione è endemica e la differenza tra legalità e illegalità non è soltanto debole, ma non esiste affatto. Questo è il contesto che la popolazione e quindi le milizie, vivono. E’ necessario inoltre, fare una premessa: in Libia non esiste e non è mai esistito durante la dittatura di Gheddafi, un esercito nazionale unitario, ma piuttosto, un insieme di milizie e brigate che facevano capo al dittatore libico. Anche la Guardia Pretoriana istituita da Gheddafi al suo arrivo al potere nel 1969, era un insieme di uomini appartenenti a diverse tribù libiche: quella di Magraha, di Warfalla e Quadhadhifa che il dittatore riusciva a tenere unite grazie al potere ricattatorio del denaro. Questa organizzazione riflette bene anche quella che è la realtà politica e sociale della Libia, un paese organizzato sul disordine, quello provocato dalla frammentazione della ripartizione del potere tra i vari clan delle tribù libiche. In estrema sintesi, potremmo affermare che in Libia l’unione non fa la forza.


L’apparato di difesa e sicurezza che i vari gruppi di milizie costituivano sotto la dittatura di Gheddafi è venuto meno dopo il crollo del regime, non soltanto per la morte del Raïs, ma soprattutto per la spartizione del potere, del controllo del commercio del petrolio e del gas, del business della ricostruzione di un paese in cui ogni capo delle diverse tribù voleva e vuole il suo guadagno. Nel 2014, in Libia scoppia una guerra civile, alla fine della quale, il paese viene diviso in due aree di influenza: a ovest, nella parte del paese che prende il nome di Cirenaica, si è imposto il governo del generale Khalifa Haftar, ex miliziano di Gheddafi che, dopo un lungo esilio negli Stati Uniti, in cui lavorò con i servizi di intelligence statunitensi, nel 2011, dopo lo scoppio della primavera araba, fece ritorno nel paese. Il suo governo gode dell’appoggio degli Stati Uniti, della Russia, della Francia, dell’Egitto e dell’Arabia Saudita. Egli è a capo del Lybian National Army (LNA), un insieme di diversi gruppi di milizie libiche che conta 7.000 forze regolari e 18.000 forze ausiliarie, anche se Haftar ha più volte dichiarato invece, di poter contare su 80.000 uomini.[1]


Le forze dell’LNA hanno conquistato finora i pozzi petroliferi a sud della Libia e ambiscono a conquistare la parte est del paese, la Tripolitania, puntando proprio alla sua capitale, Tripoli. La narrativa della conquista del paese da parte di Haftar è quella comune a tutti i discorsi proclamati dai generali arabi: il suo esercito e quindi il suo futuro governo libico che punta a essere l’unico del paese, è il solo che potrebbe garantire una Libia laica e libera dal terrorismo. La Tripolitania tuttavia, dal marzo 2016, è retta dal Governo di Accordo Nazionale di al-Sarraj, voluto dalla Comunità Internazionale e sostenuto dall’ONU, dall’Italia, dalla Turchia e dal Qatar. I due governi, seppur ancora in guerra, sono reciprocamente necessari, fino a quando l’uno non prevarrà sull’altro: il governo di Haftar infatti, detiene i pozzi petroliferi e i giacimenti di gas libici, mentre il governo Sarraj, è l’unico che può vendere ufficialmente petrolio e gas, perché è l’unico governo riconosciuto dalla Comunità Internazionale. Cosa tiene in stallo questa guerra in Libia e quindi la vittoria di uno dei due attori? I micro-attori: le milizie che hanno armi, controllano la sicurezza delle città e del paese, sono riuscite a entrare nei palazzi del governo Sarraj con i propri uomini e a gestire il traffico del petrolio, del gas e dei migranti e ormai disillusi, non hanno nessun interesse a pacificare il paese.

2. Le milizie


Le milizie sono costituite da cittadini armati, addestrati al combattimento, che non appartengono a un corpo militare permanente come le brigate ad esempio, unità invece di un esercito. Chi fa parte delle milizie in Libia? I miliziani libici sono uomini giovani, nati tutti tra gli anni Ottanta e Novanta e molti di loro sono ex combattenti della primavera araba che voleva il crollo del regime di Gheddafi. Quando hanno deciso di combattere e riuscire a far crollare la dittatura, sognavano la libertà e non avevano immaginato di ritrovarsi di fronte altri otto anni di guerre e di perdite, familiari in molti casi. Hanno imparato presto a doversi difendere e ad adattarsi a un nuovo contesto libico, dove non c’è più l’oppressione del regime, ma ci sono tante zone grigie che hanno occupato la libertà, dove sapere chi è il nemico e decidere se riconoscerlo come tale, è una scelta quotidiana e obbligata in molti casi.


