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Acuerdo de Escazù: una svolta epica per i Diritti Umani in America Latina

Figura1 Santiago del Cile, COP del 20-22 Aprile 2022. Fonte: NU Cepal

1. La repressione degli ultimi anni contro i Difensori della Terra.


Solo nel 2020 sono stati uccisi in media 4 attivisti per l’ambiente a settimana in America Latina, secondo quanto riportato dal report dell’Ong Global Witness l’anno peggiore dell’ultimo decennio con 227 omicidi e, per i dati raccolti dall’Organizzazione, anche il 2021 non ha mancato di stupire in negativo.


I Paesi che detengono l’allarmante record sono il Messico e la Colombia. Si stima, infatti, che solo in Colombia nel 2020 ci siano stati 65 omicidi di attivisti ambientali, mentre in Messico si è registrato un + 67% rispetto al 2019 con 30 omicidi. Ha scosso l’opinione pubblica mondiale il caso del quattordicenne indigeno Breiner Cucuñame, ucciso lo scorso 14 gennaio da un gruppo di dissidenti delle ex-Farc (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia), mentre perlustrava una zona rurale del dipartimento di Cauca insieme alla Guardia Indigena, un gruppo organizzato locale che tutela le terre della comunità.


Purtroppo, i dati raccolti dalle organizzazioni che si occupano di tutela ambientale sono frammentari, dato l’ostruzionismo e l’omertà riscontrati nelle maggior parte dei casi, il che fa pensare che le sparizioni non denunciate siano molte di più.


Il forte incremento del fenomeno del land grabbing e di attività illecite tra cui il disboscamento di vaste aree protette per il traffico di legname in vari Paesi latinoamericani, hanno, infatti, spinto le comunità indigene locali a manifestare pubblicamente il loro dissenso esponendo sé stessi e le proprie famiglie ad aggressioni e violenze ma, al contempo, costringendo i governi e la comunità internazionale a prendere posizione e adoperarsi concretamente per la tutela dell’ambiente e degli earth defenders.

Fig.2: Un corteo per chiedere giustizia per l’assassinio dell’attivista honduregna Berta Cáceres (Fonte: la Nuova Ecologia)

2. Storia dell’Acuerdo di Escazù.


Il 22 aprile del 2021, dopo lunghi negoziati, è entrato in vigore l’Acuerdo de Escazù, adottato nell’omonima città in Costa Rica il 4 marzo del 2018 come il primo documento giuridicamente vincolante sulla tutela dell’ambiente e dei diritti umani nella regione latinoamericana e dei Caraibi.


Mira a garantire la piena ed effettiva attuazione nei 33 Paesi dei diritti di accesso all'informazione ambientale, partecipazione pubblica ai processi decisionali e accesso alla giustizia in materia ambientale, nonché alla creazione e al rafforzamento di capacità e cooperazione, contribuendo alla tutela del diritto di ogni persona, delle generazioni presenti e future a vivere in un ambiente sano. Promuove, inoltre, la transizione verso un modello di sviluppo sostenibile segnando il passo ad una svolta epocale dal punto di vista sia sociale che giuridico, essendo l’unico accordo al mondo a contenere specifiche disposizioni per la protezione dei difensori della terra.


L’ “Acuerdo Regional sobre el Acceso a la Información, la Participación Pública y el Acceso a la Justicia en Asuntos Ambientales en América Latina y el Caribe” è il frutto della Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile tenutasi a Rio de Janeiro dal 20 al 22 giugno 2012 in cui è stata siglata la Dichiarazione sull'applicazione del Principio 10 della Dichiarazione di Rio sull'Ambiente e lo Sviluppo in America Latina e nei Caraibi, in occasione della ricorrenza dei vent’anni dall’Earth Summit svoltosi in città nel 1992.


In ottemperanza a quanto disposto dal Principio 10 “a livello nazionale ciascun individuo avrà adeguato accesso alle informazioni concernenti l'ambiente in possesso delle pubbliche autorità, comprese le informazioni relative alle sostanze e attività pericolose nelle comunità, e avrà la possibilità di partecipare ai processi decisionali”.


Si sancisce la raccolta a livello nazionale dei dati rilevanti e la loro diffusione attraverso sistemi di informazione ambientale accessibili al pubblico, l’elaborazione e divulgazione di report periodici sullo stato dell’ambiente; si stabiliscono le modalità e le tempistiche per il coinvolgimento della collettività nei processi decisionali, includendo - per ogni progetto con un possibile impatto ambientale - l’identificazione dei gruppi locali vulnerabili e assicurandone la partecipazione conformemente al diritto a una consultazione preventiva, libera e informata, nonché l’adozione delle soluzioni più appropriate per ogni contesto, tenuto conto della multiculturalità del popolo latino-americano.


