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La lotta al terrorismo: terreno di cooperazione tra Unione europea e Consiglio d’Europa

Il 26 giugno 2018, l’Unione europea ha ratificato la Convenzione Europea sulla Prevenzione del Terrorismo e il relativo protocollo addizionale, trattato internazionale del Consiglio d’Europa che, come suggerisce il nome stesso della Convenzione, è dedicato alla cooperazione tra le Parti dell’accordo nell’ambito delle attività di prevenzione contro atti di terrorismo internazionale. La Convenzione, arricchita del relativo protocollo addizionale, risponde a un’esigenza di cooperazione nell’ambito europeo per combattere efficacemente e sconfiggere la piaga del terrorismo, nel pieno rispetto del diritto internazionale vigente.

Il passo compiuto dall’Unione europea costituisce un importante e significativo impegno per diversi motivi. In primo luogo, la richiamata possibilità per le due organizzazioni di compiere un lavoro sinergico di prevenzione del terrorismo (nella foto: l’Ambasciatrice Katya Todorova, Rappresentante permanente, presso il Consiglio d’Europa, della Bulgaria, Stato che detiene l’attuale presidenza del Consiglio dell’UE, con il Vice Segretario generale del Consiglio d’Europa, Gabriella Battaini-Dragoni). In secondo luogo, contribuisce a gettare luce sulla prassi riguardante la delicata questione dell’adesione di una Organizzazione internazionale caratterizzata da un’integrazione particolarmente avanzata tra i propri Stati Membri (l’Unione europea) a un trattato concluso da un’altra Organizzazione internazionale (il Consiglio d’Europa) e aperto agli Stati Membri di quest’ultima che, in buona parte, corrispondono agli Stati Membri della prima organizzazione. Va ricordato, infatti, che tutti gli Stati Membri dell’Unione europea sono anche membri del Consiglio d’Europa e che l’adesione dell’UE ai relativi trattati non viene fatta per conto dei singoli Stati Membri ma, appunto, consente l’adesione dell’Unione in quanto soggetto giuridico di diritto internazionale da essi distinto e separato.

La ratifica della Convenzione, che ha fatto seguito alla firma già avvenuta il 22 ottobre 2015, è stata possibile grazie all’inserimento, all’interno del testo della Convenzione e, nello specifico all’art. 23 comma 1, di una disposizione che consente l’apertura di questo strumento giuridico alla ratifica da parte di tutti gli Stati Membri del Consiglio d’Europa, degli Stati terzi, non membri dunque del Consiglio d’Europa, che abbiano partecipato all’elaborazione della Convenzione e, unica organizzazione internazionale prevista, dell’Unione europea.

Dal punto di vista pratico, la Convenzione conferisce particolare attenzione all’importanza di prevenire il terrorismo internazionale sul territorio europeo, partendo dalla consapevolezza che atti di terrorismo costituiscono una delle minacce più gravi al pacifico godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali, in particolare del diritto alla vita che, anche intuitivamente, è il primo e più importante diritto messo in pericolo dagli atti criminosi dei terroristi.

È ormai da tempo noto che il terrorismo internazionale ha carattere transnazionale e, il più delle volte, globale, almeno in uno, se non in più di uno dei suoi elementi costitutivi. Pressoché in ogni caso di terrorismo, uno o più elementi di transnazionalità vengono in rilievo: sia esso la pianificazione, la nazionalità delle vittime o degli autori dell’attentato, raramente un unico Stato è coinvolto in maniera esclusiva dalla commissione di un atto di terrorismo. Ad esempio, anche qualora un attentato si verifichi esclusivamente sul territorio di un unico Stato è probabile che quell’atto abbia richiesto la pianificazione in un altro Stato, abbia coinvolto vittime straniere oppure sia stato perpetrato da persone che non sono necessariamente cittadini dello Stato in cui l’atto è avvenuto e la prassi recente lo conferma (si pensi agli attentati su territorio europeo che si sono verificati a Parigi e Nizza tra il 2015 e il 2016).

Il camion usato dall’attentatore Mohamed Lahouaiej-Bouhlel per compiere la strage di Nizza, costata la vita a 86 persone.

