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Rohingya: il popolo meno voluto al mondo

Aggiornamento: 2 feb 2022


In una giornata come quella di oggi, che per gli internazional-penalisti come me è piena di soddisfazione e speranza di giustizia dopo la condanna all’ergastolo di Ratko Mladic, tra gli autori dei più atroci crimini commessi nella ex Jugoslavia nella prima metà degli anni ’90, genocidio in primis, mi trovo costretta a ricordarvi che altri crimini, tristemente simili, sono tuttora in atto.

In notizie precedenti di questa rubrica vi ho più volte parlato del Burundi e di quello che sta avvenendo a riflettori internazionali, tutto sommato, spenti. Oggi ci spostiamo nel sud est asiatico, in Myanmar, dove dopo anni di dittatura militare il regime è crollato – anche, sebbene non solo, per spinte della comunità internazionale – e al potere è andata la più famosa attivista per i diritti umani e per la democrazia che gli ultimi decenni abbiano partorito: Aung San Suu Kyi.

Sebbene nell’immaginario collettivo il buddhismo sia una religione/filosofia pacifica, anch’esso conosce i suoi fondamentalismi. E in Myanmar questo sta avvenendo: un gruppo etnico, di religione islamica, quali sono appunto i Rohingya, perseguitati dalla maggioranza buddhista della popolazione e costretti a fuggire nei Paesi vicini, specialmente il Bangladesh. In base a una legge del 1982, non possono prendere la cittadinanza birmana; non è consentito loro di viaggiare senza un permesso ufficiale né di possedere terreni e devono, tra l’altro, firmare un impegno a non avere più di due figli. Tale “atmosfera”, nata ai tempi della dittatura militare, non è venuta meno con l’avvento al potere di San Suu Kyi, la quale non ha né preso le distanze da quanto sta avvenendo né fatto alcunché di concreto perché le violenze cessino.

Questa è la dimostrazione lampante di come neppure avere al governo una persona che ha lottato per i diritti umani sia una garanzia che questi non saranno mai calpestati. Anzi, il paradosso è che stiamo assistendo non a violazioni singole e isolate, bensì massicce e molto molto gravi. Probabilmente il crimine lo si può giuridicamente definire come genocidio, ossia (secondo la Convenzione ONU del 1948):

[…] ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale:

a) uccisione di membri del gruppo;

b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo;

c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale;

d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo;

e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo a un altro

Le Nazioni unite definiscono i Rohingya "una delle minoranze più perseguitate al mondo" e Amnesty parla, in un recentissimo rapporto, di apartheid.


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