Ed è proprio a questo assunto che si ricollega l’art. 3 dell’Acuerdo che sancisce i principi di attuazione che guidano l’adesione dei Paesi, in particolare il principio di uguaglianza e principio di non discriminazione nei confronti delle comunità locali; il principio di trasparenza e principio di accountability di conteggi; il principio di non regressione e principio di progressività in materia ambientale; il principio di buona fede; il principio di prevenzione che mira ad evitare i danni ambientali certi, e il principio di precauzione che obbliga l’Autorità Amministrativa a stabilire una tutela in via precauzionale in caso di potenziali pericoli per l’ambiente in correlazione ad attività incerte o pericolose; il principio di equità intergenerazionale che si pone alla base dei movimenti ambientali globali e pone per la prima volta un limite alle devastazioni ambientali contemporanee, imponendo ai governi di consegnare il pianeta alle generazioni future in condizioni ecologiche non peggiori di quelle ereditate; il principio di massima pubblicità dei dati in materia ambientale; il principio della sovranità permanente degli Stati sopra le sue risorse naturali che implica che gli Stati mantengano i diritti sulle risorse naturali sotto la loro giurisdizione; il principio di uguaglianza sovrana degli Stati; e infine il principio pro persona che prevede che, in caso di giudizio, il giudice debba applicare le norme più favorevoli alla persona nel rispetto dei diritti umani (favor rei).


A tal proposito, si garantisce alle comunità non solo il diritto di accesso ma anche il diritto al giusto processo in caso di controversie ambientali, attraverso nuovi tribunali ad hoc e mezzi alternativi quali gli istituti della mediazione e conciliazione, che mirano soprattutto a quantificare economicamente la portata dei danni all’ambiente attraverso attente perizie.


Per agevolare l’iter processuale, inoltre, vengono introdotti nuovi sistemi per la produzione di prove di danni ambientali. Elemento di assoluta novità e urgenza è l’impegno dei Paesi firmatari a garantire protezione e sicurezza a individui, gruppi e associazioni che difendono l’ambiente, consentendogli di operare senza temere restrizioni, minacce e violenze, attraverso l’adozione di misure appropriate per prevenire, indagare e punire ogni tipo di intimidazione o attacco contro la loro persona.

L’Acuerdo è il risultato dei negoziati che hanno coinvolto non solo i governi ma anche le organizzazioni della società civile, la ricerca, l’accademia e l’opinione pubblica da sempre protagoniste della battaglia a favore della tutela ambientale.


La fase di negoziazione, aperta nel 2014 con la Decisión de Santiago e durata circa 4 anni, è stata guidata da un Consiglio di Amministrazione presieduto da Cile e Costa Rica e ha visto la partecipazione di 24 Paesi. Tutto il processo è stato, inoltre, pienamente appoggiato dalla Commissione Economica delle Nazioni Unite per l’America Latina e i Caraibi (ECLAC).


Il trattato è stato firmato da 13 Stati il 27 settembre del 2018 durante la 73° sessione dell’Assemblea Generale ONU, ma il processo di ratifica è andato ben oltre il termine iniziale del 27 settembre 2020, destando non poche preoccupazioni. L’empasse è dovuto principalmente alla clausola all’Art. 23 per cui l’Acuerdo non ammette riserva, il che provoca un doppio risvolto della medaglia. Se da un lato, infatti, questo rafforza l’efficacia del trattato garantendo i diritti che mira a tutelare, dall’altro rende più difficoltosa una pronta adesione da parte degli Stati che si trovano a dover accettare tutti i principi dell’Acuerdo senza alcuna riserva.


Solo il 5 novembre 2020 si è riusciti a raggiungere il minimo legale di 11 ratifiche grazie alla risposta affermativa del Messico, dopo mesi di procrastinazioni dei leaders della regione e accesi dibattiti nazionali che hanno bloccato le ratifiche anche da parte di Paesi come Cile e Costa Rica a capo del Consiglio di Amministrazione dei negoziati.