Dalla fine della primavera araba, il numero di miliziani è cresciuto di anno in anno per diversi fattori: l’assenza di un governo nazionale che garantisca sicurezza ed erogazione di servizi pubblici, l’elevato tasso di disoccupazione giovanile che si scontra con gli stipendi che vengono invece garantiti ai miliziani, insieme con la possibilità di guadagnare anche dal traffico di petrolio, armi, droga e uomini. In Libia inoltre, dopo il crollo del regime e l’inizio di continue rivalità e lotte tra le diverse tribù (tra le tribù Tubu e Zuwai nell’area di Cufra, o tra le tribù Tubu e Awlad Slimane nell’area di Seba, ad esempio) ed entità regionali libiche, i depositi di armi organizzati da Gheddafi durante il suo regime, sono stati presi d’assalto dai miliziani e ancora oggi, anche grazie al traffico illegale, la quantità di armi a disposizione nel paese è molto elevata.


Sebbene il paese sia diviso in due zone di influenza, Tripolitania e Cirenaica con due rispettivi governi, quello di Sarraj e quello di Haftar, non dobbiamo cadere nella semplificazione di immaginare le due zone come distaccate e non comunicanti. In Libia nulla è definito e immutabile, ogni situazione può essere piegata, corrotta. Anche i miliziani stanno a questo gioco, si adattano al contesto, solo così si sopravvive. Ci sono gruppi di milizie che formalmente appoggiano Haftar, mentre altre si dichiarano dalla parte del Governo di Accordo Nazionale di Sarraj, come la milizia di Misurata che conta circa 6.000 uomini, o il gruppo Zintan di 4.500 uomini, il 301 Battalion di 1.500, la Special Deterrence Force (RADA) di 1.500 uomini; la milizia NASR (Zawiyya’s Shuhada Nasr Brigade) e la milizia di Tripoli, TRB (Tripoli Revolutionaires Brigade) contano 1.300 uomini. Nelle città di Misurata e Sirte operano anche la milizia Bunyan al-Marsous (BAM), di 6.000 uomini; nella città di Tripoli, oltre alla TRB, c’è la milizia Abu Salim (800 uomini) che ha il suo quartier generale nell’omonimo distretto a sud della città. Vicino al porto di Tripoli invece, risiede la milizia Nawasi di 700 uomini che si occupa anche di attività legate all’intelligence.[2] Tuttavia, il fronte che divide le due aree di influenza delle milizie (quelle di Haftar e quelle di Sarraj) è molto mobile: sono diverse le milizie che fanno il doppio gioco, quelle di Tripoli ad esempio, che trattano da una parte con il governo ufficiale di Tripoli e poi organizzano degli incontri sotto banco con gli emissari di Haftar, così da regolarsi di volta in volta e decidere da che parte stare. Anche le milizie della città di Sabrata giocano su due livelli: prima dello scoppio dell’attuale guerra civile, lo scorso aprile, la milizia supportava di fatto Haftar, mentre diceva di cooperare con il governo di Sarraj. Dall’inizio della guerra invece, le milizie hanno respinto le trattative con Sarraj e appoggiano ufficialmente Haftar.

I capi dei gruppi di milizie reclutano inoltre, anche dei mercenari, cioè dei combattenti che non sono libici, ma sono migranti del Senegal o del Ciad, che vengono addestrati al combattimento. Nella città di Seba ad esempio, sotto il controllo di Haftar, le milizie utilizzano i migranti che si trovano nei centri di detenzione per combattere: li minacciano e gli impongono di entrare a far parte del gruppo di milizie. In particolare, vengono coinvolti i migranti sudanesi perché parlano arabo e quindi capiscono i miliziani libici: questo è successo nel centro di detenzione di Kat bin Ashir, a sud di Tripoli ed è stato possibile perché la legge libica non riconosce la Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati. La legge libica prevede invece, che ogni persona che entri clandestinamente, ovvero, senza passaporto, senza visto, senza lettera di invito nei confini del paese, venga condannato sine die a una permanenza nei centri di detenzione, in cui i migranti subiscono violenze, abusi sessuali e privazioni dei bisogni primari forti e prolungate.


I migranti sono clandestini perché hanno dovuto adattarsi (proprio come i miliziani) a un sistema di diritto che non gli permette di spostarsi e muoversi, se non in modo clandestino appunto, dato che i visti non sono concessi, se non a chi ha un determinato conto corrente. Le milizie gestiscono sia i centri di detenzione legali, quindi gestiti direttamente dal Ministero degli Interni libico, tramite l’ufficio preposto, il DCIM (Dipartimento anti-immigrazione clandestina), sia i centri di detenzione non ufficiali, il cui numero è molto alto, anche se chiaramente non ci sono dati governativi che aiutino a capire quanti siano. I capi milizia che gestiscono i centri di detenzione sono anche in accordo con la Guardia Costiera Libica che ufficialmente si occupa di contrastare l’immigrazione e i flussi clandestini verso l’Italia e l’Europa e proprio per questo riceve ingenti fondi. Un esempio in questo senso è il Memorandum d’intesa[3] firmato tra Libia e Italia nel febbraio 2017 e rinnovato per tacito assenso lo scorso 2 novembre, in cui l’Italia si impegna a finanziare e ad adeguare i centri di detenzione, chiamandoli però “centri di accoglienza”[4], gli stessi centri gestiti dalle milizie. Le milizie quindi, che sono di base combattenti armati, sono perfettamente inseriti all’interno della catena del traffico di uomini, donne e bambini migranti: controllano la Guardia Costiera, i centri di detenzione e hanno uomini nei Ministeri, sia dell’Interno che negli uffici del DCIM. I miliziani tuttavia, sono i pesci piccoli di un sistema precisamente mafioso di corruzione tra le milizie stesse e i palazzi del potere, tra le mafie libiche e internazionali.


