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I detriti spaziali: un problema che cresce di giorno in giorno

Aggiornamento: 14 dic 2020

È di pochi giorni fa la notizia che alcuni ricercatori statunitensi stanno sviluppando un dispositivo spaziale – OSCar (Obsolete Spacecraft Capture and Removal) - programmato per agire come spazzino orbitale e quindi dotato di una specie di fune meccanica che avrà la capacità di raccogliere quattro pezzi di detriti relativamente piccoli per poi tornare sulla Terra. Attualmente il novero di detriti nell’orbita e oltre si attesta a 129 milioni di pezzi di cui 34000 hanno una dimensione maggiore o uguale a 10 centimetri.[1]

Credit: Dotted Yeti / Shutterstock.com

Il termine space debris (detriti spaziali) si riferisce, a detta dell’Agenzia spaziale europea (ESA), a tutti quegli oggetti artificiali non funzionanti e alle loro parti, che si trovano nell’orbita terrestre o sono in procinto di rientrare in essa.

Fatta questa doverosa premessa semantica cerchiamo ora di capire perché la “spazzatura spaziale” è un fenomeno di inaudita gravità guardando in particolare alla sua provenienza, ai problemi che può causare e alle azioni della comunità internazionale per risolverlo o almeno per contenerlo.

Dal primo lancio di un satellite artificiale il 4 ottobre 1957 (Sputnik, costruito dall’Unione sovietica) vi sono stati circa 5450 lanci di dispositivi spaziali. Questi hanno portato in orbita 8950 satelliti di cui 5000 si trovano ancora oltre la nostra atmosfera. La cosa interessante è che, di questo ingente gruppo, solo 1950 sono ancora in funzione.[2] Questo significa che vi sono circa 3000 satelliti che vagano sopra alle nostre teste pur essendo inattivi.

Ai dispositivi spaziali veri e propri si aggiungono, come già accennato, milioni di detriti di grandezza variabile tra cui troviamo gli scarichi dei motori dei razzi e le parti dei lanciatori – che si staccano dalla parte principale durante i vari stadi del lancio. Ogni distacco avviene tramite piccole esplosioni che rilasciano ingenti quantità di frammenti inferiori a un centimetro.

Enormi quantità di debris sono inoltre state sprigionate dai test di missili antisatellite; a partire dagli anni ’60 infatti gli Stati Uniti e l’Unione sovietica ne hanno effettuato molti a causa della fondamentale importanza dei satelliti per ragioni strategiche e militari. La conquista dello spazio infatti, come la maggior parte degli sviluppi tecnologici, è avvenuta per ragioni militari. Le due superpotenze capirono fin da subito che avere occhi al di fuori dell’atmosfera implicava un vantaggio rilevante sul nemico soprattutto in termini di monitoraggio dei movimenti dei suoi eserciti e di costruzione di siti missilistici. In questo contesto, l’abbattimento di uno o più satelliti avrebbe reso cieco il rivale per un lasso di tempo utile, per esempio, a sferrare un attacco nucleare. Questi tipi di missili sono stati testati anche recentemente: la Cina, nel 2007, ha distrutto un suo satellite meteorologico ormai inattivo creando una miriade di pezzi di debris, la maggior parte dei quali sono finiti sul territorio statunitense.[3]

Con rispetto ai pericoli derivanti dai detriti è importante dire che questi oggetti o parti di essi vagano nello spazio senza controllo a una velocità estremamente sostenuta (fino a 25000 km/h). Nell’orbita bassa (LEO, Low Earth Orbit), dove vi sono molti satelliti per usi civili, i detriti si spostano a una velocità compresa tra gli 8 e i 10 km/s. In tal modo un pezzo di debris aumenta esponenzialmente la sua forza d’impatto e quindi distruttiva. Gli oggetti di meno di un centimetro possono causare ingenti danni, quelli di 10 cm hanno la capacità di rendere non operativo un satellite ma si pensi all’impatto di un satellite inattivo con uno attivo. In questo caso non solo vi sarebbe la totale distruzione del secondo ma l’impatto e il conseguente sprigionamento di detriti potrebbe dare avvio a una reazione a catena che potrebbe danneggiare i dispositivi vicini. Un esempio di quest’ultimo scenario è avvenuto nel 2009 quando un satellite russo ormai spento (Cosmos 2251) è entrato in collisione con un satellite americano a un’altezza di 776 km e ad una velocità di 11,6 km/s. Lo schianto ha portato alla creazione di circa 1600 pezzi di detriti.[4]

La gravità della situazione ha portato la comunità internazionale a pensare soluzioni per la mitigazione di tale fenomeno. In linea con questa idea il COPUOS (Committee on the Peaceful Uses of Outer Space)[5] ha approvato, nel giugno 2007 una serie di direttive per la limitazione del debris spaziale. In sintesi, queste raccomandazioni (NB: non sono vincolanti per gli Stati) affermano che l’oggetto spaziale debba essere rimosso a fine missione. Nel caso in cui si trovi nell’orbita geostazionaria dovrebbe essere spostato in un’orbita più alta, così da non interferire con gli altri satelliti; quando invece è situato in un’orbita più basso sarebbe preferibile riportarlo nell’atmosfera così che si disintegri nella fase di rientro.

Molte agenzie spaziali e aziende private si sono adoperate per sviluppare una soluzione tecnica – come OSCar - attraverso la quale si possano catturare i frammenti o scortare i satelliti in un’orbita più alta o nell’atmosfera terrestre ma fino ad ora non vi sono tecnologie in grado di fronteggiare il problema in modo proporzionale alla sua gravità.


[2] Vedi link nota 1.

[4] Per maggiori informazioni si veda https://www space.com/19450-space-junk-worst-events-anniversaries.html.

[5] La Commissione delle Nazioni Unite sull'uso pacifico dello spazio extra-atmosferico è stata creata nel 1958, subito dopo il lancio dello Sputnik, con la Risoluzione delle Nazioni Unite 1972.

Il compito del COPUOS è quello di dirigere una pacifica cooperazione tra gli Stati per un uso pacifico dello spazio e di ricercare e studiare i problemi giuridici che possono sorgere dall'uso umano dello spazio extra-atmosferico e di incoraggiare l'esplorazione pacifica dello spazio.

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