Figura 3: Cerimonia di firma dell’Acuerdo de Escazù 09/2018 Fonte: NU Cepal

3. La risposta dei Paesi latino-americani.


In particolare, il pericoloso standby del governo cileno culminato nel rifiuto di ratifica del 2020, ha causato non poche reazioni sia a livello nazionale che internazionale. Le ragioni avanzate dal governo riguardavano una presunta violazione delle leggi nazionali a favore di regolamenti regionali e la lesione degli interessi privati del comparto economico del Paese, una sorta di ambiguità giuridica che ha messo a repentaglio la legittimazione legale di grandi opere industriali nel Paese insinuando il dubbio della loro redditività.


Inoltre, il governo sosteneva che ratificare l’Accordo avrebbe esposto il Cile a controversie internazionali e creato una disuguaglianza sostanziale e formale tra gli attivisti per l’ambiente e quelli impegnati per la tutela dei diritti umani dinanzi alla legge. Intanto l’opinione pubblica e le organizzazioni ambientaliste, tra cui Greenpeace Cile, hanno duramente attaccato la decisione accusando il presidente di “pubblicità ingannevole” riguardo alle sue politiche ambientali e climatiche. Con l’elezione del nuovo Presidente cileno Gabriel Boric la situazione è rapidamente cambiata in positivo. Il 22 marzo 2022 il Cile ha, infatti, firmato l’accordo, rafforzando il ruolo dell’ambientalismo e della tutela della biodiversità nel Paese e delle comunità indigene che lo abitano.


Anche in Costa Rica si è verificata la stessa situazione che ha portato alla mancata ratifica dell’accordo da parte dell’esecutivo. Ai due Paesi portavoce dell’Acuerdo sono seguiti i no di altri Stati fortemente interessati dalle controversie ambientali e dalle minacce agli attivisti, tra cui il Brasile, il Perù, il Venezuela e il Guatemala, i quali hanno giustificato la loro posizione asserendo di temere per la perdita di sovranità sui loro territori e sulle risorse naturali a favore di meccanismi regionali e internazionali predisposti alla tutela ambientale.


La Colombia, Paese che conta il maggior numero di omicidi di attivisti ambientali in proporzione a tutta l’America Latina, ha dapprima sospeso la discussione sulla ratifica durante la pandemia da Covid 19 e in seguito, deciso di non ratificare l’accordo per il timore infondato di perdere sovranità sui territori amazzonici e di ostacolare la crescita economica del Paese disincentivando gli investimenti esteri. Quest’ultima motivazione è contradetta dalle innumerevoli attività di larga industrializzazione tutt’ora portate avanti da Paesi che hanno ratificato l’accordo, basti pensare all’Ecuador e Panama.

Figura 4. Il presidente cileno Gabriel Boric è affiancato da membri del suo governo e attivisti ambientali per la firma dell'Accordo di Escazu al palazzo La Moneda a Santiago il 18 marzo 2022. (Fonte: Imagen de Prensa Presidencia)

4. Amazzonia: bene comune dell’umanità


In caso di controversia fra Stati membri sull’interpretazione e sull’applicazione del trattato, secondo quanto stabilito all’art. 19, le parti potranno adire la Corte Internazionale di Giustizia che si occuperà di risolvere la questione attraverso la negoziazione o qualsiasi altro mezzo accettato dalle parti in causa. Inoltre è istituito un comitato, organo sussidiario della Conference of Parties, che svolge un ruolo consultivo nell’attuazione del trattato.


Quindi, in caso di controversie tra Stati, questi ultimi dovranno adire la Corte Internazionale di Giustizia e non la Corte Interamericana dei Diritti Umani come ci si aspetterebbe, e l’attuazione del trattato stesso viene supervisionata da un comitato sussidiario alla COP e non da un organo con sede in America Latina. La spiegazione, a mio avviso, di questa scelta è la necessaria cooperazione internazionale in materie di rilevanza globale come quella ambientale, soprattutto in un’area di interesse comune come l’Amazzonia che si pone come un sito fondamentale per la sopravvivenza dell’umanità. Proprio per questo l’Acuerdo è stato incoraggiato da tutte le principali agenzie internazionali, dal terzo settore e dal mondo accademico globale, con l’esigenza di una supervisione che scavalchi i confini nazionali e regionali e si ponga come una conquista di tutta l’umanità.


Ed è proprio questa scelta che spaventa i Paesi latino-americani che si rifiutano di ratificare il trattato, soprattutto il Brasile di Jair Bolsonaro che, data la politica predatoria sulla sua “porzione” di Amazzonia, teme ingerenze regionali e internazionali non gradite.