Anche sul fronte dei passi svolti dall’Unione europea per aderire alla Convenzione, la proposta della Commissione Europea per l’adozione della decisione del Consiglio, sull’adesione alla Convenzione da parte dell’Unione si concentra proprio sul fattore dell’internazionalità del fenomeno. Le attuali caratteristiche del terrorismo internazionale impongono un lavoro di prevenzione e repressione che sia quanto più possibile concertato a livello regionale e internazionale. Solo attraverso la cooperazione internazionale, che coinvolga anche i Paesi terzi rispetto al continente europeo, è possibile giungere alla risoluzione del problema, nel lungo periodo. Non potrebbe essere altrimenti, specialmente se si vogliono affrontare le radici del fenomeno, strategia su cui la prassi europea insiste molto. Sulla cooperazione internazionale, la Convenzione si sofferma in più d’una disposizione (a questo link, il testo della Convenzione in lingua inglese).

A titolo esemplificativo, l’art. 4 chiarisce che le Parti contraenti, in base alle loro capacità dovranno assistersi e supportarsi reciprocamente, in modo da migliorare e accrescere le capacità di prevenzione del terrorismo, anche attraverso lo scambio di informazioni e buone pratiche, nonché tramite formazione e addestramento congiunto.

La ratifica della Convenzione non giunge certamente nuova nel panorama dell’attività anti-terrorismo dell’Unione europea, che è da ormai diversi anni attiva, sia attraverso la cooperazione con altre organizzazioni internazionali (non da ultima, l’Organizzazione delle Nazioni Unite), sia attraverso l’adozione di strumenti giuridici autonomi che possano coadiuvare e armonizzare l’azione degli Stati in questo ambito. A titolo puramente esemplificativo, basti ricordare la recente direttiva 2017/541 sulla lotta al terrorismo, che ha incluso anche la sfida al fenomeno dei foreign fighters, cioè quegli individui che si spostano da un Paese all’altro allo scopo di compiere atti di terrorismo, nonché i diversi regolamenti adottati dall’Unione, che impongono sanzioni individuali o collettive allo scopo di prevenire la commissione di atti di terrorismo.

La Convenzione, dunque, costituisce l’ultimo passo congiunto dell’Unione europea e del Consiglio d’Europa nella lotta al terrorismo internazionale, e assieme al Protocollo (a questo link, il testo in inglese), molto più recente perché adottato a Riga il 22 ottobre 2015, rappresenta anche uno strumento di particolare avanguardia in questo campo. Il Protocollo, infatti, criminalizza anche il viaggio da uno Stato all’altro allo scopo di commettere atti di terrorismo, fattispecie che intende chiaramente fornire una base giuridica per poter perseguire i già richiamati foreign fighters e coloro i quali si siano macchiati di questi reati particolarmente gravi. Dal punto di vista più operativo, è interessante notare che il Protocollo istituisce una rete di punti di contatto che abbiano funzionamento per 24 ore al giorno, e il cui scopo è quello di dar vita a uno strumento utile a facilitare il rapido scambio di informazioni rilevanti tra gli Stati e le autorità (art. 7 del Protocollo).

Sia la Convenzione, sia il protocollo entreranno in vigore per l’Unione europea a partire dal 1 ottobre 2018. È interessante notare che la Convenzione, così come conclusa dall’Unione europea, in ogni caso non troverà applicazione uniforme sul territorio dell’Unione. Alcuni Stati infatti, grazie alla conclusione di protocolli specifici che autorizzano questa possibilità, resteranno esclusi dall’applicazione di questo strumento, così come dagli altri che rientrano in ambiti specifici delle politiche europee. Facciamo riferimento, in particolare, alla Danimarca, che con la stipula del Protocollo 22 ha deciso (e ottenuto) di non partecipare a tutte le misure proposte a norma della parte terza, titolo V del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea), base giuridica su cui la conclusione dell’accordo è stata effettuata per l’Unione europea. Le materie che rientrano in questa sezione sono quelle relative alle politiche e azioni interne all’Unione europea, con particolare riguardo allo Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia. Lo stesso dicasi per il Regno Unito che, grazie alla stipula del protocollo 21, ha ottenuto la stessa esenzione.


Il Primo Ministro inglese Theresa May e la sua controparte danese Lars Løkke Rasmussen

I due Stati tradizionalmente vicini in questioni di politica estera e politiche commerciali nell’Unione europea, si trovano attualmente più distanti sul piano delle negoziazioni per la Brexit e anzi, se la May sperava di trovare un alleato nella Danimarca, pare per il momento essersi sbagliata. Essi, tuttavia, permangono uniti nel non prendere parte ad accordi che sono conclusi nell’ambito dello Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia convinti, nel solco della tradizione inglese in questo campo, di essere in grado di far meglio da soli.



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