3. Focus: la milizia NASR


Per comprendere meglio come è organizzata la realtà operativa di una milizia, prenderemo in considerazione la milizia Nasr che opera in particolare nella città costiera di Zawia (o Zawiya), a est di Sabrata e a circa 60 km da Tripoli, in Tripolitania, nell’area di influenza del governo Sarraj. Secondo il rapporto finale del Gruppo di esperti delle Nazioni Unite sulla Libia del 2017[5], la milizia Nasr è attiva soprattutto nel contrabbando di carburante, che rappresenta una prospera attività, poiché la stessa milizia controlla direttamente anche la raffineria di petrolio della Libia occidentale. Questo le consente autonomia economica anche per la compravendita di armi e per la gestione del traffico dei migranti, una delle attività più redditizie della città di Zawia: qui è presente infatti, un centro di detenzione ufficiale (cioè del Ministero dell’Interno libico) gestito e controllato di fatto invece, direttamente dalla milizia Nasr.


Cerchiamo di capire quali sono i livelli di organizzazione della milizia Nasr e per farlo, dobbiamo risalire a due anni fa. Nel gennaio 2017, durante un evento pubblico, il presidente della National Oil Corporation (NOC), compagnia nazionale petrolifera libica, Mustafa Sanalla, nomina il capo delle Pfg, le Guardie delle strutture petrolifere occidentali, Mohamed Koshlaf, non solo come parte attiva del contrabbando di carburante all’estero, ma accusa gli uomini della sua milizia, Nasr, come pericolosi criminali, impegnati in crimini internazionali ed economici che danneggiano le casse della Libia, privandola di milioni di dinari di introiti. Dopo alcuni mesi, il nome di Koshlaf compare anche nel già citato Report del panel di Esperti ONU sulla Libia, che definisce il capo milizia come uno dei più potenti trafficanti di uomini e carburante dell’area. Secondo il Report[6], il fratello di Koshlaf, Walid Koshlaf gestisce la parte finanziaria degli affari.


Il cugino, nonché uno dei suoi più importanti collaboratori, Abdul Rahman Milad (alias Bija) che ha combattuto la primavera araba contro Gheddafi e ha perso un fratello durante i combattimenti, ora è a capo della Guardia Costiera Libica e ha il compito quindi, di intercettare le barche che trasportano migranti quando si tratta di partenze organizzate da clan di milizie rivali, lasciando partire verso il Mar Mediterraneo solo quelle gestite dalla brigata Nasr. Il Report menziona anche il nome di Tareq al-Hengari, un altro membro della Guardia Costiera e della milizia Nasr, che viene accusato di aver sparato contro alcune imbarcazioni cariche di migranti, causando la morte di un numero imprecisato di essi.[7] I migranti che vengono catturati dalla Guardia Costiera hanno un’unica possibilità: tornare dal luogo dal quale sono partiti, cioè il centro di detenzione di Zawia, naturalmente gestito dalla milizia Nasr, nella persona del colonnello Fathi al-Far.


Il nucleo della milizia Nasr che può contare su 1.300 uomini, è composto dunque da tre persone, due fratelli, Mohamed e Walid Koshlaf e il cugino, Bija. Gli affari è meglio affidarli a persone di famiglia, che compongono così il vertice di una piramide ben organizzata, di cui i miliziani non sono che la base operativa. Ogni milizia è ben strutturata, ed è essa stessa inserita in un sistema, quello libico, molto più opaco e ben ramificato di quello che possiamo vedere, il quale tocca vertici non solo nazionali e ci ricorda sistemi di potere e traffico mafiosi a noi ben noti e più vicini di quello libico.


Ogni paese colonizzatore d’altronde, lascia la sua eredità.


Note


[1] J. Pack, Kingdom of Militias. Lybia’s second war of post-Qadhafi succession, ISPI Analysis, Maggio 2019.

[2] J. Pack, Kingdom of Militias. Cit., p. 23-31.

[3] Si veda il Memorandum d’Intesa tra Italia e Libia a questo link

[4] Ibidem, articolo 2 del Memorandum.

[5] Rapporto finale del Panel di Esperti delle Nazioni Unite sulla Libia, 1 giugno 2017.

[6] Rapporto finale del Panel di Esperti delle Nazioni Unite sulla Libia, cit., p. 61.

[7] Ibidem, cit., p. 133.


Bibliografia


200 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page