Il Brasile ha sempre spinto verso una politica di interiorizzazione dell’Amazzonia, prima per difenderla dai predatori stranieri e ora per consegnarla al miglior offerente scavalcando anche il diritto interno. Nonostante la precedente adesione all’Amazon Cooperation Treaty siglato nel 1978 con Bolivia, Perù, Ecuador, Colombia, Venezuela, Guyana e Suriname, in cui si affermavano le stesse politiche dell’Acuerdo e ci si spartivano i confini e le risorse naturali della Foresta Amazzonica, al Brasile sembra non interessare affatto di entrare a far parte di questa nuova coalizione e tanto meno che alcuni Stati facenti parte dell’Amazon Cooperation Treaty abbiano invece ratificato il trattato. Mantenendo infatti le attuali policies ambientali, la ratifica dell’Acuerdo comporterebbe di sicuro la denuncia del Brasile alla Corte Internazionale di Giustizia da parte quanto meno degli Stati confinanti, e questo esporrebbe il governo a pesanti sanzioni internazionali. Lo stesso discorso vale per gli altri Paesi che hanno espresso il no alla ratifica.


5. Conclusioni: restare uniti nella lotta alla sopravvivenza.


Nonostante gli esperti e l’opinione pubblica di tutta la regione ritengano i pretesti addotti da questi governi totalmente ingiustificati, ad oggi solo 12 Paesi hanno ratificato il trattato, rispettivamente Antigua e Barbuda, Argentina, Bolivia, Ecuador, Guyana, Messico, Nicaragua, Panama, San Vicente e Granadinas, Saint Kitts e Nevis, Santa Lucia, Uruguay.


Durante l’ultima giornata della prima COP dell’Acuerdo, svoltasi nella sede dell‘ECLAC a Santiago del Cile dal 20 al 22 aprile di quest’anno, le parti hanno firmato una Declaraciòn Politìca in cui riaffermano “il trattato come strumento di promozione dello sviluppo sostenibile e strumento di governance fondamentale per l'elaborazione di migliori politiche pubbliche nella regione, al fine di garantire un ambiente salubre per le generazioni presenti e future”, esortando gli altri Stati firmatari a ratificare l’Acuerdo per il bene e lo sviluppo della regione.


Per aumentare la risonanza del trattato Mario Cimoli, Segretario Esecutivo facente funzioni della Commissione Economica per l'America Latina e i Caraibi (CEPAL), e Jan Jarab, Rappresentante regionale dell' l'Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) per il Sud America - e con la presenza virtuale di Michelle Bachelet - hanno firmato un accordo di collaborazione tra ECLAC e OHCHR, attraverso cui le istituzioni si impegnano a promuovere un approccio ai diritti umani in attuazione dell'Accordo di Escazú, basando la loro cooperazione sui quattro pilastri dell'Accordo: accesso all'informazione, partecipazione, giustizia e protezione dei difensori dei diritti umani in materia ambientale.


Nonostante questi passi avanti, il rifiuto di Paesi fortemente coinvolti a ratificare l’accordo ha, di fatto, indebolito il blocco regionale latino-americano dal punto di vista internazionale su una tematica cruciale come quella ambientale e climatica, esponendo la popolazione locale e indigena e le risorse naturali del territorio a violenze e compromessi poco trasparenti e del tutto svantaggiosi, a favore delle grandi multinazionali e di pochi imprenditori. Rotta che entra in collisione con le nuove politiche ambientali discusse e implementate negli altri continenti che virano verso economie sostenibili sotto il profilo ambientale.


Al contrario di quanto sostenuto per legittimare il no alla ratifica, l’Accordo rafforza la certezza del diritto in tutti i campi, integrandosi con la legge nazionale e garantendo un grado di tutela in caso di lacune normative.

D’altro canto, è importante anche saper bilanciare tutti gli interessi in gioco, quello ambientale e quello economico, permettendo alla regione di crescere dal punto di vista innovativo e reddituale in modo trasparente e sostenibile.


La crisi climatica e ambientale che stiamo vivendo impone ai governi e all’opinione pubblica una profonda riflessione sulla strategia da seguire e sulle battaglie da ingaggiare, soprattutto in regioni come l’America Latina, polmone verde del mondo, che non può permettersi di restare indietro nella sfida alla sopravvivenza.

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Acuerdo de Escazù una svolta epica per i Diritti Umani in America Latina Maria Pisano REV
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Bibliografia/Sitografia

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